Omelia di mons. Angelo Amato in occasione dell'orinazione sacerdotale di Don Giorgio Bazzo, Don Gilberto Driussi e Don Filippo Gorghetto. «La Chiesa e il mondo oggi hanno bisogno soprattutto di preti santi. Non deve spaventarci tanto il numero ridotto di sacerdoti, deve sgomentarci solo la loro mancanza di santità. La qualità è più importante della quantità...».
del 28 giugno 2009
San Donà di Piave - VE, 20 giugno2009
 
 
1. All’indomani dell’apertura dell’anno sacerdotale, l’ordinazione di Don Giorgio Bazzo, Don Gilberto Driussi e Don Filippo Gorghetto è un segno della benevolenza della Provvidenza nei confronti dell’Ispettoria Salesiana San Marco. Tre nuovi sacerdoti sono un immenso dono alla Chiesa e costituiscono anche un tesoro spirituale e umano incomparabile per l’apostolato salesiano qui nel Triveneto. E di questo dobbiamo anzitutto ringraziare la Santissima Trinità, che, fin dal grembo materno, ha conosciuto e formato i nostri tre giovani, stabilendoli profeti delle nazioni (cf. Ger 1,4-9). In secondo luogo un grazie particolare va ai loro genitori, che hanno fatto al Signore e alla Chiesa il regalo più bello: i loro figlioli. La Chiesa oggi ha bisogno di sacerdoti santi per la santificazione dei fedeli. Ma anche il  mondo oggi ha bisogno di buoni sacerdoti per la crescita autenticamente umana della società. A consolazione dei familiari, Don Bosco diceva che, quando un giovane lascia i suoi cari per diventare sacerdote, Gesù prende il suo posto nella famiglia.
 
2. Ma chi è il sacerdote? È la liturgia della parola che risponde a questa nostra domanda. Il Sacerdote è un giovane chiamato da Dio a proclamare la parola del Signore: «Il Signore stese la mano, mi toccò la bocca e il Signore mi disse: “Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca”» (Ger 1,9). Il sacerdote non dice parole sue, ma proclama le parole di Dio. Il suo libro è il Vangelo, la sua biblioteca la Sacra Scrittura. Le sue non sono opinioni effimere, ma parole di verità. Il sacerdote non annuncia se stesso, ma è l’ostensorio della parola di Dio.
È in questa fedeltà alla parola e alla verità di Dio, che egli trova la saggezza e la fortezza necessarie per guidare i fedeli nel loro cammino di santificazione quotidiana. Ma questo magistero della parola deve essere accompagnato dal magistero della vita. Il sacerdote – ammonisce san Pietro nella seconda lettura (1Pt 5,1-4) – deve essere modello di vita cristiana. Il sacerdote insomma deve essere buono, saggio, santo. La Chiesa e il mondo oggi hanno bisogno soprattutto di preti santi. Non deve spaventarci tanto il numero ridotto di sacerdoti, deve sgomentarci solo la loro mancanza di santità. La qualità è più importante della quantità. Basta un prete santo - come Don Bosco, come il Curato d’Ars, come Padre Pio – per convertire una parrocchia, una diocesi, una intera nazione.
 
3. Per la questa sua indispensabile opera di edificazione spirituale dei fedeli, il sacerdote ha un modello e un maestro insuperabile, Gesù, il buon pastore, il pastore che conosce le sue pecore, che dona la vita per loro e che riesce a condurre all’ovile anche le pecore che sono fuori  (cf. Gv 10,11-16). 
“Chi è allora il Sacerdote?”. Il Sacerdote è quindi il maestro che proclama la parola di Dio, è il buon pastore che guida i fedeli nel loro pellegrinaggio terreno verso la patria eterna, è il missionario che conduce alla Chiesa anche coloro che sono lontani e che non conoscono Gesù e il suo vangelo di vita, di verità, di gioia. Il sacerdote è un alter Christus, che ha lo stesso cuore grande e misericordioso come il Cuore di Gesù. Il Santo Curato d’Ars diceva che «il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù».[1]
 
4. Come esercita il sacerdote questa sua missione di amore? Mediante i sacramenti. Nel battesimo, egli restituisce la grazia della vita divina ai bambini che si aprono alla vita. Nel sacramento del matrimonio egli benedice i giovani sposi donando loro quella grazia particolare per vivere in fedeltà la loro esistenza sponsale e per accogliere ed educare con generosità e sapienza i figli del loro amore benedetto. Nel sacramento della penitenza il sacerdote dona con generosità la gioia del perdono alle coscienze afflitte dal peccato e dalle infedeltà alla legge del Signore. Col sacramento dell’Eucaristia egli nutre il popolo di Dio col pane di vita eterna.
Il Curato d’Ars, parlando del grande dono che i sacerdoti sono per la Chiesa, diventava particolarmente eloquente:
«Tolto il sacramento dell'Ordine - egli diceva - , noi non avremmo il Signore. Chi lo ha riposto là in quel tabernacolo? Il sacerdote. Chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l'ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest'anima viene a morire [per il peccato], chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il sacerdote... Dopo Dio, il sacerdote è tutto!... Lui stesso non si capirà bene che in cielo».[2]
Nella sua grande sapienza, il santo prete francese riconosceva che è il sacerdote che continua l’opera della Redenzione di Cristo sulla terra: «Che ci gioverebbe una casa piena d’oro se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti: è lui che apre la porta; egli è l’economo del buon Dio; l’amministratore dei suoi beni... Lasciate una parrocchia, per vent’anni, senza prete, vi si adoreranno le bestie... Il prete non è prete per sé, lo è per voi».[3]
 
5. Cari giovani sacerdoti salesiani, ecco la grandezza della vostra missione, ma anche la difficoltà del vostro compito. Quando il Curato d’Ars entrò per la prima volta nel suo piccolo villaggio di 230 abitanti aveva ancora nelle orecchie le parole del Vescovo: «Non c’è amor di Dio in quella parrocchia; voi ce ne metterete».
Iniziò così il suo ministero donandosi tutto ai suoi parrocchiani, che diventarono la sua famiglia, il suo tutto. Tutta la sua vita fu spesa per la conversione della sua parrocchia. Fu un prete che non badò a sè ma agli altri.
Così sono i sacerdoti. Essi spendono tutta la loro esistenza non per una loro famiglia ma per la grande famiglia dei figli di Dio in un servizio quotidiano faticoso, nascosto e fedele. I sacerdoti sono gli amici fedeli di Gesù e spesso ne imitano anche la passione.
Per questo la santa madre di Don Bosco, Mamma Margherita, il giorno dell’ordinazione del suo Giovannino gli ricordò senza sdolcinature che iniziare a dire Messa, significava iniziare a soffrire. I sacerdoti, infatti, sono spesso incompresi nella loro missione di verità. Talvolta vengono derisi, umiliati, offesi, impediti, perseguitati fino alla suprema testimonianza del sangue. Nell’autunno scorso, a Trieste la Chiesa ha beatificato un giovane sacerdote italiano, Don Francesco Bonifacio, ucciso dai nemici del Vangelo in odium fidei, solo perché diceva messa e faceva il catechismo ai bambini. Un giorno del settembre del 1946, mentre ritornava dalla celebrazione eucaristica, fu preso, torturato e buttato in una foiba. Non basterebbero i pianti di cento mamme per lenire il dolore di questa atrocità.
 
6. Ma il Santo Padre Benedetto XVI ricorda che il sacerdozio, nonostante le difficoltà e le incomprensioni, è un dono grande di Dio a tutti noi.
In questo nostro tempo di scristianizzazione massiccia, di irrisione dei comandamenti di Dio e di avversione frontale al Vangelo, c’è bisogno di sacerdoti santi. E anche di sacerdoti salesiani santi, che continuano l’esempio di Don Bosco nella formazione di onesti cittadini e di buoni cristiani.
I salesiani sono infatti educatori di giovani. Di fronte all’odierna emergenza educativa, il salesiano trova nel metodo educativo di Don Bosco la chiave per far fronte all’odierno disagio giovanile. Il trinomio salesiano ragione, religione, amorevolezza costituisce per i genitori e gli educatori cristiani un vademecum pedagogico indispensabile oggi: ragione, ai giovani bisogna spiegare le ragioni del loro retto comportamento; religione, ai giovani bisogna dare gli aiuti spirituali –sacramenti, Vangelo - per seguire i dettati della retta coscienza; amorevolezza, ai giovani bisogna far vedere che è la carità la fonte degli interventi degli educatori.
Oggi come ieri, i sacerdoti incontrano spesso giovani senza amor di Dio, ignoranti dei comandamenti, a digiuno del Vangelo. Con pazienza e perseveranza devono colmare queste lacune con la catechesi, insegnando loro a pregare, a partecipare alla santa Messa, a confessarsi, a leggere la Parola di Dio.
Il Curato d’Ars esortava a visitare frequentemente Gesù presente nel santo Tabernacolo: «Venite alla comunione, fratelli miei, venite da Gesù. Venite a vivere di Lui per poter vivere con Lui».[4]
Il Curato d’Ars, Don Bosco, Padre Pio erano sacerdoti che celebravano la santa messa come sacrificio di immolazione per i fedeli come Gesù. Così la loro vita era una immedesimazione con il sacrificio di Cristo per la salvezza delle anime. La Messa è il cuore della vita di un prete e la sua unica passione deve essere la salvezza delle anime.
Don Luigi Traverso, l’ottantenne parroco di San Siro, nel cuore di Genova, interrogato da un giornalista sul suo rapporto con la gente ha risposto: «Condividendo problemi, difficoltà, miserie, gioie. Il sacerdote deve far sapere che ciascuno è amato da Dio e che Gesù è morto in croce per salvarci. Io prego il Signore che riesca a salvare tutti quelli che incontro, che nessuno manchi all’appello finale».[5]
Uno strumento oltremodo efficace per la conversione alla bontà e all’onestà è la confessione. Come Don Bosco, come il Curato d’Ars il sacerdote deve spendersi in questo sacramento. La confessione è il sacramento della santificazione e della formazione dei giovani.
Non trascurate questo sacramento. Don Bosco educò alla santità i suoi giovani proprio mediante il sacramento della confessione, che restituiva ai giovani la gioia della grazia dando loro anche la perseveranza nel bene. Passava ore intere a confessare. I giovani hanno bisogno di questo aiuto spirituale e i sacerdoti salesiani devono essere sempre disponibili a dispensare loro il perdono sacramentale.
A tale riguardo il Curato d’Ars svelò a un sacerdote come si comportava nel dare la penitenza ai suoi fedeli: «Vi dirò qual è la mia ricetta: dò ai peccatori una penitenza piccola e il resto lo faccio io al loro posto».[6]
Un’ultima esortazione. Come il Curato d’Ars, anche Don Bosco non aveva ritegno di invitare i giovani alla santità. E i giovani hanno risposto positivamente e con entusiasmo a questo richiamo: san Domenico Savio, la beata Laura Vicuña, il beato Zefirino Namuncurà e tanti altri.
 
7. Cari giovani sacerdoti, il Santo Padre ha riassunto in otto punti un preciso identikit del sacerdote oggi. Deve essere umile, ma consapevole del suo grande compito. Deve identificarsi col suo ministero, vivendo nella preghiera e aspirando alla santità. Deve vivere di carità e donare carità. Deve celebrare la Santa Messa con fedeltà e partecipazione. Deve richiamare i fedeli alla confessione, mostrando il volto misericordioso di Gesù. Deve essere magnanimo nel donare agli altri ed esigente e povero per se stesso. Deve vivere con impegno il suo celibato sacerdotale. Deve vivere in comunione con i superiori, con i confratelli, con il Papa e i Vescovi.
Per assolvere a questo compito, il sacerdote ha una guida, la Beata Vergine Maria, ausiliatrice dei cristiani e madre dei sacerdoti. Lei che ha dato al mondo Gesù, sommo ed eterno sacerdote, vi accompagnerà nel vostro apostolato. Come per Don Bosco anche per voi Lei sarà la maestra che ci insegnerà a vivere fedeli testimoni del Vangelo per i giovani del nostro tempo.
 
Amen.
 
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[1] L’espressione è citata nel Catechismo della Chiesa Cattolica,  n. 1589.
[2] Citazione in BENEDETTO XVI, Lettera per l’indizione dell’anno sacerdotale, 16 giugno 2009.
[3] Ib.
[4] Ib.
[5] Intervista pubblicata da “Il Giornale” del 19 giugno 2009, p. 21.
[6] BENEDETTO XVI, Lettera per l’indizione dell’anno sacerdotale, 16 giugno 2009.
Angelo Amato SdB
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