Tutti i sabato sera erano là in piazza, davanti all'oratorio e alla chiesa. L'orario sempre quello: o dopo il cinema o dopo la pizzeria. Erano i ragazzi e le ragazze adolescenti del mio oratorio: «Ragazzi, dove andate questa sera?».
del 03 gennaio 2008
Tutti i sabato sera erano là in piazza, davanti all’oratorio e alla chiesa. L’orario sempre quello: o dopo il cinema o dopo la pizzeria. Erano i ragazzi e le ragazze adolescenti del mio oratorio: «Ragazzi, dove andate questa sera?».
Non lo sapevano ma la discussione era animata. Avevo l’impressione che fosse sempre la stessa di ogni altro sabato sera, dove l’oratorio non organizzava niente per loro. La decisione doveva essere presa insieme. Il gruppo esigeva democrazia, non era come «ai miei tempi» dove erano i genitori che imponevano l’orario del rientro e non si parlava mai di uscire al sabato sera! Se ripassavo più tardi, verso mezzanotte, il rito era concluso, la decisione presa, salvo ripensamenti.
Se questa gestione paritaria continuasse nell’età adulta, avremmo forse una società più democratica di quella che ci ritroviamo adesso! Ciò che preoccupa i genitori non sono tanto le interminabili chiacchiere per decidere, quanto i margini di autonomia che gli adolescenti hanno scelto per sentirsi liberi. Sono quelli della notte, dove i genitori, per evitare conflitti e tensioni, si sono arresi sugli orari di uscita e di rientro da casa, sul piercing, sulle varie forme di trasgressione nel vestire e nel linguaggio, nel modo di divertirsi, così lontani dai loro modelli. Di notte, i genitori si sentono più sconfitti e gli adolescenti più vincitori. Di giorno riescono ad imporre alcune loro regole di vita: la scuola, ad esempio ma non sempre l’impegno nello studio; di notte, no: gli adolescenti si divertono e costruiscono relazioni, amicizie, dalle quali i genitori sono esclusi. Mentre di giorno sono schiavi di cuffie e cellulari, a volte li ritrovi smarriti e impauriti, di notte, con il gruppo dei pari, sono coraggiosi e fanno cose che di giorno non farebbero mai.
Sentono l’esigenza di avere degli amici, delle amiche, vivono insieme in una promiscuità sconosciuta ai genitori, avvertono il bisogno del gruppo ma sono facili a rinchiudersi in se stessi quando il gruppo li delude nelle loro attese e, purtroppo, certe delusioni non risolte, degenerano facilmente in violenza contro se stessi o contro gli altri.
 L’adolescente vive drammi, che non sempre l’adulto riesce a cogliere, perché dimentica che l’adolescenza è un periodo faticoso, critico ma non negativo, come spesso si tende a descriverlo. Tra i numerosi problemi che l’adolescente deve affrontare, emergono quelli dell’identità personale e del senso della vita: chi sono io? Quali sono le cose che più contano per me, le più importanti? Su quali valori potrò costruire il mio futuro?
Non sono domande sempre chiare in lui: nascono dalle esperienze di vita con gli amici, dai precoci innamoramenti, dalla ricerca della libertà, talvolta nelle sostanze artificiali, dal confronto con gli altri: essere belle e belli, diventare desiderabili, sedurre e farsi ammirare, diventano quasi cammini obbligatori per non essere messi al margine dai compagni.
Che confusione, questi adolescenti! Cerchiamo di attrezzarci leggendo Crèpet o Vittorino Andreoli, perché siamo immersi nello stesso loro disagio. Se non lo riconosciamo, non avremo mai l’umiltà necessaria per un confronto e un discreto accompagnamento di un adolescente. Forse con loro funzionano meglio gli educatori grezzi, adulti che hanno fatto fatica a crescere, che magari hanno preso anche strade traverse o sbagliate, che educatori, che hanno studiato ma non sono umili, ritenendosi «perfetti». Non si accorgono, poveretti, di essere motivo di frustrazione perché modelli dagli adolescenti ritenuti irraggiungibili! A tutte le età, l’umiltà non guasta! Non è così?
 
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
 
don Vittorio Chiari
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