Compieva Domenico il secondo anno di sua età, quando per alcune convenienze di famiglia, i suoi genitori deliberarono di ritornare in patria, e andarono a fissare la loro dimora in Murialdo, borgata di Ca¬≠stelnuovo d'Asti.
del 05 maggio 2009
Patria - Indole di questo giovine -  ­Suoi primi atti di virtù.
 
I genitori del giovinetto, di cui intra­prendiamo a scrivere la vita, furono Savio Carlo e Brigida di lui consorte, poveri, ma onesti concittadini di Castelnuovo d'Asti ([1]), paese distante dieci miglia da Torino. L'anno 1841, trovandosi i buoni conjugi in gravi strettezze e privi di lavoro, andarono a di­morare in Riva ([2]), paese distante due miglia da Chieri, ove il marito si diede a fare il fabbro-ferraio, mestiere a cui erasi nella sua giovinezza esercitato. Mentre dimora­vano in questo paese, Dio benedisse il loro matrimonio concedendo un figliuolo, che do­veva esser la loro consolazione. La nascita di lui avvenne il 2 di aprile 1842. Quando lo portarono ad esser rigenerato nelle acque battesimali, gl'imposero il nome di Dome­nico, la qual cosa, sebben per sé sia indiffe­rente, tuttavia fu soggetto di alta conside­razione pel nostro fanciullo, siccome ve­dremo.
Compieva Domenico il secondo anno di sua età, quando per alcune convenienze di famiglia, i suoi genitori deliberarono di ritornare in patria, e andarono a fissare la loro dimora in Murialdo, borgata di Ca­stelnuovo d’Asti.
Le sollecitudini de’ buoni genitori erano tutte rivolte a dare una cristiana educazione al loro fanciullo, che fin d’allora formava l’oggetto delle loro compiacenze. Egli aveva sortito dalla natura un’indole buona, un cuore propriamente nato per la pietà. Ap­prese con maravigliosa facilità le preghiere del mattino e della sera, ed all’età di soli quattro anni già recitavale da sé. Anche in quella età di naturale divagazione egli di­pendeva in tutto e per tutto dalla sua ge­nitrice; e se qualche volta da lei si allon­tanava era solamente per mettersi in qualche cantuccio della casa e fare con maggior li­bertà preghiere lungo il giorno.
«Fin dalla più tenera età, affermano i suoi genitori, nella quale per mancanza di riflessione i fanciulli sono un disturbo e cruccio continuo per le madri; età in cui tutto vogliono vedere, toccare e per lo più guastare, il nostro Domenico non ci diede mai il minimo dispiacere. Non solo era ub­bidiente, pronto a qualsiasi nostro comando, ma si studiava di prevenire le cose, che egli scorgeva tornare a noi di gradimento. »
Erano poi curiose e nel tempo stesso piacevoli le accoglienze che faceva al padre quando lo vedeva giungere a casa, dopo i suoi ordinari lavori. Correva ad incontrarlo e presolo per mano e talor saltandogli al collo, caro papà, gli diceva, quanto siete stanco! non è vero? voi lavorate tanto per me ed io non sono buono ad altro che a darvi fastidio; io pregherò il buon Dio che doni a voi la sanità, e che mi faccia buono. Così dicendo lo accompagnava in casa, gli presentava la sedia o lo scanno perché vi si sedesse; gli teneva compagnia e gli fa­ceva mille carezze. Questo, dice il padre, era per me un dolce conforto nelle mie fa­tiche, ed io era come impaziente di giun­gere a casa per imprimere un tenero bacio al mio Domenico, che possedeva tutti gli affetti del mio cuore.
La sua divozione cresceva più dell’età, ed a soli quattro anni non occorreva più di avvisarlo di recitare le preghiere del mattino e della sera, prima e dopo il cibo, dell’angelus; che anzi egli medesimo invi­tava gli altri di casa a recitarle qualora se ne fossero dimenticati.
Avvenne che un giorno i suoi parenti di­stratti da alcuni schiamazzi si posero senz’al­tro a desinare. O papà, disse l’attento Do­menico, non abbiamo ancora invocato la be­nedizione del Signore sopra i nostri cibi. Ciò detto cominciò egli stesso a fare il segno della santa croce e a recitare la solita preghiera.
Altra volta un forestiere accolto in casa sua si pose parimenti a mangiare senza fare alcun atto di religione. Domenico non osando avvisarlo si ritirò afflitto in un angolo della casa. Interrogato di poi da' suoi parenti in­torno a tale novità rispose: io non ho osato pormi a tavola con uno che si mette a man­giare come fanno le bestie.
[1] Anticamente appellavasi Castelnuovo di Rivalba, perché dipendeva dai conti Biandrate signori di que­sto paese.
Circa l'anno 1300 essendo stato conquistato dagli a­stigiani, fu di poi detto Castelnuovo d’Asti. - In quel tempo era molto popolato di gente industriosa ed ap­plicatissima al commercio, che andavano ad esercitare in varie città d'Europa.
Fu patria di molti uomini celebri.
Il famoso Argentero Giovanni, detto il gran me­dico di quel secolo, nacque in Castelnuovo d’Asti nel 1513 - scrisse molte opere di vasta erudizione. Egli era molto pio ed assai divoto della gran madre di Dio, ed eresse in di Lei onore la cappella della B. V. del po­polo nella chiesa parochiale di s. Agostino in Torino. - Il suo corpo fu sepolto nella chiesa metropolitana con una onorevole iscrizione, che tuttora si osserva - Molti altri personaggi illustrarono questo paese. Ul­tima mente fu il sacerdote Giuseppe Caffasso, uomo commendevolissimo per pietà, scienza teologica e carità verso gli ammalati, carcerati, condannati al patibolo ed infelici di ogni genere. Nacque nel 1811 e morì nel 1860. (V. Casalis. diz.)
[2] Dicesi Riva di Chieri per distinguersi da altri paesi di questo nome. È distante quattro chilometri da Chieri. L’imperator Federico con diploma del 1164 investì il conte Biandrate del dominio di Riva di Chieri. Di poi venne ceduto agli astigiani. Nel secolo decimo sesto passò sotto al dominio di Casa Savoja - Monsi­gnor Agostino della Chiesa, e Bonino nella biogra­fia medica parlano a lungo di molti celebri personaggi che ivi ebbero i loro natali.
san Giovanni Bosco
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