Chiamata alle armi, quelle vere. La sfida del terrorismo

Il terrorismo agisce essenzialmente per provocare una reazione che immediatamente produca un giudizio, senza riflessione, e dunque porti ad azioni sempre più estreme. Costringe a seguire il percorso dettato, la via segnata, anche da parte di chi non avrebbe mai deciso di imboccare tale via. Ne è un esempio lampante l'11 di settembre e tutto ciò che ne segue. Allora che giudizio dare di fronte all'orrendo massacro di cui siamo testimoni ogni giorno?

Chiamata alle armi, quelle vere. La sfida del terrorismo

da Quaderni Cannibali

del 09 settembre 2004

Di fronte ad ogni fatto della vita noi operiamo un giudizio. Non esiste avvenimento, ma anche pi√π semplicemente non esiste situazione, non esiste nulla che vediamo o ascoltiamo anche solo per un istante, che non produca in noi una valutazione.

Dall'interesse e partecipazione più profonda al disinteresse più assoluto, tutta la realtà provoca la nostra persona.

E dal nostro giudizio derivano i comportamenti successivi della vita, le valutazioni seguenti, le scelte, fino alle più estreme. L'esperienza è il giudizio maturato di fronte alla provocazione della realtà.

 

Per questo è necessario educare il nostro giudizio.

L'esperienza può essere semplicemente la somma delle reazioni a ciò che ci accade, e allora la realtà diventa amica o nemica a seconda di ciò che ci accade, oppure la reazione ineliminabile di fronte alla realtà può paragonarsi, può cercare più a fondo, può prendere sul serio la domanda sul 'perché', domanda che costituisce il nucleo stesso della nostra ragione umana; così dalla reazione si può passare ad un giudizio magari completamente opposto a ciò che proviamo.

 

Il terrorismo agisce essenzialmente per provocare una reazione che immediatamente produca un giudizio, senza riflessione, e dunque porti ad azioni sempre pi√π estreme. Costringe a seguire il percorso dettato, la via segnata, anche da parte di chi non avrebbe mai deciso di imboccare tale via.

Ne è un esempio lampante l'11 di settembre e tutto ciò che ne segue.

Ma questo stesso meccanismo agisce in mille altri fatti della vita: le separazioni matrimoniali, l'aborto, l'eutanasia, il furto, l'omicidio… aumentano sempre di più, nella misura in cui il clima culturale intorno a noi ci permette di pensare che 'lo fanno anche gli altri' e che 'nessuno può giudicare quello che provo'.

Solo un tessuto di relazioni, di rapporti, di valori condivisi e vissuti, permettono che la reazione non diventi immediatamente giudizio, ma trovi strade diverse, impedisca di percorrere la via imposta.

 

Il cambiamento sociale di cui siamo tutti responsabili esalta la nostra individuale libertà distruggendo i legami, e rendendoci fragili e incapaci di giudizio che non sia semplice reazione.

 

Allora che giudizio dare di fronte all'orrendo massacro di cui siamo testimoni ogni giorno?

 

Giovanni Paolo II da anni parla della terribile lotta tra la 'civiltà dell'amore' e il suo opposto che chiama 'civiltà della morte'.

Il cristianesimo (e tutta la tradizione biblica prima di lui) parla dell'odio verso il progetto di Dio (che è vita) che porta alla ribellione a Dio. Questa ribellione produce il dolore e la morte.

Ges√π di fronte all'odio non 'reagisce' ma giudica e decide di morire per amore verso i suoi uccisori.

Il giudizio definitivo è stato dato: la ribellione dell'uomo non scatena la reazione di Dio, ma il suo giudizio, e il giudizio è l'amore all'estremo per quell'uomo, per ogni uomo.

 

Il diavolo, tentatore fin dall'origine, che insinua nell'uomo l'idea che la vita donataci da Dio è una fregatura e incita alla ribellione, oggi ha portato alle estreme conseguenze la sua opera.

Lo diceva già il Card. Woityla prima di essere Papa predicando gli esercizi spirituali a Papa Paolo VI. Fedele al suo nome, diavolo, provoca la divisione e, all'uomo ridotto in solitudine contro la sua indole naturale ('non è bene che l'uomo sia solo' dice Dio nella Genesi), mostra la realtà come segno non di un amore gratuito di Dio, ma come l'assurdo e perverso gioco di un despota.

Così l'uomo reagisce a Dio interpretando la vita come luogo dove dover affermare sé stesso.

Se sono al mondo non per un Amore che mi desidera, allora la vita vale solo se io riesco ad affermarmi, vale per quello che decido, vale per quel che provo.

 

Siamo al centro di questa lotta tra la morte e la vita, tra il diavolo e il Dio che è Gesù.

Questa lotta si combatte dentro ognuno di noi, fin da piccoli.

Per questo fa orrore devastare la coscienza dei bambini.

Ma c'è di più: sostenere qualunque posizione ci faccia arbitri della vita, sostiene il progetto della morte.

 

Per questo il giudizio deve essere chiaro.

C'è una guerra terribile e a ciascuno di noi è chiesto non semplicemente di reagire ma di giudicare.

Per farlo è necessario rimetterci insieme e domandare a Dio il perdono e la luce per vedere che strada imboccare.

 

Torniamo ad essere cristiani, ad amare la Chiesa per illuminare il giudizio e ad essere comunità visibili e vere per contrastare l'individualismo.

Testimoniamo in ogni ambiente e senza paure, combattiamo il giudizio diabolico che la verità non esiste, combattiamo il relativismo, il nulla. Non cediamo di fronte alla sfida dell'educazione che è la culla di uomini veramente liberi. Non è lo Stato che deve formare la coscienza (e quindi il giudizio) dei nostri figli. Non cediamo di fronte alla sfida del lavoro, che è a servizio dell'uomo; o della politica che deve sostenere la vita della società. Non rinchiudiamoci in chiese fuori dal mondo.

Ma prima e soprattutto sperimentiamo la bellezza del cristianesimo per affascinarne il mondo intero.

 

Così obbediremo al segno positivo che è la realtà, ribaltando l'evidenza della morte che sembra ingoiare tutto.

Ges√π Cristo ha vinto la morte.

O con Lui, o con lei.

 

 

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