A prima vista parrebbe fin troppo facile rispondere a questa precisa domanda – oggi il matrimonio e la famiglia sono in crisi? – in modo netto e tranciante: certamente e gravemente. Le prove al riguardo non mancano di sicuro; basti accennare ai tanti matrimoni sfasciati, alla crescita delle convivenze, alla triste situazione di molti bambini con padri e madri moltiplicati, sballottati da una casa all'altra...
del 13 maggio 2009
Tanti i problemi legati al 'fare famiglia', ma anche tante realtà positive. Tuttavia non sarebbe male una maggiore distinzione della celebrazione sacramentale da quella civile...
 
Una volta i genitori dicevano che un figlio era 'sistemato' quando si sposava. Oggi non è facile sposarsi prima dei 30-35 anni; soprattutto non è facile rimanere sposati. Il contesto sociale ed economico non aiuta. Maggio, mese classico per le celebrazioni, offre lo spunto per un dossier sulla 'faccia buia' del matrimonio.
  
A prima vista parrebbe fin troppo facile rispondere a questa precisa domanda – oggi il matrimonio e la famiglia sono in crisi? – in modo netto e tranciante: certamente e gravemente. Le prove al riguardo non mancano di sicuro; basti accennare ai tanti matrimoni sfasciati, alla crescita delle convivenze, alla triste situazione di molti bambini con padri e madri moltiplicati, sballottati da una casa all’altra, per non parlare poi di nuovi pretesi modelli di matrimonio e di famiglia decisamente inaccettabili.
Eppure, se si cerca di approfondire un tantino la problematica e di leggere più attentamente la realtà in atto, forse si può tentare una risposta meno apodittica, a senso unico, e quindi affermare che la crisi esiste di certo ma non così radicale e totale e che soprattutto deve essere analizzata e affrontata con più serietà e serenità, distinguendo per quanto possibile la sostanza dalle forme più appariscenti.
 
 
Tra i tanti possibili, tre riscontri di diverso tenore e portata ci offrono motivo di riflessione.
 
Tre piste
 
1 Intanto nel vasto e variegato panorama delle famiglie va colto un primo grande segno positivo e quanto mai incoraggiante, generalmente misconosciuto e sottovalutato: nell’ambito ecclesiale, e non solo, esistono tantissime coppie di sposi e di genitori con relativi figli che anche oggi e ovunque vivono o si sforzano di vivere la vita matrimoniale e familiare con fedeltà, generosità, spesso quasi eroica, e anche con grande gioia, tanto da colpire positivamente chi li conosce ed avvicina.
 
E tutto questo vissuto non per tradizione, per conformismo sociale, tanto meno per forza o mancanza di alternative, ma quale vera scelta di libertà. Certo questi milioni di sposi e famiglie 'normali' non fanno notizia; tengono banco invece sul piano della comunicazione di massa i fallimenti, soprattutto le vere e proprie tragedie familiari, senza contare la pessima scuola, offerta sempre sugli stessi mass-media, di modelli matrimoniali e familiari del tutto negativi e deleteri, diseducativi al massimo.
 
2 A riguardo dell’educazione a questi valori centrali per la vita stessa dell’uomo e della donna di tutti i tempi, è interessante richiamare e mettere in rilievo un breve ma efficace testo della Nota pastorale della Cei Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (2004). Essa afferma: «Se la famiglia oggi è in crisi, soprattutto nella sua identità e progettualità cristiana, resta ancora un desiderio di famiglia tra i giovani, da alimentare correttamente; non possiamo lasciarli soli» (9). Dunque, viene da pensare, nonostante tutto è possibile coltivare questo germe, esistente e aperto, capace di svilupparsi fino alla maturazione, se non solo i diretti interessati ma la famiglia già in atto, la comunità ecclesiale e civile, svolgono responsabilmente la loro parte.
 
3 Paradossalmente poi possiamo addirittura trovare una controprova della 'tenuta' di un certo senso di matrimonio e di famiglia, sia pure espresso in forme non regolari. Ci riferiamo a dei comportamenti frequenti ed eloquenti: la maggioranza dei divorziati si risposa, molti conviventi di fatto reclamano a gran voce qualche tipo di riconoscimento pubblico di questa loro situazione. Tutto questo pare testimoniare come non sia affatto vero che matrimonio/famiglia siano semplicemente il frutto di convenzioni sociali religiose o civili, ma che invece corrispondano profondamente a una vera esigenza insita nella struttura dell’uomo e della donna di ogni tempo e luogo, sia pure normata in modo notevolmente diverso nei vari contesti storici/culturali.
 
A questo punto, pastoralmente parlando, ed è quello che ci interessa maggiormente, viene da domandarsi: come affrontare al meglio questa problematica non disperata, ma certamente seria e urgente? Qui siamo tutti coinvolti, non solo i pastori ma i fedeli laici, soprattutto gli sposi e le famiglie già in vita (non dimentichiamo mai che sono essi portatori della grazia sacramentale del matrimonio!).
 
 
Una premessa
 
Prima di tentare di indicare sommessamente alcune piste possibili di riflessione e di impegno, crediamo però utile una premessa.
 
La Chiesa fin dall’inizio della sua missione ha dovuto affrontare la delicata problematica matrimoniale, del come cioè 'cristianizzare' una realtà umana che in qualche modo preesisteva in ogni contesto sociale che a mano a mano veniva ad essere evangelizzato. Pensiamo molto sommariamente (sarebbe interessante un’analisi storica adeguata ma impossibile in questa sede) ai molti impatti vissuti; dalla cultura ebraica a quella greco-romana, a quella dei cosiddetti popoli barbari, a quella del nuovi mondi scoperti nel ’500, alle terre delle missioni afro-asiatiche, e soprattutto con la vera rivoluzione culturale della modernità.
 
Ebbene, sapientemente la Chiesa ha saputo, accettando 'forme' diverse di costituzione del matrimonio, salvare sempre l’essenziale, il patto di vero amore tra uomo e donna voluto dal creatore ed elevato a segno di grazia da Cristo, soprattutto esortando a 'viverlo nel Signore'. Questo dato di fatto è importante, poiché permette di guardare con meno apprensione al futuro aperto avanti a noi.
 
 
I nodi pi√π urgenti
 
Ora, sul piano pastorale diretto di base (ci riferiamo agli sposi e famiglie, ma pure ai parroci e collaboratori) a stretto contatto non tanto con i testi e canoni, ma con il vissuto concreto e sofferto, tra i tanti possibili nodi scottanti tre paiono essere particolarmente interessanti ed urgenti.
 
1 Una sempre maggiore esigenza di una chiara e cosciente scelta di fede motivata per l’ammissione alla celebrazione del matrimonio-sacramento da parte degli sposi, battezzati sì, ma spesso con un vissuto quasi totalmente avulso da ogni senso di vita cristiana. E questo non semplicemente per il passato sempre redimibile, ma con morale certezza della 'non conversione' per il futuro. L’attuale preparazione in generale in atto nelle comunità pare decisamente insufficiente, per carenza non tanto di contenuti etici, ma di incidenza e verifica di vita di fede.
 
Su questo punto risuonano chiare e severe le affermazioni dell’allora card. J. Ratzinger nell’Introduzione all’istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla pastorale dei divorziati risposati (1999): «Si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale. All’essenza del sacramento appartiene la fede» (p. 28). I vescovi italiani nel documento Evangelizzazione e sacramento del matrimonio (1975) avevano richiesto dei seri e veri itinerari 'catecumenali' per gli sposi. Ma la precisa direttiva è rimasta quasi lettera morta.
 
2 Ai fini di una sempre più avvertita scelta genuina di fede non sarebbe da trascurare una maggior distinzione tra la celebrazione sacramentale e quella civile, vale a dire la separazione dei due atti ora uniti nella formula concordataria. Lasciando da parte ogni questione di opportunità o meno nel passato circa quella che venne presentata come una (ri)conquista, oggi nel contesto di una legislazione civile divorzista, e non solo, pastoralmente una chiara scelta dei cristiani (cittadini in civile e fedeli in Chiesa) potrebbe essere positiva, evitando di continuare a porre troppa fiducia nel sostegno delle istituzioni sociali, pur buone, ai fini della vita di fede. D’altronde, forse pochi lo sanno o vi pensano, come oggi in molte altre nazioni, anche in Italia dal 1866 al 1929 i nostri nonni o bisnonni, allora quasi tutti cristiani e praticanti, si sono sposati prima in municipio e poi in chiesa. Non risulta che questa prassi abbia inciso negativamente sulla successiva vita e fedeltà matrimoniale.
 
3 Infine non si può tacere su quella che probabilmente è tra le situazioni più drammatiche e dolorose, e cioè dei matrimoni ormai disciolti di fatto con conseguenti divorzi e secondi matrimoni civili. Spesso questi casi vengono portati al giudizio della Chiesa per il riconoscimento dell’eventuale nullità, possibile solo con la prassi cosiddetta giudiziaria. Anche a questo proposito è interessante quanto affermava sempre l’allora card. Ratzinger (Il sale della terra, San Paolo 1997, p. 273): «In futuro si potrebbe anche arrivare ad una constatazione extragiudiziale della nullità del matrimonio. Questa potrebbe forse essere constatata anche da chi ha la responsabilità pastorale sul luogo».
 
Ma al di là di ogni problema o aspetto particolare pur importante, resta sempre l’impegno di fondo per i credenti sia singoli che come comunità, in questo caso soprattutto come famiglie: la testimonianza vissuta, serena, positiva, che affascina anche chi almeno sul momento pare non credervi perché non riesce a comprenderne il senso, che cioè l’amore coniugale fedele e fecondo è possibile, bello, e fonte di gioia.
 
mons. Sebastiano Dho
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