Come allenare la creatività

La creatività si può allenare? E se sì, come? Esistono percorsi, esercizi, lavori che fanno crescere la creatività per essere pronti quando ci serve?

Come allenare la creatività

 

La creatività si può allenare? E se sì, come? Esistono percorsi, esercizi, lavori che fanno crescere la creatività per essere pronti quando ci serve?

 

 

La premessa

Mi è già capitato di scrivere di creatività, di una sua definizione minimale (“un disporre in modo originale quello che già abbiamo” (M. Brusati)) e del suo potere in campo educativo.

Ma si può formare la creatività? Se è vero che funziona come un muscolo, come possiamo allenarci?

Il processo creativo si basa moltissimo sull’associazione di idee, sul collegare. Lo straniamento si basa su un collegamento inaspettato e indecifrabile; lo stupore, invece, si basa su un collegamento inaspettato e decifrabile.

Quando parliamo di creatività dobbiamo quindi ragionare su una creatività che risulti poi visibile nel prodotto, decifrabile e quindi condivisibile.

L’allenamento perciò sarà di due tipi.

 

 

Creatività Selvaggia

Il primo passo è lo sviluppo creativo a 360° gradi. Io dico: “Zucchero”, e l’altro dice: “Tavolo”. L’altro l’ha detto perché sei anni fa una marea di zucchero gli è caduta sul tavolo.

Chi può capirlo? Solo chi ha fatto quell’esperienza. Quindi è poco condivisibile. Tuttavia questo processo è fondamentale. Spesso si scambia l’utilità di allenarsi nel processo con la bontà finale del prodotto. Gianni Rodari, quando spiegava il binomio fantastico, era solito precisare che era un metodo per inventare storie, non storie belle. Ma per arrivare alle storie belle, bisogna cominciare a raccontare storie.

Così è per la creatività. Fare associazioni continue, anche non pertinenti, è un modo per mantenere elastico il cervello e la creatività.

Della stessa linea è invece il mondo delle associazioni delle modalità. Provate a rispondere a delle domande con dei disegni, oppure con una canzone. Giocate spesso a “Se fosse…”, magari descrivendo come è trascorsa una giornata: “Se fosse un animale sarebbe un riccio: mi sono sentito chiuso e con enormi cartelli su di me con scritto “Meglio Allontanarsi!”. Un cartello per ogni spina!”. Ecco, quando abbiamo scritto questa frase abbiamo detto di più: il nostro cervello ha giocato sull’animale, e dalla foto che è emersa (il riccio) abbiamo scritto di più per spiegare il motivo. Alla fine poi abbiamo messo anche un artificio letterario: abbiamo abbandonato subito il riccio per l’immagine del cartello, e quindi, da buoni editor, l’abbiamo recuperato nel parallelo cartelli-spine. Spesso non ci accorgiamo di questo se non dopo aver riletto il tutto; ma converrete con me, che  per rileggere qualcosa, qualcosa deve essere stato scritto!

 

 

Creatività Addomesticata

Il secondo passo è invece uno sviluppo creativo che risponda a criteri associativi più universali, magari ristretti ma più universali. Io dico: “Zucchero” e l’altro dice “Pacchero” oppure “Zebra” oppure “Carta” oppure “Fornaciari” oppure “Fruttosio”. Associazioni…

Per rima o suono fonetico, per iniziale, per modi di dire, per sinonimi.

Quando si attua questo processo dobbiamo sforzare altre parti del cervello: quelle più nozionistiche, quelle logiche.

Per questo da sempre un consiglio che do è di allenarsi con il gioco del Bersaglio della Settimana Enigmistica. La tecnica usata sviluppa molto le possibilità di associazione di idee (culturali o linguistiche), concentrandosi però solo sul lato della condivisione: non vale tutto ciò che penso io ma, vale quello che è condivisibile.

 

 

Creatività Esistenziale

Un ultimo gioco. Da fare a tempo perso per allenamento o a tempo pieno quando si ha un problema. Si applica il gioco del “Se fosse…” a noi stessi. Ho un problema di arredamento. Non riesco a risolverlo, ma se fossi un architetto…

Non è gioco assurdo: se si fosse architetti non si avrebbe il problema, ma non essendolo un problema lo diventa! In realtà questo gioco fa scattare alcune dinamiche positive.

 

1. Innanzitutto ci fa staccare dall’ansia di prestazione: chi sbaglia è eventualmente l’architetto che impersoniamo, non siamo noi…

 

2. Ci fa prendere coscienza delle domande giuste: cosa fa un architetto per prima cosa? Ecco che allora vedere certi programmi televisivi, scrivere la stringa giusta sui motori di ricerca, cercare il libro corretto in biblioteca, ci permette di scoprire che le risposte esistono già: è la domanda che ha bisogno di sostegno e indirizzamento.

 

3. Ci fa aggiornare in modo multidisciplinare. In un’epoca in cui il sapere multisettoriale fa da padrone, si sente l’esigenza di chi sa cavarsela nei campi fondamentali e di chi sa avere uno sguardo più globale.

 

Questo gioco è ideale nelle famiglie, perché permette ai genitori di pensare a un problema senza essere interrotti continuamente dai figli, i quali, coinvolti, sono aiutati a sviluppare un senso creativo.

Infine, se posso consigliarvelo, è un bel modo per ordinare le idee, per capire se è necessario o meno un esperto, per valutare le varie possibilità. Perciò il consiglio è di usarlo quando il problema comincia a esserci (la molla dell’utilità mi fa usare il metodo) ma non è ancora urgente (la serenità di avere tempo non mi fa rinunciare al metodo). Buona creatività a tutti.

 

 

Gigi Cotichella

http://www.elledicieducare.it

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