Nel libro "Mariti con le ali" le storie di donne vedove a causa del Covid. Che, incontrandosi su Facebook, hanno iniziato nuovi percorsi
Che cosa fai, che cosa pensi, se tuo marito muore per una malattia sconosciuta, e tu non hai potuto essergli vicino negli ultimi giorni, negli ultimi istanti; se sei divisa tra i sensi di colpa per non aver saputo capire in tempo – ammesso che un tempo per capire ci fosse – che il maledetto virus (“la bestia”, il “maledetto mostro”) era arrivato e la rabbia nei confronti di istituzioni che sembrano più che mai lontane e inefficienti…; se la quarantena ti tiene lontana non solo dal cimitero, ma dagli amici, dalle persone che ti vogliono bene…
Ti attacchi a una telefonata, ai figli, alle cose da fare, alla fede, se ce l’hai, alle lacrime, se non ce l’hai. Ma alla fine, ciò che aiuta davvero è la possibilità di condividere questo dolore, questo peso, questa solitudine. Di condividerlo con altre donne che hanno vissuto storie simili, ma comunque ognuna diversa, e si sono ritrovate vedove, inaspettatamente, a causa del virus. Di condividerlo attraverso quelle parole che permettono di raccontarsi, scoprendo il tappo di quel vulcano che brucia dentro, e che così può sfogarsi e piano piano raffreddarsi.
LA CONDIVISIONE, LA PAROLA, L’AMICIZIA
“Condividere” e “parlare”: queste due parole – insieme ad una terza, amicizia – sono il filo conduttore delle storie che compongono il libro “Mariti con le ali. Vedove da Covid unite dall’amore”, curato da di Laura Badaracchi e Stefania Principale (Effatà editrice, 2021).
Diciotto storie di donne che sono rimaste vedove a causa del Covid e che raccontano in prima persona la fase della malattia e della morte del marito, e poi la loro vita ad un anno di distanza.
Donne che si sono incontrate su Facebook, grazie a Laura Mambriani, il cui marito è morto di Covid a soli 58 anni. Laura ha creato un gruppo, “Unite dall’Amore”, in cui ognuna poteva raccontarsi, ascoltare, sfogarsi, senza essere giudicata. Un gruppo di automutuoaiuto, che adesso aspira a incontrarsi di persona, appena possibile.
Ed ecco che arriva la terza parola: “amicizia”. Scrive una delle vedove di “Mariti con le Ali”, Francesca, che questa esperienza è «un esperimento sociale senza precedenti, perché ciò che ci ha travolte è senza precedenti». Condividendo la propria fragilità si diventa amiche, e l’amicizia rende forti: «La cosa che più mi ha colpito di questa “strana” e insolita amicizia è che, nonostante l’appartenenza a fedi diverse, religiose o meno, nonostante molte non credano in Dio, nonostante alcune non credano proprio in niente, siamo tutte convinte che quello che ci ha spinto a cercarci e a unirci sia stato qualcosa di estremamente grande, che abbia agito per il nostro bene e per la salvezza dei nostri cuori».
STRUMENTI ANTICHI, PERCORSI NUOVI
Francesca, che aveva pregato tanto, nei giorni della malattia, ed era fermamente convinta che Dio avrebbe salvato suo marito, è riuscita a ricominciare anche un percorso di fede. Altre, grazie alla condivisione, alla parola e all’amicizia, hanno ricominciato semplicemente un percorso di vita. Che non è poco.
Anche se è avvenuto su uno strumento nuovo e virtuale – un social network – questo percorso è fatto di ingredienti antichi: la condivisione, la parola, l’amicizia. È la loro mescolanza che lo rende così importante ed efficace. E anche capace di scavalcare le distanze: di età, di fede, di cultura, di luogo geografico.
Queste storie di donne innamorate, quindi, sono importanti in sé, per la loro testimonianza. Ma sono importanti anche perché ci fanno toccare con mano quanto è vera quell’affermazione, “insieme ne usciremo“, tanto abusata da essere ormai logorata. Se il dolore si affronta insieme, è più facile trasformarlo in un terreno su cui appoggiarsi per ripartire. Perché «quello di queste donne è un parlare che dà consolazione. Che insieme chiede giustizia, ma cerca la strada per continuare a vivere. È un parlare generativo».
di Paola Springhetti
tratto da vinonuovo.it
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