Meditazione sul vangelo della II domenica di Quaresima, in stile salesiano da Don Paolo Mojoli.
A partire da questo brano di vangelo, dalla stessa liturgia della Domenica delle Palme, ci sarebbero tantissimi spunti su cui meditare.
Preferisco sceglierne solo uno, e in modo breve.
Gesù è circondato dal male, vicino e lontano da lui.
Ebbene, cosa vive, come risponde alla malvagità e alla cattiveria Gesù, vero Dio e vero uomo?
San Paolo concentra questa dinamica in una sola frase: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12,21).
Così, il Signore risponde con verità a Pilato, semplicemente tace di fronte al malintenzionato Erode.
Ma lo stesso Pilato, pur essendo convinto dell’innocenza di Gesù, lo consegna a morte.
Accogliamo le parole di Gesù come dono personale, famigliare, comunitario, che comprende tutta la Chiesa e il mondo intero.
«Piangete su voi stesse e sui vostri figli».
«Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».
«In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».
L’atteggiamento di Gesù mentre viene condannato ingiustamente, porta la croce con parole di compassione, muore perdonando, potrebbe stupirci fino alla follia.
In tanti, a partire da san Paolo, l’hanno infatti descritta come la follia della croce (confronta 1 Cor 2,14; 2 Cor 11,1).
Un Dio follemente innamorato di te.
Che ti ama fino a non trattenere nulla per se stesso, se non il suo essere Figlio.
Chi sono io per non essere capace di perdonare anche al «fotofinish», come al buon ladrone?
Chi sono io per non credere Dio capace di perdonarmi all’ultimo istante?
Chi sono io per condannare o per giudicare «troppo facile» che uno riceva il perdono di Dio proprio al termine della vita?
Mi permetto di giudicare solo perché ho partecipato a tante Messe, o ammetto pubblicamente di aver vissuto secondo la morale cristiana?
In questi ultimi casi, forse sono proprio io che non ho capito un bel niente di Gesù e della qualità, della bellezza, del gusto del suo amore.
A volte, ci perdiamo in arzigogolamenti «umani, troppo umani». Quindi totalmente insufficienti a gustare la bellezza divina.
Forse, come davanti a un capolavoro, dovremmo fare un passo indietro per non lasciarci inghiottire dal particolare. Invece, proviamo a trovare uno sguardo che ci permetta di prendere il volo verso l’infinito.
Troppo spesso siamo come dei maratoneti o centometristi (di ogni tipo) che spremono tutte le loro forze. Ma, anche se grondanti di sudore e con migliaia di ore di allenamento sulle gambe, rimangono semplicemente attaccati a terra. In termini tecnici, nei confronti di Dio e della nostra vita spirituale, questo iper-sforzo viene chiamato pura ascesi.
Non basta, evidentemente. Se sono venuto al mondo solo per, esagerando, 100 anni di esistenza umana, e poi perdendo tutto con la mia morte, aveva davvero senso nascere e vivere? L’impegno ascetico ha bisogno di ali autentiche (la dimensione mistica), che possono venire solo da Gesù che ha patito, è morto e risorto per noi.
San Francesco di Sales.
«C’è chi lo chiama “ricostruzione del luogo”, chi “lezione interiore”.
Si tratta soltanto di presentare alla tua immaginazione il mistero su cui vuoi meditare, ricostruendolo nella sua realtà storica.
Per esempio, se vuoi meditare su nostro Signore in croce, devi immaginare di trovarti sul monte Calvario e rivedere tutto ciò che avvenne e si disse nel giorno della passione; o se preferisci immaginati che la crocifissione di nostro Signore avvenga proprio nel luogo in cui ti trovi, seguendo il racconto degli Evangelisti».
Don Paolo Mojoli
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