Chi fa l'educatore si assicura un futuro

Non occorre che i candidati abbiano nozioni specifiche di settore. Ma le competenze acquisite sono molto apprezzate sul mercato del lavoro. I volontari che nel 2006 hanno svolto il servizio in progetti di educazione e promozione culturale sono stati il 25.24% DEL TOTALE

Chi fa l’educatore si assicura un futuro

da Servizio Civile

del 20 dicembre 2007

La relazione, prima di tutto. Su questo assunto si fonda l’esperienza di servizio civile nel settore educativo e di promozione culturale. Che sia sostegno ad altri ragazzi meno fortunati od organizzazione di iniziative culturali, il punto è sempre lo stesso: fare di questa esperienza una vera e propria scuola di cittadinanza attiva. Le possibilità sono molteplici e altrettanti gli interlocutori. Si può andare dalle associazioni di volontariato, che lavorano nelle comunità e nelle scuole a stretto contatto con il disagio, agli enti pubblici che guardano ai servizi nella loro globalità, occupandosi di pianificare le attività in stretto contatto con le altre realtà sociali.

Ma sono soprattutto i progetti di sostegno ai meno fortunati a stimolare l’interesse dei ragazzi. Ogni anno sono migliaia i volontari che scelgono l’accompagnamento di soggetti svantaggiati nelle normali attività sportive e culturali, all’interno di comunità e istituti scolastici.

Un impegno che ha proprio nella reciprocità la sua caratteristica principale.

“Aiutare i meno fortunati è un’occasione di scambio reciproco ed è un modo di superare il semplice concetto di assistenza” spiega Don Enrico Peretti, responsabile del Servizio civile salesiano. “Per il volontario, inoltre, un’esperienza del genere può avere dei risvolti importanti nella stessa educazione personale”.

Così come sempre sono le motivazioni a dare quel valore aggiunto all’impegno. “Per essere un buon candidato non serve avere delle competenze specifiche nel campo dell’educazione”, continua Peretti, “è necessario però mettere a disposizione la propria voglia di fare e di adattarsi alle situazioni, dimostrando flessibilità e umiltà”. Anche perché il compito di volontari è quello di affiancare i responsabili del servizio- quindi gli educatori, gli assistenti sociali e gli stessi professionisti del settore- e “non di essere responsabili di interventi spesso delicati che hanno bisogno di una preparazione particolare: il loro compito è rendere più facile il lavoro dei titolari, mediando tra loro e gli utenti del servizio”.

Ma allora qual è il prototipo di volontario in questo settore? “Si tratta di ragazzi e ragazze con i più disparati iter formativi. Oltre il 60% vengono da percorsi universitari, ma c’è una buona percentuale che non ha nemmeno il diploma. Principalmente sono giovani del Mezzogiorno che vedono in questa esperienza l’opportunità di un lavoro. In molti casi questi ragazzi sono disponibili anche a spostarsi al nord dove invece la domanda è molto inferiore al numero di posti stabiliti”. Per tutti è prevista un’offerta formativa ben strutturata fatta di incontri settimanali con i responsabili di progetto, ma il vero valore aggiunto lo dà la stessa attività. “D’altronde è nello stesso spirito del servizio civile quello di imparare lavorando”.

Un modo di concepire l’impegno e la crescita personale che spesso condiziona le scelte future dei ragazzi. Infatti, “sono molti giovani che decidono di rimanere oltre l’anno di servizio”, aggiunge Peretti, “per una buona percentuale si riesce a garantire una forma di retribuzione e spesso anche un’occupazione futura o almeno una collaborazione.

Gli altri, invece, rimangono in questo ambito di intervento e sono disposti ad impegnarsi come volontari per il nostro ente o per altri. In tale senso la collaborazione tra le diverse organizzazioni è importante perché assicura in ogni caso la continuazione dell’impegno in questo in questo campo”.

 

 

 

Luca Zanfei

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