La Parola assume il ruolo unificante degli ambiti essenziali della vita della Chiesa: nella liturgia le Scritture «fanno risuonare la voce dello Spirito Santo» e per mezzo di esse «Dio viene incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro»; la predicazione «dev'essere nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura»...
del 08 ottobre 2008
Si apre oggi a Roma il sinodo dei vescovi: per una ventina di giorni vescovi e cardinali di tutto il mondo, esperti, osservatori ecumenici si confronteranno sul ruolo della «Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa», cioè sulla linfa che alimenta sia la compagine ecclesiale sia il suo messaggio agli uomini e alle donne del nostro tempo. È un appuntamento che sarebbe sbagliato considerare come riguardante esclusivamente la Chiesa cattolica: questo ritornare al luogo privilegiato in cui Dio entra in dialogo con il credente, questo riandare alle radici della fede cristiana per trovare antiche e nuove risposte su Dio implica anche il rendersi conto della drammaticità dell’attuale clima culturale in cui l’uomo contemporaneo pare essere non solo senza Dio ma anche senza l’uomo, e in cui sempre più persone si muovono smarrite nell’assenza di certezze, respirano un assurdo caratterizzato non tanto dal non-senso, quanto dall’isolamento reciproco degli innumerevoli sensi, dall’assenza di un senso che li orienti, dalla mancanza del «senso del senso».
 
Come già lo strumento di lavoro messo a disposizione dei partecipanti, e frutto di un’ampia consultazione, anche la riflessione sinodale terrà come bussola la Costituzione dogmatica che il Vaticano II ha dedicato alla parola di Dio (Dei Verbum). Secondo il Concilio, è la Parola che assume il ruolo unificante degli ambiti essenziali della vita della Chiesa: nella liturgia le Scritture «fanno risuonare la voce dello Spirito Santo» e per mezzo di esse «Dio viene incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro»; la predicazione «dev’essere nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura»; la teologia deve basarsi «sulla Parola di Dio come fondamento perenne» e lo studio della Scrittura dev’essere «come l’anima della teologia»; e anche la vita quotidiana dei fedeli dev’essere segnata dalla frequentazione assidua e orante della Scrittura. Ora, poiché al cuore del cristianesimo non sta un libro ma la persona vivente di Gesù Cristo, la Bibbia stessa si presenta come un insieme di libri che richiedono una lettura sapiente, un’interpretazione capace di condurre all’incontro con colui che i cristiani considerano la «parola» definitiva di Dio all’umanità. Questo ricentramento della Chiesa attorno alla parola di Dio, che le Scritture contengono ma non esauriscono, non potrà che stimolare il dialogo interno alla compagine ecclesiale e liberarlo sia dai rischi di un’interpretazione fondamentalista del testo, sia da una deriva individualistica o da un’abdicazione dai principi evangelici per assecondare mode e tendenze estranee al messaggio cristiano.
 
Del resto si è visto come il fatto che il Concilio e la stagione che ne è nata abbiano segnato la fine dell’esilio della Parola dal vissuto quotidiano della Chiesa cattolica ha avuto e ha tuttora significative conseguenze per il modo di porsi e di agire dei cristiani nella società civile, nel mondo occidentale come nel sempre più complesso scenario internazionale.
 
Anche se da più parti si avvertono oggi segni di stanchezza, se emerge la tentazione di tornare indietro verso certezze ormai irrecuperabili, se paure e rimozioni dei problemi minacciano di prendere il posto della riflessione e del dialogo, resta tuttavia il dato che il cammino intrapreso a partire dal Concilio si rivela irreversibile: una volta riallacciato il contatto fecondo tra popolo di Dio e Scrittura, anche il singolo credente può scoprirne la valenza vitale e giungere a percepirla come Parola rivolta a se stesso, come pane di vita per la propria esistenza quotidiana nel preciso contesto storico in cui gli è dato di vivere. La Scrittura, che è una «lettera di Dio agli uomini», è data per essere vissuta, obbedita: vivere la Parola diviene così per il credente un criterio interpretativo per comprendere la Scrittura, la quale si svela in maniera differente quando è vissuta rispetto a quando è semplicemente letta o studiata. E le energie vitali che un simile approccio alla Scrittura sprigiona nel singolo e nella comunità cristiana sono tali da innervare l’intero corpo ecclesiale con i doni dello Spirito, e da renderlo capace di una testimonianza autentica e credibile nella compagnia degli uomini.
 
È proprio della parola di Dio affidata alla testimonianza dei cristiani il compenetrare come fermento il mondo, anche nel suo pluralismo culturale e nella sua complessità, e offrire un contributo fondamentale all’autentica umanizzazione. Come dimenticare l’efficace immagine della Chiesa «esperta in umanità», data da Paolo VI? Una Chiesa capace di farsi «serva dell’umanità» e consapevole di come la parola di Dio vada letta negli eventi con i quali Dio si manifesta nella storia.
 
Il Concilio ci ha ricordato che alla luce della parola di Dio la Chiesa, senza estraniarsi dalle vicende umane ma anzi assumendosene il carico e la responsabilità, deve «cercare di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio» (GS 11). Opera di discernimento non facile, che a volte deve saper smascherare finzioni e non cedere alle tendenze dominanti, opera faticosa che rifugge dal successo a buon mercato o dal consenso di comodo, ma che, proprio per questo, può aprire nuovi orizzonti di senso. È forse un ritrovato vigore di questo ruolo profetico e di mediazione, una rinnovata capacità di parlare agli uomini di Dio e di Dio agli uomini che il sinodo potrà offrire come frutto maturo, aiutando così l’umanità a incontrare nella storia la strada che la scosta dalla morte e la apre alla vita in pienezza.
 
 
Fonte: La Stampa
Enzo Bianchi
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