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Condividere la gioia

La vera solitudine consiste nel non aver nessuno con cui poter condividere la gioia. In fondo aiutare una persona che soffre è il modo migliore di alleviare anche la nostra personale sofferenza e poi è gratificante, ci fa sentire utili e importanti. Ma non è altrettanto spontaneo condividere la gioia: se pure siamo abbastanza bravi a piangere con chi piange...


Condividere la gioia

La definizione della solitudine non è quella di non avere nessuno con cui condividere il dolore, perché lo sappiamo bene che è molto raro trovare qualcuno disposto a condividere la nostra fatica e sofferenza, disposto ad ascoltarci quando il cuore grida per la fame e la vita si è fatta pesante, così in fondo ce lo aspettiamo di essere soli in quel momento e la cosa non ci turba più di tanto. No, la vera solitudine consiste nel non aver nessuno con cui poter condividere la gioia.

Questo pensavo ieri sera quando ho ricevuto una bella notizia. Avrei avuto voglia di brindare, di intrecciare un passo di danza, di ridere forte, ma poi mi son guardato intorno e mi son detto: sì, ma con chi? In questo momento di passaggio della mia vita, per un insieme di circostanze, non ho davvero nessuno con cui poterlo fare. Circostanze transitorie intendiamoci, non scrivo queste righe per chiedere compassione, ma sufficienti a farmi riflettere sull'importanza di una cosa a cui generalmente non prestiamo abbastanza attenzione.

Infatti è facile che, quando vediamo una persona soffrire, quel poco di Carità che abbiamo imparato ci spinga a desiderare di dargli sollievo in qualche modo. In fondo aiutare una persona che soffre è il modo migliore di alleviare anche la nostra personale sofferenza e poi è gratificante, ci fa sentire utili e importanti. Ma non è altrettanto spontaneo condividere la gioia: se pure siamo abbastanza bravi a piangere con chi piange, raramente riusciamo davvero a gioire con chi gioisce.

Fateci caso: se una persona ci comunica la sua gioia il più delle volte ascoltiamo garbatamente per qualche minuto, magari alziamo il bicchiere insieme, ma poi quasi subito cominciamo a parlare di noi e delle nostre vicissitudini, raramente, rarissimamente, ci facciamo eco della sua gioia in modo da restituirgliela amplificata e moltiplicata dalla condivisione.

Questo accade perché gioire della gioia di un altro implica un disinteresse assoluto, significa fargli davvero posto nel nostro cuore, significa avere un orizzonte davvero condiviso, stimare il suo bene quanto il nostro, godere dei suoi successi quanto godiamo dei nostri, in una parola sola: amarlo davvero come se stessi. Così che se pure il nostro cuore è nella fatica e nel pianto in quel momento ci dimentichiamo davvero di noi stessi e siamo tutti interi dalla sua parte.

Quanta umiltà è necessaria per amare così, quanta dimenticanza di sè. Prego Dio di insegarmi ad amare in questo modo, a farmi casa non solo per chi piange, ma anche per chi ride.

 

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