Capitolo 81

Notizie di Roma - D. Bosco assicura che i Romani non debbono temere l'invasione dei nemici - Garibaldi compare alla testa di numerosi volontari e s'impossessa di Monte Rotondo - I Congiurati tentano in Roma una riscossa, ma sono scoperti e ridotti all'impotenza - Arrivo delle truppe francesi - La battaglia di Mentana - Garibaldi è sconfitto e ricondotto a Caprera - Una visione profetica narrata dal Vaticinatore - I Garibaldini feriti sono accolti negli ospedali di Roma - Carità dei patrizii che li servono nelle infermerie - Notizie rassicuranti.

Capitolo 81

da Memorie Biografiche

del 04 dicembre 2006

E le sorti di Roma? Don Bosco aveva fatto scrivere lettere incoraggianti ai suoi amici e benefattori. Ognuno temeva e sembrava che non vi fosse più quasi speranza d'impedire che Roma fosse tolta al Papa. Quindi lettere a D. Bosco e al cav. Oreglia, che non tutte però giungevano a destinazione. Una di queste diceva:

 

Roma, 25 ottobre 1867.

Sig. Cavaliere,

I momenti sono gravi, dirò anzi supremi, per cui tanto più forte sia il collegamento della nostra preghiera, e con quest'arma, con questo ricorso, difendiamo la Chiesa, la Religione, il Papato, mentre altri lo difendono colla spada. Sia associazione di mezzi, di combattimento, di difesa e pugnando vinces, col combattimento si trionferà. La sua lettera, le sue espressioni ed esortazioni sono state assai valutate, come giusto mezzo a prevenire e riparare mali maggiori. Noi stiamo con tutta calma e in ottima salute, aspettando gli avvenimenti, che non potranno non riuscire a trionfo della Chiesa. Di Roma, esempio di dignitoso contegno, di ossequio, di affetto, può Ella apprendere lo stato dall'Unità Cattolica, bene informata dai suoi corrispondenti. Il Santo Padre è tranquillo, sereno, e ciò inspira a tutti conforto, tutti rianima e fortifica e sarà sempre con noi, per cui restiamo sotto la sua ombra nella Rocca del Vaticano. Non è vero? Se ella proseguirà ad essere l'interprete dei pensieri di D. Bosco, l'espositore delle sue parole, farà un vero regalo .....

Se dovessero giornalmente raccogliersi in un giornale tutte le notizie che circolano, sarebbe da formarsi un volume; tante e tali sono le contraddizioni, fabbricate da un'eccessiva suscettibilità promossa dalle attuali contingenze, la cui probabilità di esistenza spira nel nascere, effetto d'immaginazione, di aspirazioni, di desiderii .....

 

SCIPIONE CONESTABILE DELLA STAFFA.

 

Il Venerabile ne'primi giorni del mese aveva detto riguardo agli affari di Roma una parola degna di nota. Una sera che si discorreva della guerra e che qualcuno esprimeva timori pei mali soprastanti a Roma, egli, con aria ridente e sicura, interrompendo disse: - Ebbene, se le occupazioni mel permettessero, vorrei recarmi a Roma e percorrendole varie contrade della città vorrei gridare ad alta voce, che tutti i cittadini stiano tranquilli, che nulla accadrà di sinistro, che confidino solamente nella protezione della Vergine Maria e del resto non temano l'invasione. - Così scrive D. Rua nella cronaca.

E l'evento dimostrò quanto bene si apponesse D. Bosco.

Il 23 ottobre Garibaldi partiva da Firenze con un treno speciale verso Temi, e andato a Scandriglia pretendeva il comando di 12.000 combattenti, ammassati colà ed a Corese, a poche miglia da Monte Rotondo, distante da Roma 30 chilometri. Il 25 assaliva con tutto il suo esercito Monte Rotondo, difeso da soli 350 uomini che resistettero per 27 ore continue: e dopo d'essere stato respinto per ben quattro volte colla perdita di un migliaio di uomini tra morti e feriti, finalmente s'impadroniva del castello. I Pontifici, stanchi ed affamati, dovettero arrendersi, essendo stato appiccato il fuoco al palazzo che serviva di ultimo loro baluardo.

In Roma la rivoluzione era stata battuta, ma non disarmata. Il giorno 25, avendo il Cucchi notizia che Garibaldi era a Monte Rotondo, tenne per certo che nella notte sarebbe giunto sotto le mura di Roma. Quindi in quella sera tentò di rinnovare la sommossa per facilitare l'ingresso ai sopravvenienti. Tra gli occulti ridotti degli insorti, il precipuo e più sicuro era il lanificio di Giulio Aiani in Trastevere, composto di varii corpi di fabbrica. Qui era ammucchiato un grosso deposito di armi e di bombe. I caporioni facevano assegnamento su 500 uomini, la maggior parte stranieri. Nel lanificio s'intrapresero quindi, i preparativi per uscire armati a notte oscura allo scopo di assaltare le carceri politiche a S. Michele, piombare su qualche convento e suonare le campane a martello. Dopo il combattimento per le vie, se non fosse comparso Garibaldi, dovevano celarsi in casa Aiani, e quivi, se fossero assaliti, opporre forza alla forza aiutati da numerosi complici, pronti alla riscossa nelle case attorno.

Il Magistrato regionario, benchè sospettasse, non si risolveva ad ordinare una perquisizione armata nel lanificio; quando un biglietto anonimo pervenne alla Polizia centrale la mattina stessa del 25 ottobre. “ La carta era scritta in carattere già noto per altri avvisi veridici, precisi, opportuni. ” Così narra la Civiltà Cattolica del 1870, voi. IX. pag. 47.

Si ordinò pertanto ad un distaccamento di gendarmi e di zuavi di fare una perquisizione nel lanificio. Vi giunsero poco dopo il mezzogiorno, mentre si trovavano in quella casa settanta cospiratori, e in quel momento si incominciava la distribuzione delle armi. Sorpresi, opposero la più viva resistenza; ma dopo un'ora di fuoco i soldati presero d'assalto la fabbrica. I Garibaldini ebbero 16 morti e 39 prigionieri; gli altri riuscirono a fuggire; e dei Pontifici tre furono feriti. Varie piccole bande furon poi arrestate, e scoperti altri depositi d'armi; Francesco Cucchi riparò a Firenze.

Intanto le truppe italiane invadevano da più parti il Territorio Pontificio, occupandone alcune grosse borgate, e convergevano verso Roma per prevenire colla loro entrata i disordini, inseparabili da una rivoluzione in una città, ove come si era calunniando gridato ai quattro venti, dovevano essere accumulati odii senza numero contro il Governo del Papa. Ma il fine principale era ben altro. I comandanti settarii marciavano risoluti di proclamare la repubblica mazziniana in Campidoglio. Il Ministro Menabrea affermava poi nel Parlamento Fiorentino di tenere in mano i documenti dimostrativi della trama.

Il giorno 27, a due ore dopo mezzodì, l'esercito di Garibaldi al grido di - Viva Garibaldi! Viva Mazzini! Viva la Repubblica! - scendeva da Monte Rotondo e muoveva alla conquista di Roma, anche a costo di opporsi ai Francesi. D. Bosco aveva predetto che la rivoluzione sarebbe giunta alle porte.

E il 28, a sera, la flotta francese giungeva nelle acque di Civitavecchia, quando Garibaldi era innanzi a Roma. La città era tranquilla, senza che apparisse nessun pericolo di sommosse. Il 30 l'avanguardia degli invasori era messa in fuga a ponte Nomentano, e in Roma entravano i primi battaglioni francesi. La notte seguente, mentre Garibaldi co' suoi si ritiravano a Monte Rotondo un drappello di Zuavi, scoperto l'ultimo covo dei congiurati, presso la caserma Serristori, lo assaliva. Accolti da una scarica di fucilate che uccise il loro Capitano e due soldati, presero il posto alla baionetta. Così spegnevasi l'ultima favilla dell'insurrezione.

La guerra finì a Mentana, contrafforte di Monte Rotondo. Il 3 novembre 4900 soldati, tra Pontifici e Francesi, battevano i Garibaldini e li volgevano in fuga. L'esercito italiano, aveva ordine di rientrare nelle frontiere.

Garibaldi, arrestato dai carabinieri italiani, fu condotto onoratamente alla Spezia, e di là a Caprera.

Noi qui, a titolo di curiosità, riferiamo una visione profetica stampata l'anno 1862 nel libro intitolato, il Vaticinatore, edito in Torino dalla Tipografia Italiana di F. Martinengo e Comp, notando anche come qualche ecclesiastico propendesse a crederla di D. Bosco.

Così si legge in detto libro a pag. 28:

Visione avuta in Torino da un attempato ecclesiastico d'illuminata dottrina, consumato nella virtù e nelle fatiche del sacro ministero, amareggiato pensando alla ognor crescente irreligione ed immoralità.

Trovossi il 26 luglio andante anno (1862) il medesimo Religioso trasportato in ispirito, sopra di una grande piazza che sembravagli quella del Vaticano. In mezzo di essa sorgeva un monumento di marmo bianco, di figura quadrata oblunga; su di esso stava un effigie cui da principio non poteva ben discernere, ma che poscia conobbe rappresentare l'Immacolata Concezione di M. V.

Intorno a questo monumento dimenavansi moltissimi chiassosamente! Non v'era niuno che vestiva l'abito da prete o da religioso seco loro: costoro si davano la muta a vicenda, lasciandosi adirosi, senza mai poter convenire insieme, e sparivano non avendo altro prodotto che furioso rumore.

Alcuni pochi stavano mutoli contemplando da lungi quel simulacro ed atterriti di tanto in tanto guardavano alla lotta tremenda che attorno a quel monumento si agitava, senza mai poter recar danno al medesimo. E quando gli uni stanchi e confusi cedevano il luogo agli altri e non più vi rimanevano che alcuni pochi i quali sommessamente parevano intendersela, vide alzarsi, dietro la statua di M. V. SS. Immacolata un guerriero che sin allora era stato inerte ed accennava a tutti gli affanneggiatori di venire a sè. (Conobbe il visionario l'individuo che vien chiamato il Liberatore, ma non volle nominarlo). Allora la Beata Vergine, in su l'istante, tuttochè fosse di candido e freddo marmo, pure dal suo sembiante augusto, e colle tempia cinte da un diadema, raggiava una sovrumana maestà e la sua persona atteggiata con forme divine prendeva un contegno di reina vincente e proteggitrice. Ella stendeva la sua destra al Vaticano e pareva che questo si abbassasse sotto di Lei, e colla sinistra allontanando il guerriero che era sorto in piedi, questi si rappicciniva e ponevasi boccone dietro alla grande Vergine Nazzarena, immobile sul piano del largo piedistallo su cui stava sin dal principio della visione. Il cielo, il sole, l'aere presero come a sorridere dolcissimamente. Un mirabile silenzio regnò tosto ovunque. I tumultuosi sparvero. La città respirò la quiete. I buoni che costà erano alzavano le mani a Colei, la quale è il rifugio degli afflitti; e sebbene non parlassero vedevansi tutti compresi da uguale affetto ed ammirazione e, giulivi salutandola, si ritiravano dalla piazza.

La conclusione ci ricorda le parole dette da D. Bosco sul finire dell'anno precedente: - Non entreranno! - Questa promessa però riguardava solamente l'invasione del 1867, perchè era ben altro il suo convincimento pel tempo avvenire, come già abbiam visto e come vedremo meglio nel corso di queste Memorie.

Ma la battaglia di Mentana fu anche un mirabile trionfo della misericordia di Dio. I feriti Garibaldini trasportati a Roma furono tanti, che non bastando gli ospedali ad accoglierli tutti agiatamente, ne furono aperti altri dalla carità romana. In tutti si facevano abbondare, non chè il necessario, persino le delizie. È difficile che la fede si spenga totalmente in un cuore italiano: i feriti accettavano volentieri, baciavano e si mettevano al collo la medaglia e lo scapolare della Madonna. Assistiti da numerosi sacerdoti, diedero segni di verace penitenza; e que' che morivano giubilavano, sentendosi sgravati del peso delle loro colpe. Pio IX alcune volte li consolò colle sue visite paterne; e nobili signori si prestarono per turno, colla più religiosa carità, sì di giorno che di notte, a tutti i più umili ufficii delle infermerie, sicchè ne stupivano gli stessi nemici dal letto del loro dolore. Fra questi infermieri vi fu il salesiano Cav. Federico Oreglia di S. Stefano, arrivato da pochi giorni a Roma.

Il 14 novembre così scriveva a Torino il fratello di lui, Padre Giuseppe.

Federico fu meco a vedere le fortificazioni che continuano e si accrescono. Egli poi condusse me a visitare l'Ospedale Garibaldino... Qui i Francesi crescono ogni giorno e si crede che cresceranno ancora.

Non si crede che siano per partire …Ora Roma ritorna in pace. Ma avemmo tre o quattro giorni cattivi, quando i Garibaldini erano alle porte e i Francesi non venivano; e si credeva che venissero invece gli Italiani. Ora, Deo gratias, tutto è qui nella quiete.... Non dobbiamo sofferto nulla in proporzione del pericolo. Avemmo, però tutti i vetri rotti dallo scoppio della mina qui presso. Anche fuori di Roma i Gesuiti non ebbero da soffrire .....

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