Le vie di Dio impedite a chi non conosce le strade dell'uomo.
del 27 agosto 2007
La battuta più veloce del bar mediatico, spetta a Christopher Hitchens, che di bar e di media si intende incontestabilmente. «È la riprova che la religione è un'invenzione umana». Il brillante editorialista di Vanity Fair è infatti strenuamente impegnato, per puro altruismo, nell'appassionata divulgazione del messaggio che deve salvarci dall'ultima barriera che si interpone fra la timidezza del nostro narcisismo e la perfezione della fitness.
La buona occasione persa per tacere, egli la trae questa volta dall'annuncio di un libro-testimonianza su Madre Teresa di Calcutta, che documenta - e in certo modo anche rivela - l'entità del prezzo assegnato, dall'alto, all'autenticità della sua traversata nelle cantine del progresso, per cercare Dio fra gli stracci dell'umano appena nato e quasi morto. Ne apprendiamo che l'inizio di questo risvolto drammatico e stremante, anche intimo e commovente, dell'esistenza spirituale di Madre Teresa, coincide praticamente con l'inizio della sua consegna ad una vocazione religiosa estrema.
Le baraccopoli di Calcutta - come quelle delle grandi megalopoli - sono i bordi immensi della tavola di Epulone, oggi popolose discariche della secolarizzazione, dove sono ammassati gli esiti mancati e i prodotti difettosi della civiltà del benessere. Discariche del divino e dell'umano, che impicciano progetti di qualità della vita che hanno bisogno di esclusività - e perciò di esclusione - per coltivare la loro proiezione delirante. Piccoli e mediocri registi, autoeletti padreterni del progresso, si assicurano che gli utili della sproporzione crescano. Intellettuali volenterosi, occidentali e illuminati soprattutto, hanno incominciato a capire il vantaggio di rifornire questa regìa del nuovo capitalismo libidico con un'a-teologia appropriata e servizievole. È la riprova che l'irreligione è un'invenzione disumana. Agnes Gonxa Bojaxhiu, divenuta Madre Teresa, segue Dio e l'umano, respinti con fastidio dal centro della città, fino all'immensa discarica. Popolo del deserto, che non ha neanche l'illusione del cammino. Brulicante di movimento, eppure immobile, inchiodato sul posto da forze planetarie, insormontabili. Pulsante di vita, eppure in totale anestesia della sua stessa percezione. Ne spuntano, come fiori impossibili, grandi occhi su ossa aride e sorrisi assoluti su pelli tirate. Il contraccolpo spirituale, però, è di proporzioni immense. La pressione delle potenze mondane, e l'enormità dell'eccezione inumana, che diventa norma di vita, svuotano l'anima. Giunge fino al midollo della verità più creduta, delle affezioni più amate, delle certezze più certificate.
Ci si sente infine, in se stessi, ossa aride, totalmente insignificanti, persino assurde. Giovanni della Croce, Teresa di Lisieux, Charles de Foucauld. Per essere all'altezza di patire sino a questo punto, e così a lungo, l'insensibilità a Dio che la città dell'uomo scarica sul testimone della fede, mediante la grande discarica delle sue indifferenze e dei suoi disprezzi, è necessario avere il dono di una speciale sensibilità per Dio. Rocciosa come un osso, se necessario. E patirla, senza cedere ad essa, per tutto il tempo che è necessario. Per patire nei sensi dell'anima il Suo abbandono, lo stesso che alita su di te la massa degli abbandonati che ti circonda, bisogna essersi molto abbandonati a Lui sin dall'inizio, e nel profondo. Per tenere la rotta della sequela e delle opere in cui si rivela la consolazione di Dio per gli sconsolati della terra, senza dare soddisfazione all'insensibilità dei potenti e degli indifferenti, e dei loro grilli parlanti, è necessario rivestire il proprio proprio svuotamento come un mite sorriso. Come un mantello protettivo per i molti, come un profumo che non fa pesare il digiuno. Lezione provocante per gli eroi di un giorno, per i quali nulla ha senso - tanto meno la fede - se non genera la sua corposa gratificazione, che perfeziona spiritualmente la fitness psico-fisica? È per questo che ci sono i santi.
Pierangelo Sequeri
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