Convivenza e unioni. Storia e cultura.

Proviamo a capire le cause che hanno originato le diverse tipologie di convivenze e unioni di fatto. «La legittimazione di una via più facile e comoda alla relazione affettiva porta con sé anche un rischio più alto di instabilità e l'ulteriore privatizzazione di un istituto, la famiglia, che rimane fondamentale».

Convivenza e unioni. Storia e cultura.

da Quaderni Cannibali

del 26 marzo 2006

Dal punto di vista storico, scrive Giorgio Campanini, dobbiamo ricordare che in passato, specialmente nell’età medievale e moderna, la prospettiva del matrimonio era assai meno marcata di oggi. [1] Per motivi economici o per la scelta di professioni ritenute incompatibili col matrimonio, molta parte della popolazione sceglieva la strada della convivenza e questo non costituiva un grande scandalo benché venissero chiamati illegittimi i figli nati fuori del matrimonio.

Successivamente, nel contesto della cultura romantica col suo sogno di far coincidere sentimento e istituzione, l’ideale proclamato e in parte praticato, è stato quello di ricondurre al matrimonio tutti o quasi i legami affettivi. Ma negli ultimi decenni del ventesimo secolo questo sogno romantico è finito. L’ipotesi di Campanini è precisa: ci si avvia, molto probabilmente, da una scelta matrimoniale generalizzata ad una opzione per il matrimonio più selettiva e in qualche modo più elitaria.

 

Un passaggio evolutivo?

Cosa chiedono allo stato le coppie di fatto? Chiedono riconoscimenti per l’assistenza reciproca, diritti successori, la reversibilità del trattamento previdenziale, la possibilità di subentrare al partner nel contratto di locazione. Tutto questo come diritto di coppia e non solo individuale. Perché allora non si sposano? Riccardo Prandini intravede due cause: 1) queste coppie si concepiscono come fortemente inidividualizzate e autonome. Hanno interiorizzato la visione individualistica propria della nostra società e cercano una relazione segnata da autonomia e libertà personale; 2) si considera il matrimonio come un’istituzione vuota e superata e ci si percepisce non come alternativa ad esso bensì come realtà evolutiva rispetto al matrimonio stesso. [2]

Questa tesi è stata fatta propria da molti altri sociologi come la francese Irène Théry che vede in queste nuove forme di relazione il segno di un’evoluzione della struttura e del modo di essere famiglia. A monte c’è il superamento della visione sacrale del legame iniziata con l’introduzione del matrimonio civile e del divorzio. La Théry parla di un lungo cammino di “démariage” che caratterizza da molto tempo l’occidente e anche il diritto di famiglia. [3]

Sul fatto che ci sia stata un’evoluzione nel modo di vivere la relazione coniugale e la famiglia non si può non concordare. Anche una veloce rilettura del percorso del diritto di famiglia in Italia mostra questo: 1) il Codice civile del 1865 guardava all’istituto familiare come ad un organismo fortemente unitario con il capo famiglia e una rigida demarcazione tra famiglia legittima e filiazione naturale. 2) Con la Costituzione repubblicana entrano i famosi articoli 29 e 30: la famiglia è società naturale fondata sul matrimonio, c’è uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, vengono tutelati i figli nati fuori del matrimonio. 3) Nel 1961 viene affrontata la questione dell’adulterio togliendogli la qualità di reato. 4) Nel 1969 viene cancellato anche il reato della relazione concubinaria. 5) Nel 1970 entra la legge sul divorzio e nel 1987 il tempo tra separazione e divorzio viene abbassato a 3 anni. 6) Con la riforma del 1975 abbiamo l’assoluta parità nei diritti e doveri tra i coniugi; l’indirizzo della famiglia va deciso insieme; c’è una nuova regolamentazione per i beni; la potestà sui figli è di entrambi; figli naturali e “illegittimi” hanno lo stesso trattamento. [4]

Questo veloce percorso ci porta a guardare ai cambiamenti in atto non con lo sguardo di chi vede attorno a sé solo una lenta e inesorabile morte del matrimonio e della famiglia, ma a riconoscere che le relazioni amorose tra uomo e donna e il modo di realizzarle a livello istituzionale hanno avuto tanti cambiamenti e potremmo guardare al momento presente come ad una tappa di questa evoluzione. Questo non significa che dobbiamo rimanere inermi né che non si debba vigilare, accompagnare e anche esprimere un giudizio sul cambiamento in atto.

 

Alla ricerca delle cause

Ci chiediamo ora cosa ha provocato questo cambiamento nei confronti dell’istituzione matrimoniale e la ricerca di nuove forme del vivere in coppia. Le cause vanno cercate nella nostra cultura che lentamente ma inesorabilmente plasma la coscienza e le scelte di molte persone.

1. C’è anzitutto un’evidente crisi delle istituzioni. L’uomo di oggi, figlio dell’illuminismo, rivendica con forza la sua autonomia rispetto ad ogni istituzione di cui fa fatica a capire il ruolo positivo. Autonomia anche dalla legge morale e da quella civile che non va oltre il ruolo di strumento utile per una convivenza sociale capace di far convivere il pluralismo. Lo stato diventa sempre più il notaio delle scelte individuali. La legalizzazione del divorzio e dell’aborto sono il frutto più evidente di questa nuova mentalità.

2. La fatica di compiere scelte definitive è sotto gli occhi di tutti e riguarda la vita consacrata come il matrimonio e la decisione di aprirsi alla vita. Non è solo questione di egoismo, come spesso si afferma semplificando la questione, ma la conseguenza di un contesto sociale che ha generato una cultura della provvisorietà che riguarda ogni ambito della vita. Ciò che fa problema è che una relazione possa essere per sempre, irreversibile e che non sia contemplato che possa finire o per un errore di valutazione o per il logorio della relazione stessa. In questo caso l’individuo viene prima della coppia, i diritti personali primi dei doveri verso l’altro.

3. Le convivenze aumentano proprio oggi nel tempo in cui i due partner godono un’autonomia economica e possono camminare ciascuno con le proprie gambe. Il matrimonio in passato era anche una forma di protezione della donna che dipendeva economicamente dal marito. L’istituzione doveva fornire due certezze: la paternità, cioè dare a un figlio un padre certo, e dare sicurezza alla donna e al figlio. Oggi tutto questo ha perso rilevanza e il matrimonio deve cercare altrove le ragioni del proprio esistere.

4. Ci possono essere anche motivazioni pratiche a monte della scelta di convivere: i tempi lunghi dell’università, le difficoltà economiche, la fatica di trovare un impiego. Per trovare un lavoro molte volte si tace il desiderio di sposarsi e perfino lo si rinvia per timore che questo chiuda alla possibilità di essere assunti. Tutto questo favorisce la scelta di un legame più leggero e privato, in attesa di poter fare il salto del matrimonio.

5. Un peso non indifferente ha avuto il venir meno del legame stretto tra matrimonio, sessualità e fecondità. Ricordiamo quel processo che dal romanticismo in poi ha riscoperto l’amore come sentimento e passione e il piacere come parte integrante di esso. Non possiamo negare che una sessualità vissuta precocemente e a prescindere dalle responsabilità verso l’altro e verso la fecondità abbia modificato anche il modo di sentire e vivere il matrimonio e in generale i rapporti affettivi. La sessualità è vissuta in se stessa a prescindere dal legame; il matrimonio è una scelta successiva e autonoma, e la fecondità è un altro mondo sganciato dai primi due. Il matrimonio appare così soprattutto il luogo delle scelte, delle responsabilità, dei diritti e doveri; altre forme di vita di coppia contengono tutto quello che viene prima e a prescindere da questo.

6. In Italia una certa fuga dalle responsabilità legate al matrimonio, o almeno la loro posticipazione, è favorita anche da quel “familismo” che fa rimanere in casa i figli per molti anni. Abbiamo così quel fenomeno che è stato definito “convivenza all’italiana”: i due rimangono ciascuno a casa propria ma di fatto vivono in molte occasioni una vita matrimoniale. Cosa aggiunge il matrimonio a questo stile di vita? Purtroppo l’impressione è che il matrimonio porti solo responsabilità, impegni e anche problemi, molti dei quali erano prima risolti dalle famiglie d’origine. Paradossalmente verrebbe da dire che proprio la particolare situazione italiana porta a guardare alle persone che scelgono la convivenza come a persone che fanno una scelta, si assumono delle responsabilità, operano uno stacco dalle famiglie di origine rendendo visibile ciò che altri vivono in modo nascosto ma non molto diverso. Va tuttavia ricordato che molto spesso queste convivenze rimangono una specie di penisola rispetto alle famiglie di origine con cui si mantiene un legame forte a livello di sostegno economico e  anche pratico.

7. A livello di mentalità comune ha un suo peso il clima di tolleranza, benevolenza e comprensione per queste scelte in nome del pluralismo e del rispetto dell’altro. Nessuno più si scandalizza del fatto che due giovani vadano a convivere. Anche i genitori più fermi su certe idee si arrendono di fronte a questo affermando che la realtà è cambiata e bisogna prenderne atto, oppure trovano una giustificazione nella speranza che almeno sia una prova della solidità o meno della relazione. L’impressione che molti adulti abbiano rinunciato ad ogni intervento educativo su questo ambito è molto fondata.

 

Inquietudini pastorali

A livello pastorale ci dobbiamo interrogare su come si possa ridare significato e valore alla scelta del matrimonio e anche del matrimonio sacramentale. Non ci sono ricette magiche ma solo il quotidiano impegno educativo delle nostre comunità cristiane, il coraggio di mettere a tema queste questioni, la sfida di accompagnare adolescenti e giovani a interrogarsi sull’universo dei legami e degli affetti.

Proprio questa preoccupazione educativa porta il magistero della chiesa a intervenire contro la legalizzazione delle unioni di fatto. In questo contesto culturale dove i legami sono già strutturalmente fragili, la coppia di fatto regolamentata si presenta come un “piccolo matrimonio” con alcuni diritti e garanzie facili a rimuovesi; un contratto di solidarietà per chi non vuole o non può vincolarsi a un impegno definitivo. Una legge di questo genere avrebbe una forte valenza culturale ed educativa per le nuove generazioni. Codificare i Pacs è insegnare a desiderare poco col rischio, un po’ alla volta, di minare l’ideale del matrimonio e della famiglia. La legittimazione di una via più facile e comoda alla relazione affettiva porta con sé anche un rischio più alto di instabilità e l’ulteriore privatizzazione di un istituto, la famiglia, che rimane fondamentale per la vita sociale e l’educazione dei nuovi cittadini.

 

Giampaolo Dianin

 

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[1] Campanini G., “Le famiglie di fatto oggi”, in Famiglia Oggi, 12 (1989) n. 39, 8-9. ID., “Realtà di ieri e problemi di oggi”, in Famiglia Oggi, 29 (2006) 2, 15-20.

[2] Grandini R., “Il problema sociologico delle convivenze di fatto”, in La Famiglia, 33 (1999) n. 198, 22-37.

[3] Théry I., Le démariage. Justice et vie privée, Edition Odile Jacob, Paris 1993.

[4] Maragnoli G., “Il diritto di famiglia in Italia e la famiglia di fatto. I. Evoluzione del diritto di famiglia”, in Aggiornamenti sociali, 41 (1990) 1, 43-63.

Giampaolo Dianin

http://www.dehoniane.it/periodici/set.html

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