COLPIRE AL CUORE

Colpire al cuore è un film su quel preciso momento in cui il bambino diventa uomo nel senso che diventa capace di vedere, capace di comprendere e di giudicare e di fare dei conti. E sviluppa l'idea che sempre il bambino finisce col diventare adulto, e che di fronte a lui bisogna giustificare la propria esistenza, i valori che abbiamo difeso, le idee alle quali ci siamo consacrati...

COLPIRE AL CUORE

da Quaderni Cannibali

del 28 novembre 2005

Regia: Gianni Amelio

Interpreti: Jean-Louis Trintignant, Laura Morante, Fausto Rossi

Origine: Italia 1982

Durata: 108’

 

Il quindicenne Emilio ha un difficile rapporto con il padre Dario, un professore universitario, che sembra interessarsi molto di più ad una coppia di suoi ex-studenti, Sandro e Giulia, freschi genitori di un bambino. Sandro è in realtà un terrorista che rimane ucciso in uno scontro al fuoco con la polizia; Emilio, scoperto che il padre si vede ancora con Giulia, rivendica una paternità ormai priva di certezze morali. Dopo una notte di litigi e riconciliazioni il padre va dalla ragazza per aiutarla a fuggire, mentre Emilio li segue di nascosto e li denuncia entrambi facendoli arrestare dalla polizia.

 

 

Hanno detto del film

Emilio tradisce il padre per gelosia. La gelosia violenta che cresce dalle risposte che non possono arrivare, da una negazione forzata che segna comunque, anche nei rapporti più difficili e intelligenti, una certa fase dell’esistenza. Emilio avverte un’improvvisa distanza dal padre, una sfasatura che intorbida certezze e umori. Nell’ansia adolescente che intravede i salti brutali della maturità, Emilio osserva un padre diverso, sfuggente. (…), non trova il suo sostegno. Capisce anche che questo non può venirgli, tuttavia il vuoto si estende, vanifica come una beffa l’occasione di sapere e crescere.

(Tullio Masoni, Cineforum 224, maggio 1983)

 

Colpire al cuore è un film su quel preciso momento in cui il bambino diventa uomo nel senso che diventa capace di vedere, capace di comprendere e di giudicare e di fare dei conti. (…)E sviluppa l’idea che sempre il bambino finisce col diventare adulto, e che di fronte a lui bisogna giustificare la propria esistenza, i valori che abbiamo difeso, le idee alle quali ci siamo consacrati.

(Olivier Assayas, Cahiers du Cinema n° 340)

 

Non si tratta di un film sul terrorismo, ma sulle interferenze che la violenza oggi, come potevano essere altri fenomeni ieri, incunea nel contesto contemporaneo, nello stesso tessuto famigliare, lacerando i rapporti, sconvolgendo i ruoli. (…) Il padre all’inizio sembra un piccolo Dio, suggerisce, consiglia, comanda, regola la risata, il consenso, perfino il dissenso scherzoso del figlio. (…) Il figlio, invece, è un ragazzino tranquillo, bravo a scuola, serrato in una introversione diligente e saputa, eppure tutto succubo e filiale, tra invidia, ritrosia e ammirazione.

(Alberto Pesce, Family life, A.N.C.C.I. 1991)

 

Nel film il ragazzo vive in una famiglia “aperta” dove il padre, più che un padre, è un fratello maggiore e ha addirittura delle connotazioni materne; dove non si chiede al figlio un certi tipo di rapporto tradizionale con i genitori; dove la madre, occupata dal proprio lavoro, ha in qualche modo abdicato al vecchio ruolo. Il figlio adolescente, che vive una stagione di fragilità e incertezza, ha un sentimento di opposizione alla forma che la famiglia ha assunto. (…) Questo ragazzo vede nell’insegnante un altro padre e nel padre un altro insegnante, e mi sembrava significativo che il padre fosse un professore perché, quando il figlio si ribella, si ribella in qualche modo alla figura dell’educatore.

(Gianni Amelio, 1983)

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