La pubblicità, televisiva o cartacea che sia, ci propone innumerevoli modelli, che stanno prendendo sempre più piede nell'immaginario, soprattutto giovanile, e non vogliono più solo convincerci a comprare un prodotto piuttosto che un altro, ma vogliono dettarci vere e proprie regole di vita. Siamo capaci di riconoscerli?
del 13 dicembre 2006Quali modelli di uomo e di donna propone la pubblicità?
 
Canale5, quattro del pomeriggio. Tra un blocco e l’altro del programma di Maria De Filippi parte, immancabile, lo stacco pubblicitario: cinque minuti di tentativi, da parte di pubblicitari e case produttrici, di vendere i propri prodotti, o quanto meno, di renderli interessanti ai nostri occhi.
Quello che però spiazza è, se ci si sofferma un po’ di più nella loro analisi, che nella maggior parte dei casi non è più il prodotto stesso a essere il protagonista dei 30 secondi, ma generalmente una donna o un uomo con caratteristiche peculiari, a seconda dello spot.
Nasce così una riflessione spontanea: ma con quali criteri sono stati scelti proprio quei prototipi per una determinata campagna, piuttosto che altri?
La soluzione è abbastanza semplice: perché sono i modelli ai quali aspirano i clienti che l’azienda ha selezionato come target.
 
Tra il 1997 e il 1998, due studiosi, E. Kermol e M. Beltrame, hanno compilato una griglia di modelli femminili e maschili presenti nella pubblicità, per poi condurre un’analisi sugli stili di vita italiani. Qui di seguito, riporto lo schema elaborato:
 
Modelli femminili
 
Modelli maschili
La seduttrice
Il seduttore
La sportiva
Lo sportivo
La ragazza acqua e sapone
 
La romantica
Il romantico
La moglie
Il marito
La madre
Il padre
Il pater familias
La casalinga tradizionale
La casalinga professionista
 
La narcisista
Il narcisista
L’erotica
 
L’ambigua
L’ambiguo
La donna oggetto
L’uomo oggetto
L’intellettuale
L’intellettuale
La manager
Il manager
        
È subito evidente il fatto che questi modelli rispecchiano soltanto alcuni dei ruoli presenti all’interno delle diverse classi sociali, e proprio quelli più tradizionali e convenzionali: la logica sulla quale opera la pubblicità risulta quindi essere quella dei modelli consolidati. Per questo motivo, molti tendono a concludere che la pubblicità non è fonte di innovazione o trasformazione sociale, in quanto tende piuttosto a frenare gli sviluppi, rinnovandosi solo quando ciò è efficace per il raggiungimento dei suoi scopi.
 
Questa interpretazione non mi convince e rimango una ferma sostenitrice della convinzione che la pubblicità determina la maggior parte delle scelte che gli uomini fanno, in termini di acquisti, ma anche dei comportamenti. Non a caso, negli ultimi otto anni questa classificazione è già stata modificata, e sono state aggiunte altre figure, integrate ai modelli preesistenti:
·             la donna e l’uomo preoccupati per il loro aspetto fisico o il loro benessere, che generalmente pubblicizzano prodotti di bellezza;
·             la modella/il modello, usati di solito dalle case d’abbigliamento, solitamente inseriti in contesti che non solo servono a creare il clima, ma soprattutto dettano regole di filosofia di vita, ways of life;
·             la/il testimonial, modelli realmente esistenti e in quanto tali molto specifici, che danno ancor maggior credibilità al prodotto in quanto persone famose molto citate dai mass media;
·             la bad girl e il bad boy, modelli che si oppongono alle regole sociali che li vorrebbero sempre sorridenti e accondiscendenti, che compiono azioni molto poco politically correct, per giungere ad atti vandalici veri e propri;
·             la/ il partner, e non più l’ormai superato binomio “moglie e marito”. Attualmente, la pubblicità tende a rappresentare giovani coppie in contesti non domestici, solitamente sportivi o ludici;
·             la serena/il sereno, modelli che esprimono una profonda pace interiore ed una perfetta armonia con l’ambiente e con se stessi; possono essere uomini e donne romantici e sognatori (ed è per questo che solitamente è un modello femminile) o più spiccatamente spirituali e meditativi (molto rari, per la verità).
                    
 
L’associazione tra la donna e la sessualità da un lato e l’uomo e la virilità dall’altro.
 
Per quanto riguarda le donne, è evidente, già al primo colpo d’occhio, che i modelli “l’erotica” e “la seduttrice” sono i più rappresentati in pubblicità, senza contare che molti altri modelli vengono inquinati da connotazioni erotiche.
Qualche caso:
-              nell’esempio relativo al modello “la bad girl” solitamente è rappresentata una ragazza che compie monellerie, ma, guarda caso, lo fa in minigonna e tacchi a spillo…
-              lo svecchiamento del modello “la casalinga”, poi, consiste semplicemente nel dotarla di una qualche attrattiva sessuale, ringiovanendola e rendendola più “appetibile” rispetto alla cara vecchietta che lavava le camicette negli anni 80
-              certo, “la mangiatrice di uomini” è una dominatrice, ma come potrebbe conquistare l’altro sesso se questo non fosse attirato dalle sue grazie? In quanto modello particolarmente sviscerato, “l’erotica” può avere moltissime declinazioni, dalla lolita alla prostituta, passando per la ninfomane e per la donna oggetto
-              il modello “la seduttrice” rappresenta un raddolcimento de “l’erotica” e allo stesso tempo ne è l’evoluzione, in quanto il sex-appeal femminile diventa meno volgare e più minimalista, suggerito anziché dichiarato apertamente
-              un altro modello frequente è “la raffinata”, presente soprattutto nelle riviste che si rivolgono alla fascia di utenti femminili, solitamente in carriera o comunque con uno stile di vita alto o medio-alto. In Italia, per concludere, il tema dell’amore saffico è solo evocato, mentre quello del travestitismo è più volte chiamato in causa, soprattutto negli ultimi tempi.
 
Per quanto riguarda l’uomo, è altrettanto evidente come i modelli di ”manager”, “sportivo” e “seduttore” siano ad oggi i più rappresentati. L’uomo è e deve sempre più aspirare a una buona carriera, una buona posizione sul lavoro e un fisico aitante, o quanto meno curato, per rispecchiare appieno l’oggetto del desiderio della donna moderna, anch’essa in carriera e con ambizioni maggiori di quelle delle donne di qualche decennio fa. E quindi dimentichiamoci de “l’uomo che non deve chiedere mai”, e via libera a quello che riempie l’armadietto del bagno di creme anti-età, scongiurando le rughe e le”zampe di gallina”… perché ormai, il format de “la pupa e il secchione” è solo un reality show.
 
Per quanto riguarda il modello di coppia, si è vista una innovazione abbastanza vistosa, e forse più preoccupante: non esiste più ne “la mamma”, che talvolta appariva affiancata dal ‘papà’, ne “la partner”, che sostituiva “la moglie”. La categoria individuata da Kermol e Beltrame è stata rinominata per mettere in luce che questo modello non è più tenuta insieme da un legame, il vincolo matrimoniale, ma da un’affettuosa complicità o da una bruciante passione; il rapporto sembra comunque basato sulla parità tra uomo e donna, che nelle pubblicità moderne, dialogano e collaborano. Tuttavia, continuano ad essere rappresentate anche coppie in cui è l’uomo incaricato del mantenimento della donna, sia pure nelle forme più simboliche (il regalo costoso); e non si vedono mai, per esempio, coppie in cui la donna è più anziana dell’uomo (al massimo i partner sono coetanei).
 
Evoluzione sì, ma solo di superficie. Molti sostengono la stessa cosa affermando che i ruoli proposti dalla pubblicità sono riformabili ma sostanzialmente immutabili, in quanto considerati “naturali”: non c’è mai sovvertimento e reale innovazione, ma si asseconda il divenire degli equilibri e squilibri sociali. Questo è quanto si è potuto constatare: nella pubblicità del giorno d’oggi non si riscontra più l’esibizione esasperata della sessualità femminile o, al contrario, la “virilizzazione” della donna (“la manager” e “l’intellettuale”) in nome della parità; l’attualizzazione della figura femminile passa attraverso l’attenuazione degli eccessi (per esempio, la donna in carriera non rinuncia più alla sua femminilità e alla famiglia), ma spesso anche attraverso l’arricchimento con un’attitudine erotica più o meno sotterranea, spacciata per democratica libertà d’espressione.
 
Avvicinamento dei ruoli tra la donna e l’uomo. In un articolo apparso qualche tempo fa nel settimanale Panorama, in cui ci si chiedeva perché la pubblicità condiziona così tanto la nostra vita, la giornalista Daniela Brancati notava che “siamo passati dalla casalinga di Voghera a quella di Manhattan. Una che deve fare, sì, la spesa, ma in più essere in carriera, sportiva, molto social e supersexy.” Discorso simile va fatto per l’uomo che ha imparato a prendersi molto più a cuore il proprio aspetto, si mette in gioco tra i fornelli (anche se quasi sempre si limita a scaldare un piatto precotto), ma senza mai correre il rischio di perdere la sua virilità, il suo “essere uomo”: nelle parole e nei gesti, tranne in qualche caso in cui il trasformismo sta dando pericolosi segnali di confusione, non tanto di ruoli, quanto sessuali, che in un futuro non molto lontano potrebbero interessarci (e la pubblicità della Martini ne è un chiaro esempio).
 
 
 
La Pubblicità “da serva a padrona”. 
Fino a d’ora ci siamo limitati a vedere l’evoluzione dei modelli di uomini e donne nella pubblicità, ora ci chiediamo cosa ci sta dietro a queste proposte di uomini e di donne.
È ovvio che essa tenda a marcare certe caratteristiche di un modello, per far leva sul desiderio di emulazione dei compratori, ma davvero il mondo è giunto a polarizzazioni così estreme, per cui se da un lato c’è l’allegra famigliola della Mulino Bianco, dall’altro si trovano solo personaggi degni di girare una puntata di Sex and the City?
Il mio parere è che la società è interessata a vedere solo questi prototipi, prendendoli per rappresentativi perché spiccano, da un lato o dall’altro.
Un libro molto interessante, comparso in Italia qualche anno fa, si intitola “Pubblicità serva e padrona”, per indicare come questo mezzo di comunicazione, da un lato è assoggettato alla società, dall’altro, se giustamente manipolato, ne diventa complice e ne detta le regole. In realtà, se si vede il percorso storico che la pubblicità ha subito, sarebbe da ritenersi meglio intitolato “Pubblicità da serva a padrona”: infatti, all’inizio le compagnie pubblicitarie erano semplici 'concessionarie', poi  sono diventate parte integrante delle strutture editoriali e quanto alla televisione vi dettano legge e basta.
E questo ha fatto sì che la pubblicità sia diventata una sorta di life coach per molte persone, grande guru che segna i dettami di ciò che è bene, ciò che è socialmente approvato e ciò che invece fa passare da reietti. Perché, purtroppo questa è una realtà ormai assodata, non è più la vita stessa a plasmare le persone e i loro caratteri, ma tutte quelle scatole presenti nei salotti di ognuno, in moltissime cucine e in tantissime camere da letto, che prendono il nome di televisori.
 
 
Un problema serio: la finzione vuole diventare realtà in molti giovani.
 
Un  problema allarmante è il pericolo che tali modelli vengano presi per veritieri dai giovani, che sentono l’attrattiva di copiare con la loro vita. Questo è il rischio maggiore, e considerato che la famiglia Mulino Bianco non è più un aspirazione, quanto piuttosto un’illusione, secondo le moderne generazioni che sperimentano molto più spesso le separazioni dei matrimoni, tutto li conduce verso i modelli più sbagliati o dissoluti. E non parlo solo in riferimento alla sfera erotica, ma anche più semplicemente, per prendere un esempio, a tutte quelle pubblicità in cui ragazze che già indossano una taglia 40, si nutrono di soli cereali ipocalorici, per non diventare dei maialini (Kellog’s), e passano le loro giornate a spalmarsi creme anticellulite, e contorno occhi anti rughe alla “veneranda” età di vent’anni.
Questo serio pericolo non è colto dalle generazioni di poco precedenti alla nostra, le quali si rendono conto del problema, ma non ne vedono la portata del pericolo, in quanto stanno vivendo il fenomeno di manipolazione della pubblicità con la capacità di distinguere ciò che sta al di qua dello schermo (la vita reale) e ciò che è invece al di là (il “mondo dorato della televisione, di Cinecittà e di Hollywood). Essi sono cresciuti col Carosello, e al massimo del mondo pubblicitario si ricordano la dolcezza dell’orsetto del Coccolino, o il divertimento delle feste brasiliane del Cacao Meravigliao di Renzo Arbore... non si offendano gli “adulti”.
Ma ciò non ha niente a che vedere con gli spot moderni, soprattutto alla luce del fatto che il loro sviluppo va di pari passo con il proliferare dei reality show, in cui sempre più spesso si assiste alla comparsa di personaggi degni di essere i protagonisti delle prossime e più sfacciate campagne pubblicitarie, e che i ragazzi moderni, vedono come un tutt’ uno, un grande pout pourri che per tanti di loro è anche un’ambizione. E tutto ciò in continuo sovrapporsi con la vita reale, per cui non c’è più la distinzione tra di qua e di là del tubo catodico: ciò che succede dentro la scatola è stralcio di vita reale, stralcio imitabile. Una vita senza eccessi non si è quasi mai vista in uno spot, quindi non è auspicabile; una persona che fa del bene per il prossimo (escluse le campagne di Pubblicità Progresso, ma quella è un’altra storia) raramente si vede in pubblicità, quindi non è fashion, molto meglio essere aitanti palestrati o femme fatal… Questo è quello che la maggior parte dei ragazzi pensa, e i pubblicitari lo sanno bene.
 
Il ruolo dell’educatore.
 
In tutto questo gli educatori e i responsabili di realtà giovanili giocano un ruolo decisamente importante: i pubblicitari, i copywriter e gli art director seguono ciò che l’azienda vuole, in termini di produzione e messaggio, ben consci che questi ultimi non saranno poi filtrati dai ragazzi, che solitamente (e lo dico perché spesso capita anche a me), guardano i blocchi pubblicitari con superficialità, a volte seguendo solo a livello inconscio ciò che stanno guardando o leggendo, salvo poi prenderlo a modello. Qui sta l’importanza di tutte quelle persone che invece prestano bene attenzione alle parole dette o alle immagine viste; importanza, la loro, soprattutto nel far uscire da questi giovani quel senso critico che sempre più sono diseducati a esercitare, per essere oggi e domani quello che il loro cuore desidera e non quello che vuole la pubblicità.
Mery Momesso
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