Il primo canto a Maria - Metodo tenuto all'Oratorio - I primi benefattori di D. Bosco - Escursioni per la città - Visita sui lavori - Viva D. Bosco! e battimano - Prudenti correzioni - Il critico redarguito.
del 19 ottobre 2006
 
Il carattere delle opere di Dio si è quello di cominciare dal poco, per quindi svilupparsi mirabilmente, contro la comune aspettazione, onde alla mente umana più chiaro risplenda che dal Cielo è la loro ispirazione ed il sostegno. Questa, come vedremo, fu pur l'impronta dell'opera di D. Bosco, il quale nella sua prudenza non aveva fretta. La denominò col titolo di Oratorio, dalla parte principale, che era la frequenza alla Chiesa e l'esercizio della orazione. La religione e le sue pratiche, la virtù, la morale educazione e quindi la salvezza dell'anima ne è il fine; la ricreazione, i divertimenti, il canto e la scuola, che poi fece seguito, non sono che i mezzi.
Nel corso di quel primo inverno Don Bosco si adoperò a consolidare il piccolo Oratorio. Sebbene suo scopo fosse di raccogliere soltanto i fanciulli ed i giovanetti più pericolanti e più' bisognosi di religiosa istruzione, e di preferenza quelli usciti dalle carceri; tuttavia, per meglio assicurare tra tutti la disciplina e la moralità, egli fin dai primi mesi invitò e trasse al suo Oratorio alcuni altri di civil condizione, di buona condotta e già istruiti. Questi, da lui addestrati, cominciarono ad aiutarlo a conservare l'ordine fra i compagni, a fare lettura ed anche a cantare sacre laudi, le quali cose rendevano ognor più proficua e dilettevole la festiva adunanza. D. Bosco si accorse fin d'allora come senza il canta e la lettura di libri ameni, ma onesti, quelle radunanze sarebbero state come un corpo senza vita. Il giorno della Purificazione, 2 di febbraio del 1842, erano già una ventina di belle voci, e poterono far risuonare il coretto di lodi all'augusta Madre di Dio, cantando per la prima volta: Lodate Maria, o lingue fedeli. Il giorno della SS. Annunziata, il numero dei giovani superava già la trentina. In quel dì si fece un po' di festa in onore della Madre celeste, accostandosi ognuno nel mattino ai Santi Sacramenti. Alla sera poi non potendoli più capire il coretto, si trasferirono nella vicina Cappella della retro sacristia. Poche settimane dopo erano cinquanta.
Allora l'Oratorio si teneva in questa guisa: Ogni mattino di festa si dava ai giovanetti comodità di accostarsi ai Sacramenti della Confessione e della Comunione; ma una Domenica al mese era stabilita per compiere tutti insieme questa pratica religiosa. La cara funzione veniva sempre annunziata precedentemente da D. Bosco, il quale con poche, ma cordiali parole esortava tutti a confessarsi e comunicarsi bene; poi li assisteva e li preparava con ammirabile pazienza e carità. Per le confessioni si prestavano sempre il Teol. Guala e Don Cafasso. D. Bosco teneva a mente il tempo trascorso, dacchè ogni giovanetto si era confessato, per istimolare con maggior carità coloro che si accorgeva averne più bisogno. La sera poi ad un'ora determinata si radunavano nel piccolo Oratorio anzidetto, ove si faceva un poco di lettura spirituale, si cantava una lode, seguiva il Catechismo, poscia si raccontava un esempio a modo di predica; in fine si distribuiva qualche oggetto ora a tutti, ora tirato a sorte.
I giovani frattanto si erano in gran parte cambiati, perchè succeduti i rigori del freddo e sospesi i lavori di costruzione, non pochi erano ritornati alle loro famiglie; ma, spuntata la primavera, essi ritornarono in Torino e corsero di nuovo con D. Bosco. Fra questi primeggiava Carlo Buzzetti, allora semplice garzone e poi capomastro muratore, il quale condusse seco per la prima volta in Torino il piccolo fratello Giuseppe, perchè imparasse il suo mestiere. Il buon ragazzetto talmente si affezionò a D. Bosco e a quelle radunanze festive, alle quali interveniva costante in modo esemplare, che ebbe poi a rinunciare a recarsi in famiglia a Caronno Ghiringhello, come sul principiar d'ogni inverno erano soliti fare gli altri suoi fratelli ed amici.
Il Teol. Guala e D. Cafasso godevano grandemente di questa raccolta di fanciulli, che andavano ogni festa aumentando. D. Bosco aveva osservato a D. Cafasso come, per animare questi giovanetti alla perseveranza, alle riunioni festive, fosse necessario dar loro dei regalucci e come egli non avesse danaro per ciò fare; ma D. Cafasso gli aveva prontamente risposto: - Questo non vi faccia difficoltà; alle spese occorrenti penserò io. -  
Difatti egli ed il Teol. Guala di quando in quando gli porgevano foglietti, libri, medaglie, crocifissi, da regalare a titolo di premio; talvolta gli consegnavano pezze di panno per vestirne alcuni dei più bisognosi; anzi a taluni di questi somministravano il vitto per più settimane, fino a tanto che non fossero in grado di guadagnarselo, col proprio lavoro. Non di rado, terminato il Catechismo, D. Cafasso faceva distribuire a tutti dei commestibili nel refettorio del Convitto, ed ai più assidui regalava giubbe, panciotti, scarpe, zoccoli, camicie ed altro, di cui li vedeva abbisognare. Avvenne eziandio che consegnasse a D. Bosco del danaro per provvedere egli stesso l'occorrente per qualche lotteria. D. Bosco allora, non uso a maneggiar danaro e specialmente monete grosse, non ne conosceva ancora troppo bene il valore. Certo crediamo non s'immaginasse di dover in vita sua maneggiarne una quantità enorme, di ogni forma, conio e metallo prezioso, proveniente da ogni parte del, mondo! Un giorno avendo ricevuto una pezza d'oro, credendola valesse solamente 20 lire, entrò in un negozio e comandò tanta roba pel valore di un marengo. Posta la moneta sul tavolo, vide che il mercante, senza far parola, gli dava indietro circa nove lire. - Perchè questo, chiese subito Don Bosco, non è un marengo che vi ho dato? - No, rispose il bottegaio; è una pezza da 28 e mezzo!
In quelle feste, in cui i giovanetti si accostavano in corpo ai SS. Sacramenti, D. Cafasso e D. Guala andavano a far loro una visita e loro raccontavano qualche fatterello, di cui quelli si mostravano avidissimi. Quando avveniva che D. Bosco dovesse assentarsi, lo facevano supplire da qualche convittore ed essi stessi vi andavano a fare il catechismo.
Quantunque però questi due sacerdoti si porgessero sempre così propizii e benevoli, tuttavia l'anima dell'Oratorio, l'impareggiabile amico, anzi il tenerissimo padre di quei giovanetti era sempre D. Bosco. Era in lui come innata la disposizione di occuparsi dei poveretti abbandonati. I modi affabili, che egli usava colla gioventù, erano tutt'affatto opposti al metodo di severità tenutosi fino allora. Egli consecrava per essi non solamente il giorno festivo, ma anche nei giorni feriali il tempo della passeggiata e qualche altra ora, secondo la licenza ottenuta dal Rettore. Andava qua e là, sulle piazze, nelle vie ed anche nelle officine, invitando i piccoli operai, che nelle feste abbandonati a se stessi, spendono in giuochi e ghiottonerie i pochi soldi guadagnati nella settimana: il che egli sapeva per esperienza essere sorgente di molti vizii e causa per cui anche i buoni diventano ben tosto pericolanti per sè e pericolosi per gli altri. E prendeva di mira specialmente quelli, che, arrivati da lontani paesi, non erano pratici nè di chiese, nè di compagni. Quando poi sapeva che taluno de' suoi amici era disimpiegato o si trovava presso cattivo padrone, si adoperava con sollecitudine affettuosa a trovargli lavoro ed affidarlo a padrone onesto e cristiano. Di ciò non pago, egli andava quasi ogni giorno a visitarli in mezzo ai lavori, nelle botteghe e nelle fabbriche, e quivi rivolgeva una parola ad uno, una domanda ad un altro, dava un segno di benevolenza a questo, faceva un regalo a quello, e tutti lasciava con una gioia indicibile. - Finalmente abbiamo chi si prende cura di noi! - esclamavano quei poveri giovanetti. - Le visite del buon sacerdote tornavano pure gradite ai padroni, i quali di buon grado tenevano al loro servizio garzoni così paternamente assistiti nei giorni festivi e feriali e resi, mediante la religione, ognora più fedeli e puntuali al lavoro. Questi poi si affezionavano talmente a D. Bosco, che l'incontrarsi con lui era sempre reputato un momento di giubilo e di festa e lo salutavano con cordiali ed entusiastiche ovazioni.
Un giorno avvenne che, presso il palazzo di città, D. Bosco s'incontrò con un giovanetto del suo Oratorio, che veniva dal far le spese. Questi teneva in mano, con le altre provviste, un bicchiere pieno di aceto ed una bottiglia con olio. Il piccolino, visto D. Bosco, si mise a saltare per allegrezza ed a gridare: - Viva D. Bosco! - D. Bosco ridendo gli disse: - Sei capace a fare come faccio io? - e così dicendo batteva le palme della mano una contro dell'altra. Il fanciullo, che era fuor di sè per la contentezza, mette la bottiglia sotto il braccio e grida di nuovo: - Viva Don Bosco! e batte le mani. Naturalmente per far ciò aveva lasciato cadere bicchiere, bottiglia e quanto aveva, e i cristalli si ruppero. A quel rumore egli resta un istante come sbalordito e poi si mette a piangere dicendo che, tornato a casa, sua madre lo avrebbe bastonato. - È un male, al quale si rimedia subito, gli disse tosto D. Bosco; vieni con me. - E lo condusse ancora piangente in una bottega. Raccontato l'aneddoto alla padrona, la pregò di provvedere al giovane quanto aveva perduto. - Presto fatto, rispose la padrona; e lei chi è? - Io sono D. Bosco! - La buona donna prese un bicchiere ed una bottiglia e versato l'olio e l'aceto consegnò il tutto al giovanetto. - Qual somma le debbo? chiese Don Bosco. - Ventidue soldi; ma l'avverto che già è tutto pagato!
Non minor affezione gli portavano que' giovanetti, che aveva addestrati all'ufficio di catechisti. Essendo studenti, egli come per ricompensa faceva loro un po' di ripetizione delle cose udite in iscuola, spiegando i tratti più difficili degli autori latini, e correggendo i loro compiti in modo che approfittassero delle correzioni. Questi, come usavano certi altri giovanetti operai in tempo di riposo, correvano a trattenersi con lui eziandio lungo la settimana, e più di una volta alcuni si traevano dietro le loro famiglie. Così l'influenza benefica di D. Bosco estendevasi più largamente anche fuori del Convitto.
Ora accadde che la famiglia Verniano, per mezzo del suo giovanetto di nome Emilio, stringesse relazione con lui, ed ora il padre, ora il figlio, ora le figlie, accompagnate dalla madre, venissero per visitarlo al giovedì nella sala di ricevimento. Quella famiglia era composta di otto figliuoli, e tutti avidissimi di udire la parola di D. Bosco. Ad esso però spiaceva grandemente la loro poca modestia nel vestire. Le figlie che non toccavano ancora i l0 o 12 anni, erano compatibili, ma non potevano scusarsi quelle che oltrepassavano i diciotto. Non volendo tuttavia dare un avviso che avesse l'aria d'acerbo rimprovero, sia perchè tale era la moda, sia perchè buona era la famiglia e non si faceva colpa di quella libertà non smoderata, attese il momento opportuno. Un giorno tutta quella casa era venuta a conversare con lui.  
Egli parlava e innanzi aveva una di quelle figliuoline, che a bocca aperta stava ad ascoltarlo. Ad un tratto Don Bosco le volge il discorso dicendo: - Vorrei che tu mi dessi una spiegazione. - Sì, mi domandi: rispose l'altra, tutta contenta. - Dimmi: perchè disprezzi così le tue braccia? - Io non le disprezzo. - Eppure mi sembra che sia così. - Oh tutt'altro, entrò a dire la madre; se sapesse: debba sgridarla continuamente per la sua vanità. Non ha mai finito di lavarle e quando le sembra di essere al punto, allora le profuma con acque odorose. - Eppure io ti dico, continuò D. Bosco rivolto alla piccolina, che tu disprezzi le tue braccia. - E perchè? in qual modo? - Perchè quando morirai, io voglio pregare che tu vada in paradiso; ma è certo che queste tue braccia saranno gettate a bruciare nel fuoco. E questa non è disprezzarle? - Ma io nulla faccio di male; io all'inferno non voglio andarci. - Eppure bisogna avere pazienza, la cosa è così: almeno in purgatorio e chi sa per quanta tempo. - Ma questo avviso fa anche per me, esclamò una delle più grandi, arrossendo; ed io, io che anche il collo ha scoperto? - Ebbene; le fiamme dalle braccia saliranno al collo e lo cingeranno tutto. - Ho capito, concluse la madre ho capito! tocca a me mettere il rimedio e la ringrazio dell'avvertimento che mi ha dato. Come risplendono in quest'ammonimento la prudenza e la modestia! D. Bosco è sempre lo stesso; ma ora che è sacerdote, non rifugge dall'intrattenersi con ogni sorta di persone. Così S. Paolo dice: “Mi sono fatto tutto a tutti, per tutti far salvi”. Quinc'innanzi egli rivolgerà le sue sollecitudini sacerdotali eziandio alle figliuole, essendo esse pure creature di Dio, redente dal Sangue di Gesù Cristo; ma noi ammireremo sempre in lui una grandissima riservatezza e nei modi e nelle parole.
Nè le sue relazioni si limitavano alle famiglie dei giovanetti frequentanti l'Oratorio, ma incominciavano ad estendersi pure a persone cospicue, a sacerdoti secolari e regolari; ed anche con loro D. Bosco non si peritava punto di fare le sue salutari osservazioni quando e come gli pareva opportuno.
Tra gli altri venivano a visitarlo al Convitto alcuni Padri di un preclaro Ordine religioso. Il discorso di uno di essi cadeva spesso sopra di un dotto e santo teologo, amico di D. Bosco, che, consigliato ad entrare in quell'Ordine, era stato accettato ed ammesso all'esame, ma non ottenne la promozione, nè potè entrare fra i novizi. Per questo fatto l'amico di D. Bosco, era divenuto, agli occhi di quel Padre, ignorante, privo di ingegno e di criterio, e come tale lo bollava nel discorrere con D. Bosco, facendo pur di sovente simile panegirico di questo o di quell'altro sacerdote. Più volte D. Bosco lasciò dire e tacque; ma finalmente un giorno non potè più sopportare la leggerezza di quel critico e con tono un po' risentito così ritorse l'accusa d'ignorante: - Ma se lo hanno invitato, se lo hanno ammesso all'esame, segno è ch'erano persuasi ch'egli fosse uomo di qualche levatura! Il disinganno non farebbe troppo onore alla loro perspicacia! - Il critico mortificato tacque, nè più osò ritornare sull'argomento. E D. Bosco, narrando questo ed altri fatti consimili, mentre manifestava la dolorosa impressione ch'egli provava nell'udire certe critiche, esortava tutti a non parlar mai male di alcuno, e tanto meno dei membri appartenenti al clero od a qualche Ordine religioso, essendo cosa affatto contraria alla carità e che lascia sempre una cattivissima impressione in chiunque abbia un tantino di criterio.
 
 
 
 
 
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