Capitolo 83

Lettera di D. Bosco al Rettore del Seminario con nota dei chierici che desiderano dimorare nell'Oratorio: lo invita a celebrare una messa della Comunità - L'Arcivescovo insiste che non ammetterà alle sacre ordinazioni i chierici che non entreranno in Seminario - Parroci che si oppongono al desiderio di que' loro giovani che vorrebbero farsi Salesiani - Dopo lungo contrasto i parroci di Caramagna e di None dànno ragione a Don Bosco - L'Arcivescovo vuole in Seminario il ch. Paolo Albera - D. Bosco si presenta a Monsignore e spera averlo rimosso dal suo proposito - Don Cagliero incaricato di concludere per le Ordinazioni nulla ottiene.

Capitolo 83

da Memorie Biografiche

del 04 dicembre 2006

Se urgeva il pagamento dei debiti, non era cosa di minor importanza l'assicurare le sorti di alcuni chierici che erano tornati nell'Oratorio, perchè non avevano mezzi per entrare nel Seminario. Don Bosco intanto scriveva al Can. Vogliotti:

Ill.mo sig. Rettore,

Le mando nota dei giovani chierici che dimandano dimorar nell'Oratorio e frequentar le scuole in Seminario. Se avesse qualche cosa da osservare in generale, o in individuo, mi farebbe piacere di significarla al latore presente, D. Cagliero Giovanni.

I giovani di questa casa dimani vorrebbero far a Lei un piccolo regalo, cioè fare tutti la S. Comunione secondo la pia di Lei intenzione, per invocare sanità e guarigione perfetta degli occhi di V. S., da cui sanno essere da molto tempo afflitta. Ma desidererebbero vivamente che venisse a celebrarvi la S. Messa; ed io a nome loro e rinnovo rispettosamente l'invito. L'ora è dalle 7 alle 7 ½, ma possiamo modificar l'ora se ciò tornasse a Lei di comodità.

Con gratitudine e stima mi professo rispettosamente

Di V. S. Ill.ma,

Torino, 7 dicembre 1867,

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

L'Arcivescovo, mentre accondiscendeva alla domanda dei chierici di poter frequentare le scuole del Seminario, ripeteva che non avrebbe mai permesso che alcuno dei chierici dell'Oratorio suoi diocesani venisse ordinato, se non si uniformava alle sue prescrizioni.

Omai era nota a parecchi la controversia tra Monsignore e D. Bosco, e personaggi assennati parteggiavano in favore dell'uno e dell'altro.

Alcuni parroci tenevano le parti di Sua Eccellenza, ed erano contrarii a che i giovanetti della loro parrocchia si facessero Salesiani e volevano che quelli, già chierici, entrassero in Seminario.

Erano fra questi il parroco di Caramagna e quello di None. Il primo, Teologo Bernardo Appendini, modello di virtù sacerdotali, credeva D. Bosco un fanatico, che trasfondesse il suo fanatismo negli altri. Era solito dire: - Coloro che si fermano con D. Bosco, o sono matti o stanno per divenir tali! - Alludeva al povero D. Fusero che era impazzito sì, ma non per fanatismo religioso. Egli non rifletteva che Don Giovanni Bonetti e D. Giacomo Costamagna, pur suoi parrocchiani, stando con Don Bosco, non avevano la testa squilibrata, come splendidamente dimostravano e dimostrarono i fatti.

Egli però aveva incominciato a giudicare più favorevolmente di Don Bosco, quando Mons. Rota, Vescovo di Guastalla, era giunto in Torino, condannato a domicilio coatto. Allorchè seppe della carità colla quale il Vescovo era stato accolto nell'Oratorio, mentre non era stato ricevuto altrove per timore di qualche molestia da parte del Governo, esclamò subito: - Ecco un uomo veramente generoso che fa il bene pel bene! Egli non ha fini secondarii; non guarda ai pericoli, ai quali può essere esposto; non teme di nulla e adempie al suo dovere con franchezza e tranquillità! Dunque Don Bosco non è quell'uomo, che mi hanno fatto supporre...

Si mise perciò di proposito ad esaminare le azioni del Servo di Dio. Il suo studio fu lungo e spassionato; tuttavia non comprese la necessità che aveva Don Bosco di ritenere i chierici volenterosi di aiutarlo; e gli parevano necessarie le disposizioni di Monsignore.

Difficile a piegarsi era anche il Teol. Abrate, pio e dottissimo parroco di None. Nelle questioni non aveva mai ceduto, e nutriva grandi pregiudizii contro l'Oratorio. Aveva mosso cielo e terra perchè il ch. Paolo Albera, suo parrocchiano, entrasse in Seminario e quando il suddetto, professore nel Collegio di Mirabello, fu vicino alle sacre ordinazioni, fece di tutto per giungere al suo intento.

Già prima Don Cagliero, essendo andato a None per una funzione in parrocchia con i musici dell'Oratorio, fin dal primo momento che s'incontrò col Teol. Abrate si accorse che non si trattava solo di Seminario, ma che il buon Parroco aveva idee gravemente erronee intorno a D. Bosco e i suoi intendimenti e la sua Istituzione. Dopo il vespro infatti, il parroco attaccò disputa con lui intorno alla Pia Società e si parlò per ben tre ore. D. Cagliero rispose alle obbiezioni con quella sodezza di ragioni che gli è propria. Don Abrate lo stava ad ascoltare, poi ribatteva, e finalmente disse: - Insomma, il Seminario è per i chierici, e là devono avere la loro istruzione: e perchè D. Bosco li tiene nel suo Oratorio? Il mio chierico Albera lo voglio per me e non per D. Bosco. -D. Cagliero gli fece osservare come fosse necessario che quel chierico stesse nell'Oratorio, almeno per insegnare ai dieci giovani da lui raccomandati, poichè, per alcuni che restavano nell'Oratorio, Don Bosco ne mandava moltissimi in tutte le diocesi del Piemonte. A questa e a molte altre ragioni addotte da D. Cagliero, D. Abrate più non rispose, e lo accompagnò coi musici alla ferrovia, ove giunto, da uomo leale, nel congedarlo gli disse:

- Le sue ragioni pesano: ci rifletterò.

Ma egli aveva fatto i suoi conti su D. Albera sacerdote. Ne conosceva la virtù, l'ingegno e la scienza, e forse desiderava averlo per coadiutore. Perciò stentava a rassegnarsi di perderlo; ed una volta, venuto a Torino, si presentava al Vicario Generale Mons. Zappata lamentandosi con calore di D. Bosco, che voleva tirare a sè giovani che erano suoi parrocchiani, venendo al caso specifico del Ch. Albera. Il Vicario lo ascoltò con tutta calma e in fine lo interrogò:

- Dica; chi ha mantenuto Albera ne' suoi collegi?

- D. Bosco, rispose il parroco.

- Or bene! proseguì il Vicario colla sua proverbiale semplicità; se D. Bosco ha dato il fieno alla capra, è giusto che ne goda il latte.

Il parroco, più che soddisfatto rimase sconcertato a questa inaspettata risposta, venne a far visita allo stesso Venerabile e incominciò l'assalto con lui sforzandosi di persuaderlo della necessità e del dovere di accondiscendere al suo desiderio. D. Bosco lo lasciò parlare senza interromperlo, e poi gli fece capire come il Vicario Mons. Zappata avesse toccato il punto fondamentale della questione.

- Ma sono miei parrocchiani! esclamò D. Abrate.

- Suoi parrocchiani! Ma se io non avessi accettati in casa coloro che ora sono maestri presso di me, se li avessi lasciati nelle loro famiglie perchè non erano miei parrocchiani, costoro sarebbero divenuti maestri di tanti altri alunni, fra cui son molti de' suoi?

Il parroco che era uomo di talento e ragionatore:

- Ebbene, rispose sorridendo, questo è un argomento che mi appaga. Basta così; lei e D. Cagliero mi hanno convinto e voglio persuadere altri miei colleghi ad aiutare Don Bosco nella sua intrapresa e a non più contraddirlo.

Da quel punto egli lasciò libero a D. Albera di rimaner Salesiano e, recatosi a Caramagna, disse a D. Appendino: - Siamo battuti! D. Bosco ha ragione: bisogna arrenderci. - E gli raccontò quanto gli era occorso col Vicario e col Servo di Dio; e i due parroci da quel punto divennero entusiasti di D. Bosco.

Qualcuno, meravigliato di questo cambiamento, ne fece parola al Venerabile e questi:

- Ringraziamo il Signore, disse, perchè prima ci costò molto l'averli avuti contrarii!

Anche l'Arcivescovo con lusinghe e con promesse aveva tentato ogni via per ridurre ai suoi voleri D. Albera, che era fermo e risoluto di non allontanarsi dal fianco di D. Bosco; e gli fece perciò intendere che non lo avrebbe ammesso alle sacre ordinazioni.

D. Bosco andò in persona per trattare con Mons. Riccardi di quell'affare. Il ch. Albera aveva emessi i voti triennali, e nondimeno non volevasi ritenere che fosse sottratto all'immediata giurisdizione diocesana. Tuttavia, dopo un lungo colloquio con Monsignore, Don Bosco concepì speranza che le difficoltà sarebbero appianate, e incaricava D. Cagliero di ultimare le pratiche.

Ma ecco come Mons. Cagliero racconta l'esito della sua missione, nel Processo Ordinario per la Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio.

“Quantunque il nostro Arcivescovo non favorisse la nostra Congregazione, fu sempre da noi amato ed in particolare per me egli usava una certa deferenza che mi ispirava confidenza. Onde portatomi nel dicembre del 1867 alla sua udienza, per raccomandargli a nome di D. Bosco le ordinazioni del nostro chierico Albera Paolo, intese prima personalmente con D. Bosco, mi accorsi che Monsignore era di tutt'altro avviso, e che voleva i Chierici in Seminario e non in Valdocco; e dicendomi egli che Don Bosco voleva sottrarsi all'obbedienza del suo Superiore, io risposi:

” - Monsignore, D. Bosco fino ad ora ci ha sempre insegnato ad amare ed ubbidire i nostri Superiori.

” - Ma se è così, soggiunse, perchè non manda i suoi chierici in Seminario.?

” - I perchè sono molti, Eccellenza. Nella totalità i chierici di D. Bosco sono poveri e non possono pagare la pensione in Seminario; e poi essi sono desiderosi di fermarsi con Don Bosco, e fanno parte della sua Congregazione Salesiana.

” - Ma che Congregazione! lo non so nulla; so solo che si deve ubbidire.

” - Ma, Eccellenza; la S. Sede ha già lodato e commendate le Regole o Costituzioni della nostra Pia Società, e quindi D. Bosco non agisce se non in conformità dei decreti della S. Sede.

” - Ma io ne so nulla di tutto questo.

” - Eppure, Eccellenza, nella sua Curia esiste copia di questo decreto fino dal 1864.

” - Ma come dunque ho da fare io?

” - Monsignore, ha solo da osservare se D. Bosco fa del bene o del male; se fa del bene, approvi il bene che fa; se fa del male, allora V. Eccellenza è in perfetto diritto d'impedirlo.

” - Ma io voglio i miei chierici in Seminario.

” - Eccellenza, dica allora che vuole la chiusura e la distruzione dell'Oratorio; senza chierici, maestri ed assistenti come farà D. Bosco a dirigere i suoi seicento e più giovani interni e migliaia di esterni?

” - Lo faccia coi chierici delle altre diocesi.

” - Monsignore! gli altri Vescovi allora vedendo che vostra Eccellenza ritira i suoi chierici, appoggiati alla stessa ragione, ritireranno essi pure quelli delle altre diocesi, e quindi saranno spacciati D. Bosco ed i suoi Oratorii.

” A questo punto Monsignore si mise le mani in testa, dicendomi:

” - Ma come debbo fare io adunque?

” Risposi: - Appoggi D. Bosco nell'Opera sua ed avrà l'approvazione di tutti i buoni e la gratitudine eterna dei figli di D. Bosco ”.

Fin qui Mons. Cagliero. Tuttavia D. Albera non fu ordinato che l'anno seguente.

A metà di questo dialogo l'Arcivescovo aveva preso scherzevolmente D. Cagliero per il ciuffo, dicendogli:

- Ah voi venite a farmi la predica!

- Oh no, Eccellenza, mi perdoni! gli rispose D. Cagliero; io non vengo a far prediche al mio Superiore; ma quando sento contraddire D. Bosco o disconoscere la nostra Pia Società, non posso contenermi come dovrei.

Il colloquio era durato circa tre quarti d'ora.

Don Bosco, avuta relazione dell'esito dell'ambasciata, si limitò ad osservare come l'Arcivescovo fosse strascinato dal suo troppo buon cuore a fargli opposizione. Certo il naturale di lui non era di operare con precipizio, anzi facile a cedere, mentre gli ripugnavano le misure odiose, suggeritegli col pretesto e in nome del bene della diocesi. Di qui le continue esitanze e le concessioni sue, alternate da qualche atto di malumore verso i chierici dell'Oratorio.

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