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Caro diario...

Caro diario... ogni volta che incontro in profondità un uomo comprendo che vivere significa far vivere l'altro mettendosi in ginocchio di fronte al mistero che rappresenta. Devo perdermi se voglio trovarmi. E il campo dell'educazione mi permette questa avventura... (omelia tenuta in occasione della conclusione di un Seminario sul Sistema Preventivo).


Caro diario...

da Teologo Borèl

del 25 settembre 2007

Omelia tenuta in occasione della conclusione del Seminario sul Sistema Preventivo organizzato dalla Ispettoria Madre Mazzarello (Triveneto) a Lignano (UD) da 21 al  23 settembre 2007.

  

 

Dopo questa bella esperienza forse qualcuno di voi questa sera prima di addormentarsi estrarrà da sotto il cuscino il proprio diario per annotarsi quanto vissuto. Voglio immaginare quello che alcuni di noi scriveranno…

 

 

Caro diario,

sono qui ansioso di potermi stendere sul letto, ma sento che farei un torto a me stesso se prima non mettessi nero su bianco riguardo quanto vissuto in questi giorni in cui ho incrociato tanti volti, alcuni noti, altri sconosciuti… Ho fatto una esperienza in cui ho scoperto che… indosso un bel vestito: il vestito del carisma salesiano. Il sarto che me l’ha confezionato me l’ha fatto su misura; in questi giorni mi son guardato allo specchio più volte e mi son detto: sto proprio bene con questo vestito! È il mio!

Ho scoperto anche che io sono una specie di biblioteca vivente. Mi spiego. Abbiamo parlato del Sistema Preventivo: mi immaginavo la presenza di grandi oratori, distribuzione di dispense e materiali vari. Invece, poco l’inizio, ho scoperto che il principale libro di testo sono io e che la mia vita è come la spiaggia che raccoglie tutto ciò che il mare le porta. Ho scoperto che io sono un libro che val la pena di leggere, nonostante alcuni errori grammaticali, a volte di forma, e alcuni capitoli oscuri che per ora non ho voglia di rileggere. Mi sono anche accorto che sono un libro incompiuto sebbene gli autori siano vari.

In questo testo in cui i giorni corrono via veloci come pagine sfogliate dal vento, ho colto tutta la mia passione educativa, i miei desideri e i miei limiti, le certezze e le paure. Ma soprattutto ho colto che io non sono un insieme di pagine bianche rilegate bene assieme in attesa di essere scarabocchiate. Sono invece scritto con un inchiostro indelebile ovvero sono abitato: non sono una casa vuota da affittare ad altri. Sì, sono abitato da tanti sogni, da tanti volti, soprattutto da quelli sfigurati e abbandonati; sono abitato dalla voglia di essere una biblioteca in cui tutti possono prendere i miei libri non solo per leggerne le pagine ma anche per strapparle e tenerle per sé.

 

Caro diario,

questa mattina ascoltando la seconda lettura (1Tm 2,1-8) della messa forse ho capito il senso ed il motivo profondo del sistema educativo di Don Bosco e quale fosse il fuoco che animava il suo cuore. Non che prima non lo sapessi, ma oggi ho avuto come una luce che ha messo un po’ di ordine tra i tanti appunti presi in questi giorni e tra i tanti graffiti disegnati da sempre nel mio cuore. San Paolo dice: “Gesù vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità”.

La parola salvezza mi sembra una parola chiave in Don Bosco: lui voleva salvare tutti. Caro diario, ti chiedo perdono, ma pensando alla parola salvezza mi viene in mente il bagnino che ho visto non distante dalla riva ieri, verso sera. Ebbene… io non voglio essere un bagnino che osserva i bagnanti da lontano intervenendo solo nei momenti di emergenza magari limitandosi a gettare il salvagente o tuffandosi in acqua solo nel momento in cui qualcuno è in serio pericolo. Vorrei essere piuttosto un maestro di nuoto che, ad imitazione dei maestri di bottega, abilita, passo dopo passo, stando fianco a fianco immerso anche lui nell’acqua, a nuotare nel mare della vita, in tutti i mari della vita, in quelli profondi e in quelli insidiosi, in quelli calmi e in quelli burrascosi, in quelli in cui l’orizzonte si perde e in quelli stagnanti. Vorrei essere una persona che, sebbene a volte vulnerabile, insegna con la sua vita ad esplorare le profondità marine dell’esistenza per cogliervi tutta la loro inesauribile bellezza e far cogliere così che “il mestiere di vivere” è una gran bella cosa! Vorrei allora gridare al mondo che la salvezza ci abita!! Perché cercare fuori di noi quella verità che Dio ci vuol far conoscere? Vorrei una buona volta tuffarmi dentro me, inabissarmi in me stesso e cogliere che sono abitato dalla verità e che questa è la mia salvezza. Perché cercare agenzie di viaggio che ci portino in mondi lontani quando il paradiso è dentro di noi? Non è forse vero che Dio ci abita? Conoscere la verità è conoscere se stessi.

Mi son detto anche “Gesù vuole che tutti gli uomini siano salvati…”. Salvati… ma da che cosa? Per tanti, infatti, non siamo affatto in una “valle di lacrime” - come dice la Salve Regina - da cui essere sottratti. E allora… dobbiamo essere salvati da che cosa? Beh… forse proprio dalla “non conoscenza”. Chi non si conosce, chi non conosce la propria origine e il proprio dna esistenziale vivrà la propria vita cabotando per timore di non avere gli strumenti adatti per osare il grande viaggio; chi si conosce ha invece il coraggio dei viaggi transoceanici.

Educare come don Bosco allora, caro diario, significa portare i giovani a conoscere, a toccare con mano i desideri che li abitano, quei desideri che sono l’ossatura della loro vita, quei desideri che non sono altro che le stigmate della nostalgia di Dio. Abdicare al compito educativo significa lasciare i giovani nella non conoscenza di sé e relegarli a viaggi di piccolo cabotaggio in acque stagnanti e poco profonde in cui è facile incagliarsi.

 

Caro diario,

c’è un'altra parola che mi ha colpito in quella frase di san Paolo. Vi è scritto all’inizio “Gesù vuole che tutti gli uomini siano salvati”. È il desiderio di Gesù che tutti gli uomini siano salvati. Ma io… che cosa voglio? Che cosa desidero per la mia comunità, per la mia famiglia, per i giovani che mi sono affidati, per me stesso? Se in questi due giorni mi fossi cimentato nei panni di un giornalista e avessi posto questa domanda a chi mi stava accanto avrei scoperto che in fondo sappiano che cosa vogliamo. Il problema forse è un altro: fino a che punto sono disposto a mettermi in gioco? Fino a che punto sono disposto a dare la vita per ciò in cui credo?

Quando ho sentito “Gesù vuole” ho pensato che san Paolo si è dimenticato di scrivere qualche altra parola che possiamo facilmente intuire: “Gesù ad ogni costo vuole”. Ad ogni costo… ovvero non ci sono costi così alti da impedirmi di volere. Caro Diario, qui il discorso si fa serio. Non basta desiderare, non basta sognare, non basta aver cura di tutti gli angoli del nostro cuore e sospirare per i bei pensieri che questo coltiva; è necessario, per passare decisamente all’azione, far leva anche sulla nostra volontà. Me lo sono chiesto più volte: fino a che punto sono disposto a giocarmi nel campo educativo? Fino a che punto sono disposto a soffrire, a provar dolore per l’altro? Mi piace pensare all’educazione come al parto: l’educazione da la vita come il parto, ma come il parto dare la vita nell’educazione significa soffrire perché amare è voce del verbo morire.

Con la scusa che è tardi e che la suggestiva candela che mi fa compagnia quando scrivo su di te si sta ormai consumando, lascio questi pensieri che mi inquietano alquanto forse perché pensavo che educare fosse quella cosa che si fa in oratorio quando si è al Grest durante le vacanze estive. Intuisco che quello è solo un momento di passaggio verso altro…

 

Caro diario,

il Vangelo (Lc 16,1-13) di quest’oggi non l’ho capito poi tanto. Ho però compreso che l’unica ricchezza è Dio. Sai, quando ho sentito leggere “Non potete servire a Dio e a mammona”, ho subito pensato che mammona… potrei essere io!! E lo sono ogni volta che faccio di me una ricchezza che gelosamente custodisco e non sacrifico sugli altari del mondo. Sono io mammona ogni volta che vivo l’educazione come una occasione per apparire o per strappare qualche applauso. Sono io mammona ogni volta che faccio il prezioso e non cedo alla logica dell’umiltà. Ma in questo modo... divento servo di me stesso! Qui la lotta si fa dura: si tratta di decidere tra il mio io e Dio. Essere servi di Dio significa essere servi dell’Amore. Essere servi di se stessi significa chiudersi nel piccolo orto della propria esistenza.

Ogni volta che incontro in profondità un uomo comprendo che vivere significa far vivere l’altro mettendosi in ginocchio di fronte al mistero che rappresenta. Devo perdermi se voglio trovarmi. E il campo dell’educazione mi permette questa avventura spirituale, ascetica perché mi permette di perdermi per l’altro, chiunque esso sia, così come Cristo ha fatto e come hanno fatto anche don Bosco e Madre Mazzarello. Allora sì che mi ritroverò. Che cosa paradossale! Se educo donandomi mi educo. Se educo donandomi l’educando diventa mio educatore. Vabbè… Non mi è ancora tutto chiaro.

Sai, ieri sera ho visto due suore, un po’ anzianette a dir la verità, che giocavano con la forchetta: la tenevano in bocca e dovevano tenerne in equilibrio un’altra. Le ho fissate con attenzione, e con un po’ di invidia. Non so chi delle due abbia vinto. So solo che sono stato rapito da un momento di contemplazione. E ho pensato: «Deve essere veramente buono Dio per regalarmi tutto questo. Deve essere veramente giusto Dio se guarda al cuore e non all’età. Deve essere veramente umile Dio se si serve di me per educare il suo popolo».

 

Caro diario… buonanotte.

Tra poco ci sarà l’alba. Un’alba nuova.

I.B.

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