Al Congresso di Ancona la Chiesa italiana, ha cercato di portare alle sue estreme conseguenze pratiche l'intuizione che i cristiani devono approfondire di più il rapporto tra Eucaristia e vita quotidiana. Ma del congresso non si è parlato molto, forse perchè a certi giornalisti quando leggono 'eucaristico' viene l'orticaria...
del 20 settembre 2011
 
 
          Nell'indifferenza di televisioni, siti web e giornali - alle prese con lo 'spread' tra 'bund' e 'btp' e i dieci anni dell'11 settembre - si è svolto recentemente ad Ancona e in altre città delle Marche il 25mo Congresso Eucaristico italiano. Una tradizione che si rinnova ininterrottamente da 120 anni e ha accompagnato perciò la storia del Belpaese e quella della Chiesa nostrana, modificandosi assieme a loro; e che forse solo per questo forse meriterebbe più attenzione.
          Anche quest'anno, poi, come avviene dal 1977, il Congresso si è chiuso con la visita del Papa. La circostanza ha dato un parziale rilievo al raduno ecclesiale, altrimenti destinato a cadere nell'oblìo comunicativo. E non venitemi a dire che ne hanno parlato Avvenire e TV2000, perché sarebbe stato bizzarro il contrario.
          Forse è accaduto perché a certi giornalisti quando leggono 'eucaristico' viene l'orticaria. Eppure questo Congresso meritava più attenzione anche da parte del mondo che, con un aggettivo che spesso confonde le idee, definiamo 'laico'. Insomma, meritava di essere indagato anche da chi non è uso approfondire temi teologici o ecclesiali, perché li considera parrocchiali o da sacrestia. E tanto più da chi invece se ne interessa e stavolta non lo ha fatto.
          Al Congresso di Ancona, infatti, la Chiesa italiana, ha cercato di portare alle sue estreme conseguenze pratiche un'intuizione del Sinodo dei vescovi del 2005 (ecco a che servono i Sinodi!), poi ripresa da Benedetto XVI nell'esortazione apostolica Sacramentum Caritatis del 2007. E cioè che i cristiani devono approfondire di più il rapporto tra Eucaristia e vita quotidiana. Detto in poche parole, il sacramento dell'Eucaristia, fonte e culmine della vita della Chiesa, la pietà eucaristica, l'adorazione e le processioni eucaristiche, debbono, per chi crede, trasfigurare la vita personale, familiare, sociale e politica. Se ciò non accade, se chi ha appena ricevuto il 'Corpo di Cristo' durante la Santa Messa, una volta uscito dalla Chiesa non si distingue per uno stile di vita sobrio, accogliente, attento alle fragilità, ma per essere un consumista, egoista e menefreghista, allora c'è un problema di fede. La Chiesa ha capito da tempo che oltre a preoccuparsi attraverso la nuova evangelizzazione, dei secolarizzati (che in Chiesa forse ci andavano ma non ci vanno più o che non ci sono mai andati), deve 'educare' anche chi riceve l'Eucaristia, promuove la 'devozione' del Santissimo Sacramento e si illude di aver terminato così il suo compito di bravo cristiano. Altrimenti, i cosiddetti 'praticanti', saranno solo cristiani a metà.
          Il Sacramento che riattualizza il sacrificio d'amore sulla Croce di Dio per l'uomo e ci spinge a imitarlo, acquista però oggi forse un'efficacia esemplare che va oltre il cristianesimo. Non è forse evidente anche al buon senso di qualunque cittadino che la crisi della finanza e dell'economia, la disoccupazione, la nascita dei nuovi poveri, sono l'effetto di un mercato che non rispetta più l'uomo? La 'spiritualità eucaristica' di cui ha parlato il Papa ad Ancona, fondata sul 'dono di sé', non potrebbe essere una provocazione per una cultura laica che stenta a leggere questi rivolgimenti economici e sociali? Forse è il tempo di fermarsi e rifletterci su.
          Intanto, per noi cristiani, le giornate del congresso marchigiano, rappresentano un'utile provocazione che ci spinge a riannodare il 'celebrato' al 'vissuto'. A meditare sulla presunzione di chi pensa di poter fare a meno del nutrimento dell'Eucaristia, ma anche sull'illusione di chi crede di esaurire nella 'pratica' dei sacramenti, o nello sterile devozionismo, la propria testimonianza di fede.
 
Fabio Colagrande
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