Redatti da don Bosco non oltre l’estate 1854, l’“Introduzione” al “Piano di regolamento” e il “Cenno storico dell’Oratorio di S. Francesco di Sales” costituiscono la prima storia dell’Opera di Valdocco, meno idealizzate e ideologizzate rispetto alla rievocazioni più tardive (Cenni storici 1862, Memorie dell’Oratorio 1873...), con cui deve essere confrontata. Ne emerge la forza di una testimonianza, colta nelle sue origini e nei primi sviluppi.
Testo critico con introduzione, apparati delle varianti e delle note storico-illustrative in Pietro Braido (ed.), Don Bosco educatore scritti e testimonianze. Terza edizione con la collaborazione di Antonio da Silva Ferreira, Francesco Motto e José Manuel Prellezo. Istituto Storico Salesiano, Fonti, Serie prima, n. 9. Roma, LAS 1997, pp. 108-133.
TESTO
Piano di Regolamento per l’Oratorio maschile di S. Francesco di Sales in Torino nella regione Valdocco
Introduzione
Ut filios Dei, qui erant dispersi, congregaret in unum. Joan. c. 11 v.52.
Le parole del santo Vangelo che ci fanno conoscere essere il divin Salvatore venuto dal cielo in terra per radunare insieme tutti i figliuoli di Dio, dispersi nelle varie parti della terra, parmi che si possano letteralmente applicare alla gioventù de’ nostri giorni. Questa porzione la più dilicata e la più preziosa dell’umana Società, su cui si fondano le speranze di un felice avvenire, non è per se stessa di indole perversa. Tolta la trascuratezza dei genitori, l’ozio, lo scontro de’ tristi compagni, cui vanno specialmente soggetti ne’ giorni festivi, riesce facilissima cosa l’insinuare ne’ teneri loro cuori i principii di ordine, di buon costume, di rispetto, di religione; perché se accade talvolta che già siano guasti in quella età, il sono piuttosto per inconsideratezza, che non per malizia consumata.
Questi giovani hanno veramente bisogno di una mano benefica, che prenda cura di loro, li coltivi, li guidi alla virtù, li allontani dal vizio.
La difficoltà consiste nel trovar modo di radunarli, loro poter parlare, moralizzarli.
Questa fu la missione del figliuolo di Dio; questo può solamente fare la santa sua religione. Ma questa religione che è eterna ed immutabile in se, che fu e sarà mai sempre in ogni tempo la maestra degli uomini contiene una legge così perfetta, che sa piegarsi alle vicende dei tempi, e adattarsi all’indole diversa di tutti gli uomini. Fra i mezzi atti a diffondere lo spirito di religione ne’ cuori inculti ed abbandonati, si reputano gli Oratori. Sono questi oratori certe radunanze in cui si trattiene la gioventù in piacevole ed onesta ricreazione, dopo di aver assistito alle sacre funzioni di chiesa.
I conforti che mi vennero dalle autorità civili ed ecclesiastiche, lo zelo con cui molte benemerite persone vennero in mio aiuto e con mezzi temporali e colle loro fatiche, sono segno non dubbio delle benedizioni del Signore, e del pubblico gradimento degli uomini.
Trattasi ora di formare un piano di Regolamento che possa servire di norma ad amministrare questa parte di sacro ministero, e di guida alle persone ecclesiastiche e secolari che con caritatevole sollecitudine in buon numero ivi consacrano le loro fatiche.
Più volte ho cominciato, ed ho sempre desistito per le innumerabili difficoltà che eransi a superare. Ora e perché si conservi unità di spirito e conformità di disciplina, e per appagare parecchie autorevoli persone, che a ciò mi consigliano, mi sono deciso di compiere questo lavoro comunque siasi per riuscire.
Premetto anzi tutto che io non intendo di dare né leggi né precetti; mio scopo si è di esporre le cose che si fanno nell’Oratorio maschile di S. Francesco di Sales, in Valdocco; e il modo con cui queste cose sono fatte.
Forse taluno troverà espressioni le quali pajano dimostrare che io vada cercando gloria od onore, nol creda: ciò attribuisca all’impegno che ho di scrivere le cose come sono realmente avvenute e come tuttora si trovano.
Quando mi sono dato a questa parte di sacro ministero intesi di consacrare ogni mia fatica alla maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime, intesi di adoperarmi per fare buoni cittadini in questa
terra, perché fossero poi un giorno degni abitatori del cielo. Dio mi ajuti di poter così continuare fino all’ultimo respiro di mia vita. Così sia.
Cenno storico dell’Oratorio di S. Francesco di Sales
Quest’Oratorio, ovvero adunanza di giovani ne’ giorni festivi cominciò nella chiesa di S. Francesco di Assisi. Il Sig. D. Caffasso già da parecchi anni in tempo estivo faceva ogni Domenica un catechismo a’ garzoni muratori in una stanzetta annessa alla sacrestia di detta chiesa. La gravezza delle occupazioni di questo Sacerdote gli fecero interrompere questo esercizio a lui tanto gradito. Io lo ripigliai sul finire del 1841, e cominciai col radunare nel medesimo luogo due giovani adulti, gravemente bisognosi di religiosa istruzione. A costoro se ne unirono altri e nel decorso del 1842 il numero montò a venti e talora venticinque. Questi principii mi fecero conoscere due importantissime verità: che in generale la gioventù non è cattiva da per sè; ma che per lo più diventa tale pel contatto dei tristi e che gli stessi tristi gli uni separati dagli altri sono suscettibili di grandi cangiamenti morali.
L’anno 1843 il catechismo continuò sul medesimo piede e il numero si portò fino a cinquanta, numero che appunto poteva contenere il luogo assegnatomi. In questo frattempo, frequentando le carceri di Torino ho potuto scorgere che gli sgraziati che trovansi condotti in quel luogo di punizione, per la maggior parte sono poveri giovani che vengono di lontano in città o pel bisogno di cercarsi lavoro o allettati da qualche discolo. I quali soprattutto ne’ giorni festivi abbandonati a se stessi spendono in giuochi o ghiottonerie i pochi soldi guadagnati nella settimana. Il che è sorgente di molti vizi; e que’ giovani che erano buoni, diventano ben tosto pericolanti per se e pericolosi per gli altri. Né le carceri producono sopra costoro alcun miglioramento, perciocché colà dimorando apprendono più raffinate maniere per far male, e perciò uscendo diventano peggiori.
Mi volsi pertanto a questa classe di giovani come più abbandonati e pericolanti e nel decorso di ciascuna settimana o con promesse, o con regaluzzi procurava di acquistarmi allievi. Aumentai di molto il loro numero, e nell’estate del 1844 essendomi stato accordato locale più spazioso mi trovai talora circondato da circa ottanta giovanetti. Godeva nell’animo mio il vedermi attorniato da allievi, tutti secondo il mio scopo, tutti avviati al lavoro, la cui condotta tanto ne’ giorni feriali quanto festivi poteva in certa maniera garantire. Dava sopra di loro uno sguardo e vedeva uno ricondotto ai genitori da cui era fuggito, l’altro collocato a padrone, tutti in via d’istruirsi nella religione.
Ma il regime di comunità, qual è il convitto ecclesiastico di S. Francesco di Assisi, il silenzio e la tranquillità che esigevano le pubbliche funzioni di quella frequentatissima chiesa inciampavano i miei progetti. E sebbene il Benemerito Fu T. Guala m’incoraggisse a perseverare, tuttavia io mi accorsi essere indispensabile altro locale. Perché l’istruzione religiosa trattiene i giovani per qualche spazio di tempo, dopo è mestieri qualche sfogo, o passeggiando o trastullandosi.
La provvidenza dispose che sul finire dell’ottobre del 1844 andassi al Rifugio in qualità di Direttore spirituale. Invitai i miei figli a venirmi a trovare nel novello mio soggiorno, e nella domenica successiva si trovarono in numero assai maggiore del solito. Allora la mia camera divenne Oratorio e piazza di trastullo. Era un bel vedere! Non vi era sedia, non tavolino od altro oggetto di sorta, che non fosse bersagliato da quell’amica invasione.
Intanto di concerto col Sig.r T. Borrelli, che d’allora in poi fu il braccio più forte dell’Oratorio, abbiamo scelto una camera destinata a Refettorio e ricreazione degli ecclesiastici addetti al Rifugio, che ci parve abbastanza spaziosa pel nostro scopo e ridurla a forma di cappella. L’arcivescovo ci fu favorevole, e nel giorno dell’Immacolata Concezione di Maria (8 dicembre 1844) fu benedetta la sospirata Cappella, con facoltà di celebrare il sacrifizio della santa Messa e dare la benedizione col SS. Sacramento.
La voce di una cappella destinata unicamente per giovanetti, le Sacre funzioni fatte appositamente per loro, un po’ di sito libero per saltellare, furono richiami potenti, e la nostra chiesa che, a quell’epoca cominciò ad essere chiamato Oratorio, divenne ristretta. Ci aggiustammo alla bella meglio. Camere, cucina, corridoi, in ogni angolo eranvi classi di catechismo, tutto era Oratorio.
Le cose camminavano di questo passo quando un incidente, o meglio la Divina provvidenza con mire segrete, pose in costernazione il nostro Oratorio. Il 10 agosto 1845 fu aperto l’ospedaletto di S. Filomena, e il locale di cui ci eravamo servito nove mesi dovette subire altra destinazione. Fu d’uopo cercarsi altro luogo. In seguito a formale dimanda il Sindaco di città ci permise di andare nella chiesa di S. Martino vicino ai Molazzi ovvero Mulini della città. Laonde in giorno di domenica si annunzia il cangiamento di nostra dimora. Que’ giovanetti parte afflitti perché dovevano abbandonare un luogo amato
come loro proprio, parte ansiosi di novità tutti si disponevano alla partenza. Avresti veduto uno portare una sedia, quell’altro una panca, questi un quadro od una statuetta, quell’altro paramentali, o panieri, o ampolline. Altri assai più festosi portavano stampelle o taschette di bocce o piastrelle; ma tutti ansiosi di vedere il novello oratorio.
Colà passammo tranquillamente due mesi, sebbene le cose si facessero solo imperfettamente, giacché non si poteva celebrar messa, né dare la benedizione col Sacramento, né farsi liberamente ricreazione. Quella calma fu presagio di una burrasca, che doveva mettere a più dura prova l’oratorio. Si sparse voce che tali adunanze di giovani erano pericolose, e che in un momento si poteva passare dalla ricreazione ad una sommossa. Bella sommossa potevano fare giovani ignoranti, senza armi e senza danaro, che unicamente si radunavano per imparare il catechismo, e che sarebbero divenuti tremanti al solo svolazzare di un corvo. Ciò non ostante le dicerie prendono incremento; e si fa una relazione al sindaco, in cui io era qualificato come capo-banda; che ai mulini si faceva uno schiamazzo insopportabile, un disturbo da non tollerarsi, con danno immenso delle mura, dei banchi e del medesimo selciato del cortile. Ebbi un bel dire sull’insussistenza di tali asserzioni; tutto invano. Si spicca un ordine con cui è comandato di evacuare immediatamente dal locale che ci avevano favorito.
Chiesi allora di poter andare alla chiesa del cenotafio del Santissimo Crocifisso detta S. Pietro in Vincoli. Fu permesso. Andammo con gran gioia; ma fu di un solo giorno festivo. Perciocché novelle relazioni fatte per iscritto al Sindaco, in cui qualificavano le nostre adunanze come atti di insubbordinazione; fummo tantosto proibiti di non più porre piede colà.
Taccio i nomi degli individui, che presentarono le acri relazioni in città; osservo solo (Dio liberi che io me ne compiaccia) uno sopravvisse un giorno, l’altro tre alla fatta relazione: cosa che fece profonda sensazione sull’animo de’ giovani, che di tali cose erano consapevoli.
Che fare? mi trovava un mucchio di attrezzi da chiesa e da ricreazione; una turba di giovani che mi seguiva ovunque, e non un palmo di terreno ove poterci ricoverare.
Nel timore che li miei figli cessassero d’intervenire loro celava i miei crucci, e ne’ giorni festivi li conduceva quando a Sassi, quando alla Madonna di Campagna, quando ai cappuccini del monte. La qual cosa non che diminuire il numero lo accresceva. Intanto avvicinandosi l’inverno, tempo non più favorevole per le passeggiate campestri, d’accordo col T. Borrelli prendemmo a pigione tre camere in casa Moretta, edifizio non molto distante dall’attuale Oratorio di Valdocco. Durante quell’inverno i nostri esercizi limitaronsi ad un semplice catechismo alla sera di ciascun giorno festivo.
In questo tempo prevalse un’altra diceria che già prima andavasi propagando: essere gli oratori un mezzo studiato per allontanare la gioventù dalle rispettive parrocchie; per istruirla in massime sospette. Quest’ultima imputazione fondavasi specialmente su ciò che io permetteva ai miei ragazzi ogni sorta di ricreazione purché non fosse peccato e non contraria alla civiltà. In quanto alla prima io cercava scolparmi asserendo che era mio scopo di raccogliere solamente que’ giovani che non andavano ad alcuna parrocchia, e di cui la maggior parte, essendo forestieri, nemmen sapevano a quale parrocchia appartenessero. Più io mi sforzava per far conoscere le cose nel vero aspetto, più erano sinistramente interpretate.
Inoltre alcune circostanze concorsero a doverci licenziare da casa Moretta, sicché nel marzo del 1846 dovetti prendere in affitto un pezzo di prato dai fratelli Filippi, dove attualmente avvi una fonderia di ghisa. Ed io mi trovai là a cielo scoperto, in mezzo ad un prato, cinto da una grama siepe, che ci difendeva solo da chi non voleva entrare; intorniato da circa trecento giovanotti, i quali trovavano il loro paradiso terrestre in quell’Oratorio, la cui volta, le cui pareti erano la medesima volta del cielo.
Per aggiunta il Vicario di città, il Marchese Cavour, già prevenuto contro a queste radunanze festive, mi mandò a chiamare, e fattomi un sunto di quanto spacciavasi riguardo all’oratorio finì con dirmi: Mio buon prete: prendete il mio consiglio. Lasciate in libertà quei mascalzoni; tali adunanze sono pericolose. Io risposi: Io non ho altro di mira che migliorare la sorte di questi poveri figli, che se il municipio mi vuole solo assegnare un locale, ho fondata speranza di poter diminuire assai il numero dei discoli, e nel tempo stesso diminuire il numero di quelli che vanno in prigione.
— V’ingannate, mio buon prete, vi affaticate in vano. Dove prendere i mezzi? io non posso permettervi tali adunanze.
— I risultati ottenuti mi convincono che non mi affatico in vano: i mezzi sono nelle mani del Signore, il quale talvolta si serve de’ più spregevoli strumenti per compiere l’opere sue...
— Ma io non posso permettervi tali adunanze.
— Non concedetelo per me, Sig. Marchese, ma concedetelo pel bene di que’ figli, che abbandonati a loro stessi forse andrebbero a finir male.
— Io non sono qui per disputare: questo è un disordine: io lo voglio impedire; non sapete che ogni assembramento è proibito ove non vi sia legittimo permesso.
— Li miei assembramenti non hanno alcuno scopo politico: è solo per insegnare il catechismo a poveri ragazzi; e questo faccio col permesso dell’arcivescovo.
— L’Arcivescovo è informato di queste cose?
— Ne è informato e non ho mai mosso piede senza consiglio e consentimento di lui.
— Ma io non posso permettervi questi assembramenti.
— Io credo, Sig. Marchese, che voi non vorrete proibirmi di fare un catechismo col permesso del
mio arcivescovo.
— Andate, parlerò coll’arcivescovo, ma non siate poi ostinato a quegli ordini che vi saranno
imposti, altrimenti mi costringete a misure che io non voglio.
L’Arcivescovo era informato di tutto e mi animava alla pazienza ed al coraggio. Intanto per potere
attendere più di proposito alla cultura de’ miei figli, erami dovuto licenziare dal Rifugio; onde trovavami senza impiego, senza mezzi di sussistenza, ogni mio progetto sinistramente interpretato, sfinito di forze e di sanità; a segno che si andava dicendo che io era divenuto pazzo.
Non potendo far comprendere ad altri li miei disegni, studiavami di temporeggiare, perché io era intimamente persuaso che i fatti avrebbero giustificato quanto faceva. Di più era sì vivo il desiderio di avere un sito adattato che nella mia mente lo giudicava come fatto e ciò era motivo che li medesimi miei più cari amici mi qualificassero di testa alterata; e li miei cooperatori, poiché non voleva loro accondiscendere, e cessare dalla mia impresa, intieramente mi abbandonarono.
Il T. Borrelli entrava nelle mie idee e non potendo farsi altrimenti egli divisava di scegliere una dozzina di ragazzini, e fare privatamente il catechismo a costoro; aspettando tempi più favorevoli per compiere i nostri disegni.
— Non così, io rispondeva, il Signore ha cominciato e deve finire l’opera sua. — Ma intanto dove radunare i nostri ragazzi?
— Nell’Oratorio.
— Dove è questo Oratorio?
— Io lo veggo già fatto – veggo una chiesa – veggo una casa – veggo un recinto per la ricreazione, questo c’è ed io lo veggo.
— Dove sono coteste cose?
— Non so ancora dove siano, ma io le veggo.
Ciò diceva pel vivo desiderio di avere tali cose, ed era intimamente persuaso che Iddio le avrebbe
provvedute.
Il T. Borrelli compiangeva il mio stato, e andava anch’egli dicendo, che temeva fortemente che io
avessi la testa alterata. D. Caffasso mi diceva di non prendere per allora nissuna deliberazione. L’arcivescovo propendeva per la continuazione.
Intanto il Marchese Cavour fermo di voler far cessare questi assembramenti, che egli chiamava pericolosi, e non volendo prendere deliberazioni che potessero tornare spiacevoli all’Arcivescovo convocò la Ragioneria, che corrisponde al consiglio municipale, nel Palazzo arcivescovile. Mi sembrava, dicevami di poi l’Arcivescovo, che ci dovesse essere il giudicio universale. Dopo breve discussione fu conchiuso doversi assolutamente vietar tali assembramenti.
Faceva parte della Ragioneria il conte Provana di Collegno allora Ministro del controllo generale. Egli mi aveva sempre incoraggito e mi aveva somministrato sussidi del suo proprio, ed anche da parte di sua Maestà Carlo Alberto. Questo principe di grata memoria amava molto sentire a parlare di quest’oratorio; mi assisteva ne’ particolari bisogni; e mi ha fatto dir più volte dal prefato conte di Collegno, che amava molto tale parte di sacro ministero, e che lo riguardava come parte delle missioni straniere, che era suo desiderio, che simili radunanze di giovani poveri e pericolanti, avessero avuto luogo in tutte le città de’ suoi stati.
Quando venne a sapere la critica mia posizione, mi mandò trecento franchi per mano del prefato conte con parole d’incoraggiamento, incaricando il medesimo a partecipare alla Ragioneria essere sua intenzione che tali adunanze festive continuassero, e se eravi pericolo di disordini si cercasse modo d’impedirli e di prevenirli. A tale comunicazione il Vicario si tacque e disse che avrebbe provveduto a che non succedessero disordini. I provvedimenti furono di mandare ogni giorno festivo un certo numero di arceri, specie di apparitori, affinché venissero ad assistere le nostre adunanze per farne quindi la debita relazione a chi di dovere.
Gli arceri assistevano al catechismo, predica, canto e ricreazione, e riferendo puntualmente ogni cosa al Vicario, in pochi mesi gli fecero prendere migliore opinione dell’Oratorio e le cose cominciarono a prendere buona piega.
Principio dell’attuale Oratorio di Valdocco e suo ingrandimento fino al presente
Era una sera festiva del quindici marzo, giorno memorando pel nostro Oratorio, quando alla vista di un numero grande di giovanetti che si trastullavano, il vedermi solo in mezzo di loro, sfinito di forze e di sanità, senza sapere dove sarei andato, giacché il prato pigionato doveva avere altra destinazione, io rimasi così commosso che mi cadevano le lagrime. Mio Dio, andava dicendo alzando gli occhi al cielo, perché non farmi conoscere il luogo dove volete che io raduni questi miei cari figli? O fatemelo conoscere, o ditemi che cosa debbo fare!
Volgeva in cuor mio tali espressioni, ed ecco un certo Soave Pancrazio mi vien dicendo esservi un cotale Pinardi che aveva un sito da affittarmi, molto adatto al mio scopo. Andai immediatamente; era una rimessa. Parlarci, accordarci sul prezzo del fitto, sul modo di ridurre quel locale in forma di cappella, fu la cosa di pochi minuti. Corsi precipitoso da’ miei figli, li radunai e nel trasporto di gioia mi posi a gridare: Coraggio figli, abbiamo un Oratorio. Avremo una chiesa, una sacrestia, posto per la scuola e per la ricreazione.
Tale notizia fu accolta con una specie di entusiasmo. E la Domenica di Pasqua nel giorno di aprile furono portati colà tutti gli attrezzi di chiesa e di ricreazione e fu inaugurata la nuova cappella. Poco dopo furono pigionate altre camere della medesima casa Pinardi ove si die’ principio alle scuole domenicali e serali. Queste scuole piacquero tanto al Cav. Gonella, insigne benefattore di quest’Oratorio, che diede opera onde fossero erette a S. Pelagia. Lo stesso municipio prese in considerazione le scuole serali, e ne aprì in parecchi quartieri della città ove oggi si porge comodità d’istruirsi a qualsiasi artigiano che lo desideri. Le cose posteriori a questo tempo essendo note a tutti io mi limito solo di accennarle.
L’anno 1846 in giorno di Domenica di aprile fu benedetta la chiesa attuale con facoltà di celebrare la santa messa, catechizzare, predicar, dare la benedizione col SS. Sacramento.
Progredirono molto le scuole serali e domenicali, l’istruzione era lettura, scrittura, canto, Storia sacra, elementi di aritmetica e di lingua italiana; di che se ne diede pubblico saggio dagli alunni dell’Oratorio.
Al mese di novembre, ho stabilita mia dimora nella casa annessa all’Oratorio. Molti ecclesiastici, tra cui il T. Vola, T. Carpano, D. Trivero presero parte alle cose dell’Oratorio.
Anno 1847. Fu stabilita la compagnia di s. Luigi con approvazione dell’autorità ecclesiastica: fu provveduta la statua del santo, fatte le sei Domeniche precedenti alla solennità di s. Luigi con gran concorso. Il giorno della festa del Santo l’arcivescovo venne ad amministrar il Sacramento della cresima ad un gran numero di ragazzi, e fu recitata una breve commedia con canto e musica.
Furono pigionate altre camere cui mercè si aumentarono alcune classi di scuola serale. Si diede ricovero a due giovani poveri, orfani, privi di professione, rozzi di religione; e così cominciò il ricovero, che andò sempre crescendo.
La grande affluenza de’ giovani all’Oratorio, divenuta ristretta la chiesa e il recinto di Valdocco, nel giorno dell’Immacolata Concezione fu aperto un novello Oratorio a Porta Nuova in casa Vaglienti, ora Turvano, sotto al titolo di S. Luigi Gonzaga, e ne fu affidata l’amministrazione al T. Carpano Giacinto. Questo nuovo Oratorio fu iniziato colle medesime norme, e scopo di quello di Valdocco; e fra breve divenne assai numeroso.
1848. Il numero de’ figli ricoverati si aumentò fino a quindici. In seguito ad alcune difficoltà insorte per motivo delle promozioni de’ giovani alla santa comunione l’Arcivescovo diede formalmente facoltà di poter promuovere a ricevere la cresima, e la santa comunione, e di adempiere il precetto Pasquale nella cappella dell’Oratorio.
Furono per la prima volta dettati gli esercizi spirituali ad un numero determinato di giovani chiusi nella casa annessa all’Oratorio; e se ne videro ottimi risultati. Il Municipio manda una commissione a visitare gli Oratori, ed in seguito ad una lettera di soddisfazione offerì un sussidio di 600 franchi. Anche l’opera della mendicità venne in ajuto degli Oratorii con un sussidio provvisorio. Si fece una solenne processione al santuario della Consolata per fare una comunione nel mese di maggio in onore di M. SS. Ciò facevasi già da due anni ma non processionalmente. Furono benedetti i quadri della santa Via crucis, si
fecero insieme le visite ai Sepolcri al giovedì Santo; ed alla sera di tal giorno ebbe luogo per la prima volta la funzione del Lavabo.
In quest’anno medesimo fu cominciata la scuola di piano e di organo, ed i figli cominciarono ad andare a cantar messe e vespri in musica sulle orchestre di Torino, di Carignano, Chieri, Rivoli etc.
1849. Tutta la casa Pinardi, il sito posto avanti e dietro alla casa è presa in affitto; lo spazio della chiesa è ampliato quasi per la metà: il numero de’ giovani ricoverati si estende fino a trenta. Il Papa si allontana da Roma e fugge a Gaeta nel Regno di Napoli, ed i figli degli Oratori fanno una colletta; per cui il Santo Padre ne è teneramente commosso e fa scrivere una lettera di ringraziamento dal Cardinal Antonelli, e manda la sua santa benedizione ai figli dell’Oratorio. Manda poi da Gaeta un pacco di 60 dozzine di corone pei figli dell’Oratorio, e con gran festa se ne fa solenne distribuzione il 20 luglio. v. libretto stampato in quella circostanza.
Per motivo della guerra il Sig.r D. Cocchis chiude l’Oratorio del S. Angelo Custode, rimane chiuso un anno; quindi è da noi subbaffittato, se ne affida l’amministrazione al T. Vola.
La camera dei Senatori, ed il ministero mandano una commissione a visitare gli Oratori e se ne fa relazione e discussione favorevole. v. Gazzetta Piem. del 29 marzo 1849.
Savio Ascanio primo giovane dell’Oratorio che veste l’abito chericale.
1850. Si compra la casa Pinardi col sito annesso. Il numero dei ricoverati monta a cinquanta. Il concorso de’ giovani all’Oratorio di Francesco di Sales è straordinario, si progetta una nuova chiesa, e il 20 luglio il cav. Cotta ne mette la pietra fondamentale, e il canonico Moreno la benedice con immensa folla di popolo. Si trascriva l’atto della Funzione.
Il vescovo di Biella con apposita circolare raccomanda la costruzione della nuova chiesa e vi si ottiene una colletta di Mille franchi. Mancando danaro per la continuazione della chiesa si dà mano ad una Lotteria, che si compie l’anno seguente, che ha favorevolissima accoglienza. Si raccolgono tre mila e trecento oggetti, che, dedotte le spese, danno il risultato netto di 26 mila franchi.
Il primo Giugno cominciò la Società di mutuo soccorso, di cui veggansi gli statuti nel libro stampato.
1851. Il 20 di Giugno, giorno della SS. Consolata, con grande apparato, con numeroso intervento di personaggi distinti, con grande trasporto di gioia si benedice la novella chiesa, e vi si fanno per la prima volta le sacre funzioni. La seguente poesia dà un cenno di quanto si fece in quel giorno: Come augel di ramo in ramo etc.
Si fecero varie provviste per la chiesa, si comperò l’altare di S. Luigi: fu fatta costrurre l’orchestra.
1852. Lo scoppio della polveriera del 26 aprile anno antecedente scosse e danneggiò considerevolmente la casa dell’Oratorio perciò in quest’anno si dà principio ad un nuovo corpo di fabbrica. Vicino ad essere coperto (2 dicembre) rovina giù quasi intieramente con grande spavento e danno. Non si ebbe a lamentar alcun danno personale.
Il Sig.r Scanagatti Michele provvede una muta di candellieri eleganti per l’altare maggiore. Si costruisce il campanile. Non essendovi più posto per fare la scuola serale, si combinano le classi nella chiesa nuova. La chiesa antica è ridotta in dormitorio e camere di studio e scuola.
D. Caffasso fa fare il pulpito attuale.
1853. Il corpo di casa rovinato è rialzato: si compie, si stabilisce la maggior parte e nel mese di ottobre viene abitato. Il locale nuovo permette che i dormitori, il Refettorio dei giovani ricoverati siano meglio regolarizzati. Il loro numero monta a 65.
Il Sig.r Cav. Duprè compra una balaustrina di marmo, e fa abbellire l’altare di S. Luigi. Il Sig.r Marchese Fassati provvede altare balaustrino in marmo, una muta di candelieri di ottone bronzato per l’altare della Madonna.
Il Sig.r Conte Cays priore della compagnia di S. Luigi compra una campana, ed è benedetta dal Curato di Borgodora. Provvede l’attuale Baldacchino.
Si fa per la prima volta l’esposizione delle quarantore con un ottavario nelle feste pasquali.
Per togliere il disturbo dell’osteria, ed allontanare gente di condotta sospetta da casa Bellezza, vicino alla chiesa, si appigiona tutta la casa.
1854. Attesa la penuria dell’annata non si ripigliano nuovi lavori. Se ne fanno soltanto ultimare alcuni di prima necessità. Il Sig.r Conte Cays è rieletto priore della compagnia di S. Luigi, ed ha provveduto una panta nuova e lunga facente il giro tutto attorno al cornicione interno della chiesa.
La carezza de’ commestibili, la mancanza di lavoro, esponendo molti giovani al pericolo dell’anima e del corpo, se ne accolgono molti in casa ed il loro numero aumenta fino a ottanta sei.
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