Comunicare Gesù nel mondo contemporaneo attraverso la bellezza

Al Convegno "Gesù nostro contemporaneo", Alessandro D'Avenia ha raccontato la figura di padre Pino Puglisi, suo insegnante di religione nella scuola superiore: “Ci sono persone capaci di guardare gli altri facendo percepire con gli occhi la dignità che ciascun uomo ha. È il caso di padre Pino Puglisi, assassinato dalla mafia..."

Comunicare Ges√π nel mondo contemporaneo attraverso la bellezza

da Quaderni Cannibali

del 13 febbraio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

          “Il Dio in cui si crede, o non si crede, il Dio di cui anche oggi si discute, in Occidente e in gran parte del mondo, ad esempio in Russia e in America Latina, è, in sostanza, il Dio che ci ha proposto Gesù di Nazaret. Ed è vero pure l’inverso: se Gesù di Nazaret è importante anche oggi per tanti uomini e donne, è perché essi sono convinti, o almeno sperano, che egli abbia un rapporto speciale, anzi unico, con Dio”. Con queste parole il Card. Camillo Ruini ha concluso l’evento internazionale ‘Gesù nostro contemporaneo’, promosso dal Progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana.  

          Ripercorrendo i lavori di questi tre giorni, il Cardinale ha sottolineato come i lavori abbiano contribuito a far emergere con speciale forza alcune forme di tale contemporaneità: “Quella delle opere di fraternità che scaturiscono dal prendere sul serio il nostro legame con lui. Quella, intima e particolarmente diretta, del rapporto personale e vivificante che si stabilisce tra lui e chi sceglie di trascorrere, mediante il silenzio e la preghiera, la vita in sua compagnia. Quella dell’esperienza del dolore, attraverso la quale Gesù penetra dentro di noi e si immedesima con noi, offrendoci una difficile ma straordinaria possibilità di immedesimarci a nostra volta con lui. Quella infine, la più alta di tutte, che si realizza in chi muore martire per la fede in lui… Gesù rimarrà sempre nostro contemporaneo, perché vive con noi e per noi nell’eterno presente di Dio.”.          Nella relazione finale sul tema ‘L’escatologia nel mondo secolarizzato’ il prof. Henning Ottmann, docente di Filosofia politica presso l’Università di Monaco di Baviera, è partito da alcuni interessanti interrogativi: che cosa porterà il futuro all’umanità? Un regno di pace e di giustizia? O quello che accadrà sarà completamente diverso? Vi sarà, alla fine, una guerra atomica? Una catastrofe climatica? Un progressivo avvelenamento della terra? Domande che sono frutto di un pensiero storico-naturalistico per cui il mondo aveva una fine, che inevitabilmente la venuta di Gesù Cristo ha cambiato la prospettiva: “Con il cristianesimo questa concezione del tempo e della storia si è trasformata. Per i cristiani la storia ha un fine. Essa ha un inizio nella creazione, un centro nell’incarnazione di Dio, una fine nel ritorno del Signore. La storia non viene più rappresentata come un circolo. Ce la rappresentiamo piuttosto come una freccia diretta verso un bersaglio”.

          E’ la storia della salvezza, alla quale le escatologie secolarizzate hanno risposto con una ‘degenerazione’ del senso della storia, per cui ‘al posto di Dio pongono l’uomo’: “L’uomo osa rendersi responsabile della storia e del fine di questa. Ma se l’uomo è responsabile della storia, allora egli è responsabile anche di ogni guerra e delitto, di ogni umiliazione e degradazione, di cui la storia è piena. Se l’uomo è il signore della storia, allora egli è responsabile del fatto che questa storia, fino ad ora, è stata una storia di catastrofi”.

          Quindi l’uomo contemporaneo entra in concorrenza con Dio, ma il cristianesimo insegna ben altra cosa, la collaborazione tra Dio e l’uomo: “Il cristiano vive in questa condizione intermedia, fra il ‘già’ e il ‘non-ancora’, fra il regno di Dio ‘già’ iniziato e il regno di Dio “non ancora” giunto a compimento. Il fatto che il regno di Dio sia già iniziato costituisce il conforto del cristiano; il fatto che il suo compimento ancora manchi costituisce la sua speranza. In ogni caso il mondo in cui noi viviamo può essere soltanto temporaneo, finito, può essere soltanto un mondo relativo. La concezione cristiana della storia distingue fra ciò che è ultimo e ciò che lo precede, fra assoluto e relativo, fra temporaneo e definitivo”.

          Invece il teologo anglicano, Nicholas Thomas Wright, vescovo di Durham e professore all’Università di Saint Andrews, ha sottolineato: “il significato della sua risurrezione non può essere ridotto a qualcosa di tanto rassicurante quanto semplice come il considerarlo un ‘contemporaneo’ nel senso di un amico accanto a noi, una presenza sorridente e confortante. Poiché è risorto dai morti, egli è il Signore del mondo, sovrano di tutto il cosmo, colui di fronte al quale noi pieghiamo le ginocchia, credendo che alla fine ogni creatura arriverà a fare lo stesso”.

          Dopo un interessante excursus storico sul significato della Resurrezione, in cui ha analizzato le figure di Pietro, Tommaso e Maria di Magdala come sono state descritte dal vangelo di san Giovanni, il teologo ha concluso: “La risurrezione non è la fine della storia; è l’inizio di una nuova storia, precisamente perché Gesù è la primizia e la pienezza del raccolto deve ancora venire… Qui nel vangelo di Giovanni, in Maria, in Tommaso, e soprattutto in Pietro, scopriamo che cosa significhi conoscere Gesù risorto come nostro contemporaneo, colui che asciuga le nostre lacrime, che risponde alle nostre domande difficili, ma che soprattutto ci invita a venire con umiltà e amore, l’amore attraverso cui il potere della sua vita risorta, il suo essere pastore del suo gregge, può arrivare a lavorare di nuovo nel nostro tempo. Questo significa riconoscere Gesù risorto come nostro contemporaneo”.

          Interessante è stato anche il colloquio, avvenuto il giorno precedente, tra il cantautore Roberto Vecchioni, lo scrittore Alessandro D’Avenia, il giornalista Alessandro Zuccari e don Armando Matteo, docente di teologia alla Pontificia Università Urbaniana, sulla percezione della figura di Gesù da parte dei giovani. Roberto Vecchioni ha esordito, affermando: “Se abbiamo voluto un figlio, da quel giorno dobbiamo dividere la nostra vita con lui... I ragazzi di oggi non hanno maestri, punti di riferimento”, sottolineando la caratteristica del Dio ristiano, l’amore: “Nelle religioni del passato, come pure negli altri monoteismi, ci sono paura e meraviglia, grande rispetto per la divinità, ma non amore, mentre la figura di Gesù è la prima in cui s’instaura il concetto di amore”.

          Alessandro D’Avenia ha raccontato la figura di padre Pino Puglisi, suo insegnante di religione nella scuola superiore: “Ci sono persone capaci di guardare gli altri facendo percepire con gli occhi la dignità che ciascun uomo ha. È il caso di padre Pino Puglisi, assassinato dalla mafia a Brancaccio, quartiere di Palermo, nel 1993”. Il sacerdote era insegnante di religione nella scuola superiore di Alessandro D’Avenia, oggi a sua volta insegnante e scrittore. Quindi per lo scrittore gli educatori devono possedere uno sguardo che comunichi dignità e bellezza: “Gesù può farsi nostro contemporaneo se i ragazzi vedono negli adulti la capacità di trovare la bellezza che ciascuno di noi ha in se stesso”.

Simone Baroncia

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