Confessione: domande giovani

Alla comunità di Facen, nel bellunese, ragazzi in dialogo per una sera con l'arcivescovo di Gorizia e dieci preti sul senso del peccato e l'attualità del Decalogo. De Antoni: «Quando l'uomo rinuncia alla pretesa di essere misura di se stesso, riscopre il bisogno e la gioia del perdono... Il peccato è sbagliare bersaglio, è sbagliare centro...».

Confessione: domande giovani

da Teologo Borèl

del 30 marzo 2006

«Signor vescovo, che cosa rimane oggi dei dieci Comandamenti?». Hasna, musulmana, è una bella diciottenne marocchina. In comunità, a «Villa San Francesco» di Facen, tra le montagne di Feltre, ha riflettuto a lungo, insieme ad altri ragazzi islamici e cristiani, stranieri e italiani, sul senso del peccato. E sul significato che i suoi amici cristiani danno alla confessione.

Aldo Bertelle, il direttore della comunità, invita una sera a cena l'arcivescovo di Gorizia, Dino De Antoni, e dieci confessori, provenienti da diverse diocesi del Nordest. E nel dopo-cena li fa riflettere a voce alta davanti a un pubblico incuriosito ma anche interessato, arrivato ai piedi delle Dolomiti da ogni parte del Veneto, tra l'altro sfidando una pioggia battente.

Le domande sono una più intrigante dell'altra. Cos'è il peccato? È più importante non fare il male o sforzarsi di fare il bene? Non ci si va a confessare per paura di convertirsi? Perché c'è chi preferisce 'confessarsi' davanti a una telecamera piuttosto che ad un prete? Ma c'è quella domanda di Hasna che incombe: che cos'hanno ancora da dirci i dieci Comandamenti?

«Ci danno il senso del limite - risponde l'arcivescovo -. E chi non ha il senso del limite, non ha il senso dell'esistere». De Antoni ricorda il 'primo no' della mamma che si fa tagliare il cordone ombelicale: «È il primo no che ci ha fatto esistere». Ecco, appunto, i no dei dieci Comandamenti. Che valgono per i credenti. Ma interpellano anche i non credenti.

Hasna ascolta attenta e prende appunti. Così Hazem, 18 anni, kosovaro, anche lui musulmano; Hagi, 17 anni e Hotman, 18, marocchini, pure loro islamici. E poi i ragazzi italiani, loro compagni di comunità, che sono andati perfino in piazza, a Feltre, con telecamera e microfono per raccogliere dalla città che cosa resta, appunto dei Comandamenti, ma anche del senso del peccato, della confessione. Perché con tanta difficoltà c'inginocchiamo di fronte a quella grata?

«Perché noi diventiamo misura di noi stessi - spiega l'arcivescovo -. Se l'uomo diventa misura di se stesso, non trova peccato. Che bisogno c'è di confessarsi per trovare la gioia del perdono? Eppure, se l'uomo non giudica se stesso, ma si lascia giudicare dalla Parola, si accorge che ha bisogno del perdono. E allora riscopre la gioia di essere perdonato».

Fa pressing Massimo: non è peccato rubare anche i nostri sogni di ragazzi, oltre che i soldi? «Certo che sì», risponde don Marco Saiani della Pastorale giovanile di Trento, raccomandando di andare in profondità nella confessione. Qual è - insiste Simone con don Gianfranco Zenatto, Caritas di Padova - il comandamento più calpestato? «Il terzo, perché non riusciamo a santificare la festa dal momento che non siamo più capaci di fermarci. La vita è come una caramella: per gustarla dovremmo succhiarla anziché masticarla».

Silvano, uno degli educatori della comunità, vuol sapere: il peccato non dovrebbe essere occasione per capire e redimersi? «Si, ma per convertirsi - risponde don Marco Galante, responsabile delle vocazioni in diocesi a Padova - bisogna imparare a dimorare nelle proprie ferite». Katia a don Antonio Zuliani, della Piccola Comunità di Conegliano: «È più facile confessare una colpa o l'omissione di non aver fatto il bene, il proprio dovere?». Facile la risposta, ma don Antonio aggiunge: «Occorre avere il fiuto 'avanguardista' di ciò che vale veramente, Bisogna coltivare lo scandalo del bene». Secondo don Antonio, fra l'altro, non è facile riscoprire il senso del peccato se non si ridiventa bambini.

Proprio a De Antoni è toccato raccontare l'emozione della sua prima confessione all'età di sei anni e mezzo. «Quanta paura», ammette. Ma il Signore - ricorda don Francesco Silvestri dell'Azione cattolica di Belluno - non ci chiede di essere perfetti: «Ci si può fidare - aggiunge, rivolto ai ragazzi - di uno che ci prende come siamo».

Ma in definitiva - tallona Matteo - che cos'è il peccato? «È sbagliare bersaglio, è sbagliare centro - rispon de monsignor Giulio Antoniol, giovane arciprete della concattedrale di Feltre -. È un fallimento personale». «Perché?», gli chiedono i ragazzi. «Perché non sappiamo raggiungere l'obiettivo per cui siamo stati creati». Don Giancarlo Ceccato prepara i diaconi permanenti della diocesi di Padova. «Mai un confessore ha rivelato, raccontato, chiacchierato di un peccato. Perché?», gli chiede Aldo, il direttore della comunità, con l'intendo di garantire i suoi ragazzi. «Il Padre - risponde don Giancarlo - non rivela mai i difetti del figlio».

Francesco Dal Mas

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