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Coppie sante

In tempi in cui la stampa non ci parla che di famiglie sfasciate, distrutte dall'odio e scarsamente feconde, la gente deve sapere che ce ne sono ancora tante, tantissime grazie a Dio, che sanno dare al matrimonio il suo giusto valore, vivendolo nella gioia, nonostante i sacrifici e le croci inevitabili, alla scuola del Vangelo.


Coppie sante

da Teologo Borèl

del 19 novembre 2005

Fino a qualche decennio fa non se ne parlava proprio. Poi si è cominciato a capire, soprattutto dietro la spinta innovatrice del Concilio Vaticano II, che la santità è un traguardo accessibile a tutti i cristiani, in qualsiasi stato si trovino, e dunque anche ai coniugi che decidano di vivere il sacramento del matrimonio nello spirito autentico del Vangelo. Così recentemente Giovanni Paolo II ha beatificato una coppia di sposi, Luigi Beltrame Quattrocchi e Maria Corsini, e c’è da sperare che ad essa se ne uniscano presto altre, le cui vicende sono all’esame della Congregazione per le Cause dei Santi.

Luigi Beltrame Quattrocchi era un personaggio di spicco a livello nazionale: avvocato dello Stato, primo consulente legale dell’IRI, commissario straordinario dell’ENPAS sotto il governo Badoglio, presidente del Consiglio di amministrazione del Fondo per il Culto nel primo Governo De Gasperi, si era messo in luce per le sue elevate capacità professionali e per un’assoluta integrità morale. Nel 1905 aveva sposato Maria Corsini e insieme avevano iniziato un itinerario di fede profondamente vissuta e testimoniata. Ogni giorno in famiglia si pregava con i figli, e i genitori attingevano alla Messa quotidiana la forza per testimoniare l’amore vicendevole e il servizio verso ogni categoria di bisognosi.

Quando, nel 1916, lo scoutismo interpellò il mondo cattolico, Luigi ne percepì l’importanza formativa per i giovani e ne divenne uno dei promotori a fianco del conte Mario di Carpegna e di padre Gianfranceschi, il gesuita scienziato che volò con Umberto Nobile sul Norge al Polo Nord.

Nel dopo guerra si impegnò a fondo in una intensa attività di promozione culturale mediante incontri con insigni maestri dello spirito (il beato Schuster, futuro arcivescovo di Milano e allora abate di San Paolo, padre Cappello, i domenicani Spiazzi e Cordovani, Luigi Gedda).

In piena consonanza di intenti trovò la sposa, Maria Corsini, donna di straordinaria cultura, scrittrice apprezzata, impegnata nelle file dell’Azione Cattolica, nella catechesi parrocchiale alle donne, nelle visite domiciliari ai malati e in svariate forme di apostolato. Infermiera volontaria della Croce Rossa fin dalla guerra etiopica (1935-36), si sottopose a turni massacranti negli ospedali militari anche fuori Roma per l’assistenza diurna e notturna ai feriti, trovando anche il modo di assistere i profughi e gli sfollati durante la seconda guerra mondiale. Tale dinamismo di carità instancabile dopo il 1945 la spinse insieme al marito a dedicarsi al movimento di “Rinascita Cristiana” e al “Fronte della Famiglia”, in un cammino di via spirituale che si rifletteva poi nella formazione umana e cristiana dei figli, tre dei quali seguirono la loro vocazione religiosa. A occuparsi dei genitori rimase la figlia minore Enrichetta, la quale a causa della malferma salute non poté farsi suora: se fosse entrata in convento, i genitori avrebbero scelto la stessa strada, di comune accordo.

Luigi morì a Roma il 9 novembre 1951, Maria gli sopravvisse fino al 26 agosto 1965. La limpidezza della loro testimonianza indusse la diocesi ad aprire nel 1994 il processo di canonizzazione.

Bisogna dire che in Francia già nel 1957 analoga causa fu avviata per i genitori di santa Teresa di Gesù Bambino, Luigi Martin (1823-1894) e Maria Zelia Guérin (1831-1877). Altro tipico esempio di famiglia autenticamente cristiana: la donna aveva desiderato avere molti figli da consacrare al Signore e venne esaudita; nacquero nove creature, quattro delle quali decedute quasi subito, ma le altre cinque - Maria, Paolina, Celina, Leonia e Teresa - si fecero tutte religiose (quattro carmelitane scalze, Leonia visitandina). Degli scomparsi, due erano maschi e Zelia avrebbe desiderato che diventassero sacerdoti o missionari. La Storia di un’anima - il capolavoro di santa Teresina - lascia intravedere una donna capace di profonda comprensione umana, la cui pedagogia si caratterizzava per l’equilibrio di dolcezza e di fortezza, illuminata dalla fede e dall’abbandono alla volontà di Dio. Terziaria francescana e fedele socia dell’arciconfraternita del Cuore Agonizzante di Gesù, visse in pienezza la sua missione coniugale e materna, creando in famiglia un ambiente sereno e gioioso.

Colpita da un tumore di cui intuì subito la natura e la gravità, si spense santamente il 28 agosto 1877, quando Teresina aveva solo cinque anni.

Nella sua ascesi continua ebbe un valido aiuto nel marito: membro dell’Adorazione Notturna, della Conferenza di San Vincenzo e dell’Opera per la Propagazione della Fede, alimentò in famiglia un clima di carità operosa e di zelo apostolico che avrebbe lasciato una traccia profonda nelle figlie, alla cui educazione si dedicò totalmente dopo la morte di Zelia, trasferendosi da Alençon a Lisieux. Soffrì per l’entrata in monastero di Teresa, ma ne fece generoso sacrificio al Signore. La morte lo colse il 28 luglio 1894.

Ma, per restare in Italia, altre coppie di sposi cristiani sono all’esame della Congregazione per le Cause dei Santi: sempre a Roma, si è recentemente aperto il processo diocesano per Lelia e Ulisse Amendolagine, lui di Salerno, lei di Potenza, entrambi figli di funzionari ministeriali, si incontrano a Roma e si sposano. La loro unione è cementata da una solida fede. Nasceranno cinque figli: Leonardo, poi i due che saranno sacerdoti (Giuseppe - ora Fra Raffaele, Carmelitano scalzo - e Roberto, parroco a Roma), Francesco e Teresa, nota giornalista e scrittrice.

Ulisse è quello che si può definire uno “statale” modello: massima puntualità nel raggiungere il posto di lavoro, massimo impegno e massima lealtà nello svolgerlo. La famosa frase «il dottore è fuori stanza», tipica di tanti impiegati assenteisti, non verrà mai usata per lui. Inoltre, egli è impermeabile ad ogni genere di pressione: in famiglia ha dato disposizioni perché si respinga, con educazione, ma con fermezza, qualsiasi dono in denaro o in natura: una volta, la suocera che viveva in casa con la coppia, accetterà dei fiori e una “bustarella”; i primi verranno dirottati in chiesa davanti all’altare della Madonna, i soldi subito rispediti al mittente con vaglia telegrafico.

Il suo incarico al ministero - Ufficio Stranieri - era tra i più delicati, perché toccava a lui vagliare le richieste di cittadinanza italiana con indagini rigorose e valutazioni adeguate. Ulisse in questo era maestro: trattava tutti con la massima affabilità, ma senza lasciarsi condizionare. Per questo godeva della massima stima tra i colleghi, anche quelli che non condividevano le sue convinzioni religiose: tutti lo consideravano un galantuomo.

Lelia non era da meno: non era facile gestire una famiglia in cui inizialmente convivevano anche i suoceri, la propria madre, nonché una cognata dal carattere piuttosto invadente. Lelia possedeva equilibrio e innate capacità manageriali. Inoltre, seguiva da vicino l’educazione dei figli: per ciascuno di loro si era fatta un quaderno sul quale segnava tutto ciò che li riguardava: carattere, tendenze e gusti, malattie, rendimento scolastico. Alla sera, prima di coricarsi, i ragazzi erano convocati per una specie di “rendiconto” della giornata, presente il padre. Naturalmente, niente discussioni tra i coniugi davanti ai figli: se tra loro due sorgevano divergenze, venivano risolte pacatamente in privato.

In una famiglia sinceramente cristiana, Dio occupa il primo posto. E in casa Amendolagine si pregava al mattino e alla sera, in compagnia dei figli. Nella stanza dei genitori c’erano due inginocchiatoi, ai piedi del letto, sui quali Lelia e Ulisse iniziavano e terminavano la giornata. E poi c’era la Messa frequente, non come semplice rito abitudinario, ma come qualcosa che marito e moglie si sforzavano di vivere e di trasmettere ai figli sotto forma di poche idee chiave, tipo: «Ricordati che Dio vede», «Accetta qualche sacrificio per amore di Dio», e soprattutto «La Provvidenza aiuta sempre». Era considerato un “fioretto” salutare col sorriso una persona poco simpatica: «Il saluto è degli angeli», questo detto correva in casa, «e non deve mai essere negato». Non mancavano particolari devozioni accanto a quelle al Cuore di Gesù e alla Madonna: per santa Teresa di Gesù Bambino gli Amendolagine avevano una predilezione (e Teresa fu infatti chiamata l’unica figlia), mentre riservavano un culto speciale a san Giuda Taddeo, invocato soprattutto nei momenti di ristrettezze economiche.

Dopo l’8 settembre 1943, Ulisse si rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò e venne subito collocato a riposo, costretto poi a rifugiarsi nel Seminario Romano al Laterano (zona extraterritoriale in seguito al Concordato del 1929) per sfuggire alla deportazione.

Lelia nel 1949 accusò forti disturbi addominali, inizialmente diagnosticati come attacchi di colite e rivelatisi poi conseguenze di un gravissimo tumore. Del tutto sottoposta alla volontà di Dio, offrì le sue sofferenze per la famiglia. Morì il 3 luglio 1951. Ulisse, sentendosi solo e in un certo senso inadeguato al compito educativo, intensificò la corrispondenza coi due figli che si preparavano al sacerdozio, in particolare con il carmelitano: quelle lettere sono il diario sincero di un cammino verso la santità. Nei momenti di sconforto, il Servo di Dio trovava le risposte adatte leggendo l’Imitazione di Cristo. Due attacchi di paresi e il progredire dell’arteriosclerosi minarono la sua salute in maniera irreversibile. Ulisse si spense tra le braccia della figlia Teresa il 30 maggio 1969. La storia degli Amendolagine è narrata in un volume dal titolo Lelia e Ulisse (Edizioni San Paolo).

Un’altra coppia cristiana avviata verso l’onore degli altari è quella di Rosetta Franzi e Giovanni Gheddo, i genitori del noto giornalista e scrittore padre Piero Gheddo, missionario del P.I.M.E. Questi sposi trascorsero insieme soltanto sei anni a Tronzano (Vercelli), dando vita a tre figli. Rosetta morì di polmonite e di parto con due gemelli prematuri nel 1934 e Giovanni scomparve durante la campagna di Russia, con un atto di eroismo che ricorda quello di san Massimiliano Kolbe: era stato arruolato nonostante fosse vedovo con tre figli piccoli a carico, perché antifascista. Durante la grande offensiva dei sovietici, il 7 dicembre 1942, avrebbe potuto mettersi in salvo con i suoi militari (era capitano), ma lasciò questa opportunità al suo giovane sottotenente, scegliendo di restare accanto ai feriti intrasportabili. Per questo gesto di eroica carità gli venne anche assegnata la medaglia di bronzo alla memoria.

Terminata la guerra, emersero molte testimonianze circa la santità di questi due sposi, testimoniata soprattutto con la carità ai bisognosi. Giovanni Gheddo è ricordato ancora oggi a Tronzano come “il geometra dei poveri” e per la sua indiscussa autorità morale che ne faceva un efficace conciliatore quando sorgevano litigi nelle famiglie. Nella loro semplicità evangelica, Rosetta e Giovanni dimostrarono che tutti i battezzati sono chiamati alla santità. Il segreto della loro vita era in una frase ricorrente sulle loro labbra: «Quello che conta è fare la volontà di Dio». Senza rivelazioni, né miracoli né fenomeni mistici, essi hanno vissuto pregando assieme e accettando da Dio le gioie e i dolori, le prove, i successi e gli insuccessi della loro breve esistenza. Ma l’avventura di queste due esistenze nascoste, quando nessuno (nemmeno i figli) se l’aspettava, improvvisamente è diventata esemplare, un modello per ogni cristiano. Padre Gheddo l’ha raccontata con il suo stile brillante ed efficace in un volume dal titolo Questi santi genitori (Edizioni San Paolo), con la prefazione di mons, Enrico Masseroni arcivescovo di Vercelli.

Lo spazio ci vieta di parlare di altre coppie che si sono imposte all’attenzione della Chiesa per la loro virtù, e per le quali si sta esaminando la possibilità di aprire un processo di canonizzazione. Una per tutte: Domenica Bedonni (1889-1971) e Sergio Bernardini (1882-1966), nativi del Modenese, che hanno dato a Dio ben otto vocazioni religiose: dei dieci figli, infatti, cinque scelsero la congregazione delle Figlie di San Paolo (fondata dal beato Giacomo Alberione), una si fece francescana, due cappuccini, uno dei quali è ora arcivescovo di Smirne, mons. Germano Bernardini. Giustamente mamma Domenica ripeteva spesso: «Dio ci ha tanto benedetti e non lo ringrazieremo mai abbastanza ».

Questi sposi erano convinti che la famiglia deve essere una pagina del Vangelo scritta per il nostro tempo: nei loro 52 anni di convivenza hanno dimostrato come si può crescere nella fede e nella vita interiore, testimoniando la fedeltà e la coerenza cristiana. Il cappuccino padre Romeo Panciroli ha condensato questa straordinaria esperienza nel volume intitolato Una vocazione con tanti carismi (Editrice Rogate).

In tempi in cui la stampa non ci parla che di famiglie sfasciate, distrutte dall’odio e scarsamente feconde, la gente deve sapere che ce ne sono ancora tante, tantissime grazie a Dio, che sanno dare al matrimonio il suo giusto valore, vivendolo nella gioia, nonostante i sacrifici e le croci inevitabili, alla scuola del Vangelo.

 

(Fonte: Rogate ergo N. 10 / 2005)

Angelo Montonati

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