I ragazzi che studiano «per continuare a camminare mentre la terra trema», una festa tra le tendopoli, fino alla donna che ha una certezza più resistente della casa. Un professore, arrivato da Milano per dare una mano, racconta quello che ha visto.
del 26 giugno 2012(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));
          Arrivare a Bomporto, alla biblioteca, e trovare in una mattina di sabato delle ragazze che vogliono rifinire il lavoro della tesina per gli esami di stato allarga il cuore, è il primo impatto alle porte della zona colpita dal terremoto e si incontra chi, come queste ragazze, ha già trovato un punto di forza da cui ricominciare e che fa guardare agli impegni quotidiani con una certezza di positività che la situazione non consiglierebbe di avere.          Invece le tesine che queste ragazze raccontano sono ricche della loro esperienza di questi giorni, hanno l'energia e la profondità di chi nel terremoto ha trovato un punto di consistenza per sé, tanto che studiare è diventata una occasione, e non il dovere dell'ultimo anno di scuola. Commuove sentire una ragazza che parla della crisi e che sa cogliere nel modo con cui gli italiani hanno affrontato i diversi momenti di difficoltà un suggerimento per trovare la strada per camminare mentre la terra trema. Come è da brividi che un'altra avverta che nessuna realtà virtuale può togliere all'uomo quello che è, una domanda di senso che incalza in ogni condizione, o che un’altra, affrontando la questione del lavoro, si chieda come le attività lavorative possano riprendere nelle zone del terremoto. O che un'altra ancora si ponga la questione della comunicazione come domanda su che cosa mai uno abbia da comunicare di significativo. Sono tracce diverse, tutte con dentro un lavoro che il terremoto ha risvegliato: quello di un paragone con la propria umanità. Per questo riprendere le tesine con queste ragazze delle scuole delle zone terremotate indica una cosa sola: che hanno ripreso a studiare, e con gusto, perché sono ripartite loro stesse, hanno trovato uno sguardo in cui consistere.           Da Bomporto a Carpi, dove incontrando delle famiglie cresce la certezza che le devastazioni che si vedono, le ferite da cui è segnato il paesaggio non sono l'ultima parola sulla vita di questa gente. È colpita, lacerata, scossa, ma non paralizzata da ciò che è successo. Sono persone che hanno uno sguardo positivo sulla realtà, sanno che la presenza di Cristo di cui è fatta la loro vita, una presenza misteriosa e famigliare, viene oggi a visitarli e li fa ricominciare da loro stessi, dalla serietà che hanno con il loro cuore. E questo si vede, è un tratto umano che emerge in ogni incontro e che esplode quando si arriva a Mirandola. Più ci si avvicina alla città, più il cuore si stringe per le devastazioni che si profilano davanti agli occhi; le finestre delle case sono chiuse, le tapparelle abbassate, la gente se ne è andata e le tendopoli infittiscono. Molte case sono lesionate, alcune distrutte. In questo paesaggio angosciante, d'improvviso, delle voci e una musica. C'è a Mirandola un luogo di incontro, nel cuore del terremoto uno spazio di umanità che testimonia la possibilità di ripartire dall'io. È una festa, il tema Vivete bene e muterete i tempi. C'è chi racconta esperienze di amministrazione pubblica che hanno a cuore il bene comune, chi del movimento della vita di Correggio, chi di come ha rimesso insieme i suoi studenti. Sono esperienze di vita quotidiana che documentano lo spettacolo di un io che si muove perché commosso dalla tenerezza di Cristo. Poi ci sono Cecilia e Lisa che presentano Il profumo dell'amicizia, il racconto in inglese con il quale hanno vinto ai Colloqui Fiorentini, infine la testimonianza di padre Alberto Caccaro, missionario del Pime per dieci anni in Cambogia, che ha tradotto in cambogiano il Rischio educativo e racconta di come ha riconosciuto la paternità di don Luigi Giussani.          La bellezza di questa festa nella terra del terremoto sta tutta nel coraggio che questa gente si sta prendendo, quello di porre la propria consistenza nella presenza di Gesù, che unico può tenere in piedi l'uomo mentre la terra trema e le case sono insicure. Tanto che una donna, mentre racconta il suo smarrimento perché la casa in cui è rientrata è quella da cui è pronta a fuggire se la terra tornasse a tremare, comunica la sua certezza di qualcosa più resistente e stabile della casa: l'abbraccio forte e deciso del Mistero. Questo si incontra a Mirandola, il Mistero che dà consistenza all'io di coloro che gli si affidano.
Gianni Mereghetti
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