Capitolo 85

D. Bosco a Modena: consiglia all'Arcivescovo il modo di procurarsi mezzi materiali per promuovere le vocazioni - Scrive al Cavaliere di trovarsi in angustio finanziarie: gli suggerisce le persone alle quali si potrebbe chiedere soccorso: gli dà altre commissioni - Il Cavaliere a Roma continua a servire i feriti Garibaldini - Una grazia della Madonna ed una offerta per la Cappella di S. Anna - D. Bosco raccomanda alla Superiora delle Fedeli Compagne una buona figliuola che vuol farsi religiosa - Le feste natalizie -Ordinazione sacerdotale di D. Pietro Racca; la Madonna lo aiuta meravigliosamente negli esami - D. Bosco scrive a Milano per avere oblazioni - Generosa offerta di un benefattore - Lettera del Conte Vimercati per un indirizzo di augurii a lui mandato dagli alunni dell'Oratorio - Letture Cattoliche - Il Galantuomo: Prefazione: poesie e racconti: un consiglio a tutti.

Capitolo 85

da Memorie Biografiche

del 04 dicembre 2006

Ritornato da Mornese D. Bosco rimase all'Oratorio per pochi giorni e quindi se ne assentò nuovamente facendo una corsa anche a Modena. La Contessa Amalia Fulcini Giacobazzi il 19 dicembre 1867 gli scriveva da Vienna.

“ Dalla sua ultima preziosissima che mi arrivò qui, rilevo che avrò probabilmente il disappunto di mancare di nuovo ad una sua visita al suo passaggio da Modena. È un

vero sacrificio che offro al Signore ogni volta che ciò mi accade. Spero però in primavera, al mio ritorno in Italia, di poter ottenere la grazia di fare la sua personale conoscenza. Ho gradito immensamente l'immaginetta che Ella mi favorì... ”

Don Bosco fu più volte a Modena. Un giorno mentre si intratteneva con l'Arcivescovo Monsignor Emilio Francesco Cugini per affari della sua Pia Società, Monsignore si lamentava con lui della mancanza di vocazioni in diocesi e di mezzi per promuoverle:

- Ebbene, Monsignore, ci sarebbe un mezzo facile per sopperire a questa necessità.

- E quale? rispose il Vescovo: ho pensato già per sciogliere questo problema, ma non so da che parte voltarmi.

- Svincolare i parroci dall'obbligo di dir messa pel popolo nei giorni delle feste soppresse, farle celebrare secondo l'intenzione del Vescovo ed erogarne le elemosine a benefizio delle vocazioni ecclesiastiche. È già molto tempo che avevo formato questo disegno, ma non mi era ancor venuta occasione di esternarlo.

- Ma non si può sciogliere i parroci dall'obbligo delle messe pel popolo.

- Perchè non si può?

- È obbligo gravissimo di coscienza!

- Oh c'è rimedio anche a questo! Chi ha determinato la legge, può toglierla. Scriva a Roma, esponga le sue necessità, chieda questo indulto che muti quell'obbligazione, e Roma qualche cosa risponderà. Ciò che domanda, non è cosa sulla quale la Chiesa manchi di potere.

- E se mi si rispondesse negativamente?

- Tentare non nocet. Faccia la prova.

L'Arcivescovo stupì di quel progetto mai pensato, esitò, ma poi scrisse e n'ebbe risposta favorevole.

Questa mutazione di fine nelle messe parrocchiali delle feste soppresse non tardò ad essere chiesta da altri Vescovi e quindi a generalizzarsi.

D.Bosco scriveva nuovamente al Cavaliere, sempre a Roma.

Carissimo sig. Cavaliere,

Dopo alcuni tafferugli nella sanità e nelle occupazioni ripiglio le cose e comincio a scrivere a Lei una lettera secondo il solito piano di progetti. Primo di tutto debbo dirle che ci troviamo in vere strettezze e fra le altre cose abbiamo due mesate di pane e le note di parecchi provveditori che hanno somministrati materiali per la chiesa. Se pertanto la Contessa Calderari anche con qualche suo sacrifizio, ci liberasse dalla nota del pavimento che volge al termine, sarebbe per noi un vero sollievo e credo anche un mezzo efficace per ottenere la continuazione della speciale protezione della Beata Vergine Maria.

Le unisco nota dei lavori che rimangono a compirsi nella chiesa. Se mai inter notos et amicos, si potessero ripartire tra tanti benefattori, la nostra chiesa sarebbe in istato da potersi aprire al divin culto pel giorno primo del prossimo maggio. Si metta all'opera.

Il sig. Focardi forse potrà assumersi qualcheduna delle cose ivi notate. A proposito di esso le noto che quando passarono qui i due suoi figli, ho loro somministrate lire 100 di cui ella può farne cenno al padre od ai figli. La principessa Polacca, molto conosciuta dal P. Delorenzi, credo che farà qualche cosa; ella si mostrò tanto benevola in beneficenza. Il sig. Conti chi sa che non faccia altrettanto. Vi è poi casa Serlupi, Cavalletti, Cappelletti, Antonelli, Sora, ecc., ecc.

A proposito di quest'ultima osservi se veramente D. Cesare debbasi licenziare; se quindi possiamo fare una proposta concreta a Don Turchi, il quale credo che accetterà; ma sarebbe necessario prima di conchiudere che esso potesse sapere quali sono i suoi oneri ed onorarii.

Vado scrivendo le lettere alle persone che mi ha accennato, specialmente alla Madre Galeffi, come vedrà qui unita. Le propongo una balaustrina.

D. Francesia mi dice che una Comunità forse si risolverà a fare oblazione di duemila scudi. Se mai ciò fosse, io sarei disposto di lasciare l'intitolazione dell'altare a loro piacimento. Vorrei che fosse qualche cosa di degno della B. V. M. ed ella potrebbe promettere a chi di ragione che io stabilirei le cose in modo che ogni giorno si faccia qualche esercizio religioso all'Altissimo per invocare le celesti benedizioni sopra gli insigni benefattori. Pregherà ogni giorno nella S. Messa affinchè l'opera buona sia compiuta.

Passi poi un giorno da Mons. Pacifici, segretario delle Lettere Latine di S. S. al Quirinale; gli dia notizia del suo raccomandato Poligari, che sta bene e va avanti nel suo mestiere. Al medesimo ho trasmesso memoria a S. S. per due croci da cavaliere, e non so se vi sia, o no, speranza: Ella dica soltanto che appartiene alla Casa e se ha comandi per D. Bosco li farà pervenire.

Se ha danari ce li mandi; se le sue faccende lo permettono venga sul principio di gennaio prossimo; ma se potesse procurare degli affari rimanga ancora.

Saluti i nostri benefattori. Tutta la Casa le augura buone feste nel Signore. Amen.

 

aff.mo in G. G.

Sac. Bosco Gio.

 

P.S. - Metta in una busta la lettera indirizzata a Madre presidente di Tor de' Specchi.

Il 21 dicembre giungeva una lettera del fratello del Cavaliere diretta a D. Francesia: “ Berardi ha ricevuto una lettera della loggia: Federico starà qui fin dopo l'Epifania, sta bene; fa affari al solito ed ottimi; fra le opere sue buone, assiste e serve ai chirurgi che curano e fanno amputazioni ai poveri garibaldini feriti; qui siamo tranquilli ma ci fortifichiamo molto, segno che si temono nuovi assalti. Tante cose a Don Bosco ed ottimi auguri a Lei e a tutta la sua santa casa. ”

Fra le tante relazioni di grazie concesse dalla Madonna, che arrivavano continuamente a D. Bosco, ne giungeva una da Firenze della Marchesa Enrichetta Nerli, in data 17 dicembre:

“ ..Le rimetto lire 100 per conto della Contessa Fauli di Faenza, la quale vuole che siano erogate nel portare a fine la cappella di Sant'Anna nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Nell'estate decorsa, Ella si ricorderà bene, che io le scrissi supplicandola a voler pregare e far pregare pel marito di questa mia amica gravemente ammalato ed intanto essa prometteva di fare un'offerta per la sua Chiesa se otteneva la guarigione del medesimo. E la ottenne con meraviglia di .tutti, perchè tenevasi come caso disperato.... ”

In que' giorni, assecondando il desiderio di una buona figliuola che aspirava a far vita in religione, D. Bosco indirizzavala alla rev. Suor Eudossia, Superiora dell'Istituto delle Fedeli Compagne di Ges√π in Torino, non dimenticando l'ultimazione della chiesa.

Benemerita signora Madre,

Latrice di questo biglietto è la giovane Fissore Caterina, che vorrebbe consacrarsi al Signore sotto alla materna di Lei direzione. Gode sanità, può pagarsi una discreta pensione; per la moralità possiamo stare tranquilli. Ella poi osservi quello che sembra tornare a maggior gloria di Dio.

In questa occasione auguro a Lei ed a tutte le sue religiose ed educande ogni celeste benedizione con perfetta sanità e vita felice. Con gratitudine mi professo

Di V. S. B.

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco

 

P.S. - Per compiere la chiesa dedicata a M. A. mancano ancora alcuni lavori; potrebbe questo Ritiro assumersene qualcheduno? Le unisco nota. Compatisca.

La notte di Natale il Venerabile celebrò le tre messe come di consueto; la prima fu cantata e colla comunione generale, le altre due lette. Nei giorni precedenti aveva provato una gran consolazione. Don Pietro Racca ordinato sacerdote il 21 dicembre, aveva celebrato il 22 nell'Oratorio con grande festa degli alunni, specialmente di quelli della sua scuola. I preti novelli venivano dopo il pranzo onorati sotto i portici con musica e qualche composizione, presente Don Bosco con altri superiori.

Il Servo di Dio aveva quindi dato licenza a D. Racca di andare a celebrare a Volvera, sua patria, ov'era aspettato con grande affetto dai suoi compaesani, che lo stimavano grandemente fin da fanciullo. Da chierico, ritornato qualche volta al paese, erasi mostrato sempre esemplarissimo. Docile, umile, obbediente, era una delizia trattare con lui. Si prestava volentieri nel fare il Catechismo ai giovanetti: li rallegrava con santi esempi e fatti edificanti, e dolcemente li attirava al bene. Portava sempre con sè la corona del Rosario che recitava il più spesso possibile. I suoi ragionamenti prediletti erano di Dio, di Maria SS., del Papa; e non lasciava mai di parlare anche dell'Oratorio e del suo caro D. Bosco, cui era tanto l'amore che portava, che quando si trovava a casa sua, gli pareva di essere sulle spine.

Questo degno figlio del Venerabile il 25 dicembre andò a celebrare per la prima volta la Messa in paese, e così scriveva il Sac. Nicolao Maria Lisa: “ Oh con quanta diligenza D. Racca vi si preparò e con quanto fervore la celebrò! Tutti si fecero di lui il concetto che si ha dei santi, e tra gli altri il sig. Cav. Giuseppe Barale, notaio e segretario di questo comune, esclamò: - Che santo sacerdote deve essere questo giovane levita! - Io gli feci il discorso in quel giorno e mostrai la potenza della Madonna che seppe far svanire i timori ed i dubbii di lui ancor giovanetto, e torgli ogni ostacolo per condurlo al Sacerdozio; e dissi, infine, che era suo dovere perciò di predicare, finchè avesse vita, le glorie di Maria. ”

Di ciò era ben persuaso il nostro D. Pietro, poichè fra le molte grazie che aveva da Lei ottenute ricordava quella di una felice memoria, come noi abbiamo già narrato, sul principiare de' suoi studii. Ma di un'altra recentissima doveva pur ringraziar la Madonna. Sul finire di novembre era stato avvisato dai Superiori di prepararsi a ricevere la sacra ordinazione. Doveva egli apparecchiarsi a subire l'esame richiesto, ma, stanco oltre modo per altri studii e varie occupazioni, andava dicendo: - Impossibile, impossibile che io mi prepari, quando manca il tempo! - Ma insistendo i Superiori, dovette mettersi di buona voglia a studiare un trattato. Nondimeno si avvide che colle sue forze poteva ritenere presso che nulla. Però facendosi allora la novena dell'Immacolata si rivolse a questa Vergine benedetta per averne aiuto in circostanza così critica. L'aiuto gli venne, ma non subito. Alla antivigilia dell'esame egli non era ancor preparato. Con maggior fervore torna a supplicare la sua mamma Maria perchè lo voglia aiutare: e nello stesso giorno ripiglia lo studio. Ed ecco all'istante si accorge che quanto legge lo ritiene letteralmente a memoria, sicchè si trovò così bene preparato da far meravigliare gli esaminatori. Contento della grazia ricevuta, non la seppe celare e la raccontò prima nella scuola senza nominare il favorito dalla Vergine; e poi in ricreazione non potè tacere essere lui il graziato. Egli narrò il fatto a' suoi alunni per animarli alla divozione a Maria SS. Ausiliatrice e a vie più confidare nella sua potenza.

Nella festa di S. Stefano D. Bosco scriveva alla Signora Guenzati. La lettera fu consegnata a D. Rua dal sig. Conte Giuseppe Caccia Dominioni.

 

Torino, 26 dicembre 1867.

Ill.ma Signora,

 

L'anno sta per finire,  ed io voglio darle occasione di fare un bel fioretto a Maria Ausiliatrice. Veda un po' se può farlo. Per compiere la chiesa di Maria Ausiliatrice mancano ancora i capi di lavoro a parte notati. Chi sa se V. S. con qualche suo conoscente od amico non possono assumersene qualcheduno a proprie spese? Credo che casa Caccia, casa Brambilla, casa Stanga le potranno giovare. Ad ogni modo se Ella mi dà mano, pei primi del prossimo maggio consacreremo la novella chiesa al divin culto ed avrà certamente un potente antidoto contro il colera ed alle altre disgrazie.

Auguro ogni celeste benedizione a Lei, alla sua famiglia ed ai mentovati signori ed assicurandola della pi√π profonda mia gratitudine ho l'onore di professarmi

Di V. S. Ill.ma,

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

Nella terza festa di Natale, fra le strenne che gli giunsero dai benefattori, vi fu una generosa largizione da non dimenticarsi.

 

 

Torino, 27 dicembre 1867.

Ciò che non ho potuto fare nello scorso settembre, sempre per la stessa ragione di finanza, godo la consolazione di poterlo fare oggi 27 dicembre. Per mani del sig. Nico Michele riceverà questa mia con dentro lire cinquecento in biglietti di banca, in dono volontario per la nuova chiesa in costruzione.

Gradisca intanto la S. V. Ill.ma, da me cotanto stimata, di accettare i miei distinti saluti e mi creda sempre

 

suo aff.mo servo ed amico

GIUSEPPE COPASSO.

 

P. S. - Questo dono da me fatto è di consenso della mia famiglia; così resta registrato nel libro di casa.

Per la festa di Natale e specialmente per quella di San Giovanni Evangelista, il Venerabile aveva fatto scrivere dai giovani un indirizzo di augurio e di ringraziamento al Conte Vimercati, il quale a lui rispondeva:

 

Roma, 30 dicembre 1867.

 

M. R. e mio carissimo in G. C. Don Bosco,

Io la ringrazio e ben di cuore della memoria che conserva di me, lieto perciò di poterle assicurare che io fedelmente la conservo di lei, dei santi suoi socii, e dei fortunati figli suoi, i quali ebbero la bontà di scrivermi, insieme con D. Francesia. Il Cav. Oreglia mi assicurò che avrebbe egli fatte con essi le parti mie: ad ogni modo però prego anche Lei a farmi fare buona figura, chè del resto io proprio non ho più nè lena, nè mano per iscrivere, perchè i nervi mi molestano assai frequentemente. Dio sia benedetto e ringraziato, che per tal modo mi tiene amorosamente sull'avviso della non lontana morte.

Sì, egli sia benedetto e ringraziato. Ella mi riverisca D. Francesia, e mi saluti i suoi carissimi figli che io amo teneramente in Gesù Cristo. Il Santo Padre sta ottimamente. Roma è tranquillissima e ritengo che presto saremo pienamente consolati. La mia gente di casa le bacia la mano, Le si raccomanda e l'assicura che sempre la ricorda colla maggiore e profonda devozione. Io poi in modo particolare le raccomando la miserabile anima mia.

 

Dev.mo suo servitor vero

Gio. VIMERCATI.

 

Nè aveva dimenticato i carissimi associati alle Letture Cattoliche. A questi pel mese di novembre aveva spedito il fascicolo:

Visita al SS. Sacramento ed a Maria SS. per ciascun giorno del mese, di S. Alfonso Maria de' Liguori, preceduta dall'atto eroico di carità e da preghiere in onore dei sette dolori e delle sette allegrezze del Patriarca S. Giuseppe. - Coll'atto eroico, di carità il cristiano offre a Dio, per le anime del Purgatorio, in unione dei meriti di Gesù e di Maria, tutte le sue opere soddisfattorie e quelle da altri a lui applicate in vita, in morte e dopo la sua morte.

Pel mese di dicembre gli associati ricevevano il racconto: La famiglia di Simone il Massaio, ossia la rassegnazione nelle avversità.

E insieme D. Bosco incaricava il Galantuomo, almanacco per l'anno bisestile 1868, ad offrire a nome suo la strenna agli Associati.

Riferiamo la prefazione.

IL GALANTUOMO

di ritorno da un lungo viaggio ai benevoli suoi amici.

Deo gratias! Ed ecco la sedicesima volta che io vi rivedo, e che vi posso augurare da parte mia ogni benedizione. Oggi vorrei avere una penna valentissima per iscrivere tutto quello che mi suggerisce il cuore. Ma temo assai di non riuscirvi. Pensate se ne ho da raccontarvene, sono stato a vedere Roma, le feste del centenario dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, il Papa! Ma come, come! dirà qualcheduno de' miei lettori, tu pure, o galantuomo, hai intrapreso un viaggio così lungo e così pericoloso? Oh bella! aveva forse da aspettare ad un altro centenario per andarvi? Forse allora non ci sarebbero più stati tanti miei amici, non ci sarebbe più stato l'adorabile Pio IX, che ne ebbe la felice inspirazione; e poi chi sa se da qui a cent'anni io avrei ancora avuto la bella compiacenza di parlarvi. Dunque, dunque io ho messo in pratica il consiglio de' miei padri: Chi ha tempo non aspetti tempo: oppure quello: Non si cerchi l'incerto domani - se quest'oggi c'è dato goder! Con buona scorta d'amici in saccoccia e con tante belle idee nella mente, me ne partii alla metà di giugno per Roma. Già tanti cercavano di dissuadermi con tanti pretesti dell'età, del colera, dei briganti, e di che so io. Io devo dirvi candidamente che non credetti un bel nulla, e la indovinai. Riguardo all'età ho poi veduto tanti più vecchi di me che non solo non erano venuti così comodi come me dal Piemonte ed in vapore, ma Vescovi venerandi dalle barbe lunghe e bianche consunti dalle fatiche apostoliche o dagli anni; eppure alla parola del Pontefice s'erano mossi dalla Cina, dal Giappone e dall'Abissinia; paesi che mi dissero lontani cinque o sei mila miglia da noi. In due giorni fui a Roma. Che magnificenza! Io entrava lento lento in quella grande città confuso alla vista di tante bellezze. La mia immaginazione era già grande, ma l'effetto fu superiore. Basti dirvi, che io credo, e creder credo il vero, che là vi si parlava ogni linguaggio, ed i preti per intendersi meglio non parlavano che il latino. Ed io che di latino non conosco che quello che ho nei vespri, oh che imbroglio! Ad un tale mi ricordo che interrogavami in questa lingua, non so che risposta diedi, ma so che rise piacevolmente sotto il labbro e se ne andò. S'accorse che non era tanto famoso. Se non isbaglio erano queste le parole che quel cotale mi indirizzò: O bone hospes, ostende mihi viam qua itur ad Quirinalem. Dio sa quante stranezze immaginai in quel punto. Ora so da un amico che queste parole volevano dire in buon volgare: O caro forestiero, mostrami, in grazia, la via che mena al Quirinale.

Non vi parlo della bontà dei cittadini; io e tutti ne fummo veramente, contenti; e ce li avevano dipinti con sì foschi colori. Ma già chi parlava così, ne era interessato. Si diceva che non v'era più posto; ed avrebbero trovato alloggio quasi quasi ad altrettanti forestieri, e notate che erano 160 mila, e concorsi da tutte le parti del globo. Che foggia di vestire, di camminare, di parlare! Erano però tutti concordi in un luogo solo; in chiesa. Che bello spettacolo sentir lodare Iddio, pregare al Sepolcro Apostolico, raccomandare Pio IX in tante lingue! Alla Basilica di S. Pietro pregai, e pregai per me, e per tutti i miei amici che siete voi, o cari miei lettori. Ma il mio cuore fu veramente colpito di contento quando vidi per la prima volta l'angelico viso di Pio IX. Non so se a tutti, ma a molti de' miei vicini cadevano le lagrime a lui davanti, pensando come tanti de' suoi figli amareggiavano quel cuore così benefico, così pietoso, così santo. Che decoro, che spettacolo poi veder a sfilare circa 500 prelati (ora ho sentito che tra Vescovi,  arcivescovi e patriarchi erano 499), tutti dal volto venerando, e tutti di un cuor solo e di un'anima sola, tutti di un pensiero con Pio IX, tutti uniti in una sola fede, e di una sola legge, pronti per questa a versare il proprio sangue. E quanti avevano già dovuto patire per Dio lunghi anni di angoscioso esilio. Vidi con affettuosa soddisfazione l'animato Card. De Angelis, che colle sue virtù ci aveva edificati a Torino, vidi il buon Vescovo di Avellino, vidi tanti altri che avevano sofferto esilio, carceri ed umiliazioni. Ed ora là attorno a quella cattedra di Pietro a dire al suo Successore: Per Te, e per quello che tu approverai o condannerai saremmo pronti di sopportare di nuovo altri e più terribili dolori. So che il buon Pio provò una contentezza sensibilissima nel contemplare tanti suoi fratelli nell'Episcopato a fargli corona, e venuti ad un semplice suo invito. Potenza della Santa Fede quanto sei grande! Io sono profano alle cose poetiche, ma so distinguere quando c'è qualche bel verso; e voglio con questo dire che là in quella immensa moltitudine udii uno che sclamò:

Bella, immortal, benefica

Fede ai trionfi avvezza:

Scrivi ancor questo: allegrati!

Io li approvai, li ritenni fedelmente alla memoria, ed a voi li ricordo credendo di farvi piacere.

Sentii pure la voce del Papa; come era sonora, piena, robusta! E pensare che quella voce era poi tanto potente e presso gli uomini e più ancora presso Dio. Tutte le bellezze di Roma le visitai studiosamente. Andai alle catacombe, andai al colosseo, santificato dal sangue di tanti martiri, e non mi ricordo di aver altra volta pianto con tanta consolazione del mio cuore. Sì, ho proprio pianto!

Visitai la casa di S. Pudente abitata da S. Pietro, come si crede, per la prima volta che fu a Roma; fui al carcere Mamertino, seconda abitazione di Pietro: bevetti alla fontana miracolosa che il medesimo santo fece scaturire per battezzare i suoi custodi; vidi il Campidoglio, la via sacra, il foro romano, i diversi tempii di Roma antica; e fu chi mi mostrò la torre dove è tradizione che Nerone fosse asceso quando diede il fuoco a Roma, accusandone poi i cristiani. Non è a dirvi quanto io fossi contento di vedere tutte queste meraviglie. Feci riverente la scala santa, vidi la culla del Signore e vidi gli ultimi segni della sua croce. Insomma provai tutte quelle dimostrazioni che un cuore cristiano può desiderare e sperare. Finalmente dovetti partire e non mi sapeva decidere. Lasciar Roma è presto detto, ma il pensiero doloroso era che non vi sarei più tornato. Visitai ancora una volta S. Pietro, baciai ossequioso il suo piede confessandomi a lui devoto ed all'angelico suo Successore e partii. Ma qual ritorno fu il mio! A quanti strapazzi non dovetti sottopormi! Con pretesti ch'io non so giustificare, quasi quasi mi soffocavano. Mi dicevano ch'io portava il colera da Roma e lo trovai ne' miei cari paesi. E più d'uno de' miei amici erasene già partito per l'eternità. Fu allora che dubitai che fosse un castigo che ci volesse mandar Iddio. È vero che anche a Roma comparve poi il morbo micidiale, ma allora non esisteva che nella mente e nella volontà di alcuni maligni. Insomma io fui al mio ritorno colpito dalla disgrazia de' miei fratelli, e pregai e prego Iddio a voler abbreviar i giorni del suo furore. E tu, caro mio lettore, difenditi quanto puoi da questo malauguratissimo ospite, e che Iddio a sè ti chiami come suole chiamare i suoi figli più cari dolcemente e coi sorriso sul volto. Termino mandandoti un tenerissimo e cordiale saluto. Iddio benedica voi e benedica pure l'affezionatissimo vostro amico

Il Galantuomo.

 

Il Galantuomo presentava al lettore poesie ed argomenti varii, fra i quali: - Gli ultimi momenti di Massimiliano Imperatore del Messico. - La Madonna di. Guadalupe. - All'amico e collega D. Enrico Bonetti. - Il Cardinale Ludovico Altieri, morto eroicamente assistendo i colerosi in Albano.

In fine il Servo di Dio faceva questa raccomandazione:

Se volete poi farmi un favore provvedetevi delle Strenne buonissime che si vanno pubblicando in Italia, quali sono il D. Mentore di Savona, il Caldeiscopio, l'Amico di casa smascherato di Torino, l'Amico di famiglia di Genova; ed altri simili di Bologna. Dell'Amico di casa puro puro, che andò a stare a Firenze, ti raccomando di guardartene come da un serpente. E se lo vedessi presso altri, avvisali di disfarsene: faresti con ciò a loro un massimo benefizio.

Ma prima di quest'avviso il Venerabile dava un consiglio a tutti. È pregio dell'opera che riportiamo anche quelle sue parole, le quali serviranno di suggello al presente volume.

Gli amici quando sono per separarsi raddoppiano i segni della benevolenza. Anche i muti, anche gli indifferenti diventano loquaci e starei per dire eloquenti. E che sarà del Galantuomo, che si trova alla fine, egli che ha sempre voglia di parlare?

Il pensiero che per un anno non potrà più nè vedervi, nè parlarvi, mi rende in questo punto eloquentissimo. Oh quante cose vi vorrei dire! Raccogliere tutto in breve non potrei, e poi io non ne sarei soddisfatto. O tutto o niente. Nè voglio già essere io a darvi i saluti e farvi i doveri della partenza. Una parola autorevole, anzi divina. Apro la Sacra Scrittura, che è il libro di Dio; e beato colui che l'ascolta e lo adempie. E per evitare la confusione comincierò a parlare:

Ai genitori. - Hai tu figliuoli? istruiscili e domali fin dalla loro puerizia (Eccl. VII, 25).

Ai figli. - In fatti, in parole, e con tutta pazienza onora il padre tuo, nè ti scordare dei gemiti di tua madre.

La benedizione del padre felicita le case dei figliuoli; ma la maledizione della madre ne sradica i fondamenti (Eccl. 111, 9- 11).

Ai giovani. - Ricordati dei tuo Creatore nei giorni di tua giovinezza, innanzi che arrivi il tempo dell'afflizione (Eccl. XII, i). Quello che non radunasti in giovent√π, come tel troverai in vecchiaia? (Eccl. XXV, 5)

Ai poveri. - Vale più il poco col timore di Dio, che i grandi tesori i quali non saziano. Più stimabile è il povero che cammina nella sua semplicità che il ricco di labbra perverse e stolto (Prov. XV, 16, XIX, i) .

A tutti. - Temi Dio e osserva i suoi comandamenti; perocchè questo è tutto l'uomo: e ogni cosa che si faccia la chiamerà Dio in giudizio per qualunque errore commesso, o sia ella buona, o sia ella malvagia (Eccl. XII, 12-14).

E basti perchè se volessi secondare il mio cuore, sa Iddio quando la finirei. Ma in ogni cosa ci vuole moderazione, ed io non voglio più oltre abusare della vostra bontà. Iddio vi benedica tutti, o miei cari lettori, tutti da capo a piedi, e vi dia tante consolazioni di quelle vere, quante sono le parole che leggeste in questo libretto. Vivete felici; e speriamo di rivederci di più lieto umore nell'anno 1869.

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