Secondo una ricerca del Cremit (Centro di Ricerca sull'Educazione ai Media all'Informazione e alla Tecnologia) il telefono mobile è diventato un secondo cordone ombelicale: lega e libera allo stesso tempo. Gli adolescenti e gli usi di uno strumento sempre più oggetto sociale
del 12 novembre 2008
Sono nati con in tasca il cellulare che, mentre li emancipa, li lega anche ai genitori come un secondo cordone ombelicale. Sono gli adolescenti di oggi, una generazione “nativa digitale”, che non ha un “prima” e un “dopo” rispetto alla diffusione del telefono mobile. Fa parte del loro ambiente mediale e sociale e più del 90% ne possiede uno personale. Al loro rapporto con il telefono mobile il professor Pier Cesare Rivoltella, docente di Tecnologie dell'istruzione e dell'apprendimento e direttore del Cremit, ha dedicato uno studio qualitativo commissionato dall’Osservatorio sull’immagine dei minori. Dei ragazzi sottoposti a questionario e a focus group, la maggioranza lo usa da 4 (23,4%), 5 (28%) e 6 anni (17,2%). L’utilizzo è quotidiano per il 90% dei partecipanti alla rilevazione; la metà lasciano il cellulare acceso sempre, anche di notte. Due terzi di loro dichiarano di averlo cambiato tre e più volte da quando ne fanno uso. Lo utilizzano per inviare messaggi, scattare fotografie e telefonare, sfruttando i vantaggi di tariffe economiche. Decisamente meno frequenti Mms, Internet e video. In posizione intermedia le pratiche di gioco.
 
La ricerca dell’Università Cattolica mirava a vedere soprattutto i profili d’uso da parte dei ragazzi. Il dato che salta subito all’occhio è che non esiste una differenza tra studenti dei licei e dei professionali, se non per il grado di consapevolezza critica legato alla maggiore cultura. Per tutti, però, il cellulare è “utile e invasivo” allo stesso tempo, sempre meno “strumento” e sempre più “protesi di competenza sociale”. Il telefono mobile diventa un oggetto sociale, vero nodo di allacciamento delle reti di cui i ragazzi sono parte. «È come se i ragazzi avessero fatto un bilancio tra i vantaggi e gli svantaggi dell’uso del cellulare – afferma il professor Rivoltella - analizzandone pregi e difetti proprio in chiave sociale. Sono le reti e le relazioni, cui gli adolescenti dimostrano di tenere moltissimo, la posta in gioco. L’invasività è forse il prezzo da pagare». Gli adolescenti accettano così un duplice compromesso legato al cellulare: di essere sempre connessi, pur di non perdere le occasioni di socialità che questo strumento consente. Dall’altro di essere sempre reperibili da parte dei genitori, pur di potere guadagnarsi maggiore libertà di uscire.
 
 
«Quest’ultimo fenomeno, definito da alcuni come telemothering, permette di riconcettualizzare il cellulare come spazio di negoziazione e di collaborazione tra adulti e ragazzi piuttosto che come strumento di allontanamento, perché permette di istituire complicità, di pattuire accordi, di esercitare il controllo o di vivere la libertà», spiega il direttore del Cremit. I ragazzi sembrano vivere il telefonino come il dono “spartiacque” che testimonia il guadagno di una certa condizione di emancipazione dalla famiglia: tecnologia di libertà, il cellulare libera dalla preoccupazione di trovare un telefono per comunicare con i genitori, soprattutto consente di lasciarli tranquilli e proprio per questo garantisce un maggior spazio di azione. D’altro lato per il genitore il cellulare è vissuto come il mezzo essenziale che serve a contingentare la sua ansia; tecnologia di controllo, il cellulare (pur non consentendo di sapere “dove” esattamente il figlio si trovi) permette un aggiornamento in tempo reale sullo stato di salute del figlio, le sue intenzioni, e costituisce la certezza che in caso di difficoltà potrà sempre mettersi in contatto con la famiglia.
 
 
Al di là dei possibili rischi, il cellulare è visto sia dai genitori che dai figli come uno strumento utile e gli usi che se ne fanno tendono a convergere, come se questo strumento generasse la possibilità di una intermediazione intergenerazionale e intrafamiliare. «Ci sono sempre più genitori e adulti che “messaggiano”, ma anche sempre più adolescenti che usano il telefono per programmare la propria agenda, proprio come gli adulti», spiega Rivoltella. «E poi ci sono anche forme di controllo alla rovescia, con i ragazzi che dichiarano di controllare con chi scambiano messaggi i genitori».
 
Ciò a cui si assiste complessivamente è un fenomeno di “normalizzazione” del cellulare: «È talmente integrato nel vissuto - sostiene il direttore del Cremit - che non ha senso ed è anacronistica una prospettiva espulsiva dagli ambiti della vita dei ragazzi». Anche da contesti formativi come la scuola, dove i ragazzi rivelano una presenza capillare del mezzo  nonostante sia vietato. Per il professor Rivoltella è molto meglio responsabilizzare o addirittura integrare la tecnologia per finalità formative. Ma la ricerca doveva fermarsi a capire come i ragazzi usano il cellulare. Da qui in poi si apre, per tutti, la responsabilità degli interventi educativi.
 
Paolo Ferrari
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