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Cosa voglio fare da grande?

Gli esempi dei grandi del passato? Uno sprone, catalizzatori per i nostri propositi, nient'altro. La più grande opera d'arte che tutti noi siamo chiamati a realizzare è la nostra stessa esistenza; ognuno nel suo ruolo, stupendo...


Cosa voglio fare da grande?

 

Giacomo Leopardi nacque a Recanati…

Alessandro Magno ereditò il regno…

Immanuel Kant scrisse la sua prima opera…

Lorenzo il Magnifico, sin da giovane…

 

Inesorabilmente collocati all’inizio d’ogni capitolo, i profili biografici dei grandi personaggi,  poeti, politici, condottieri, pensatori, costituiscono un’incombenza obbligatoria per uno studente liceale, un valico impossibile da aggirare.

Come una lapide in memoria ai caduti di guerra, le date si succedono fitte, a scandire le tappe fondamentali di quella serpentina, più o meno tortuosa, che costeggia l’esperienza esistenziale di ogni uomo.

Generalmente – e non fanno eccezione neppure gli studenti più appassionati – questa vallata propedeutica, affollata da arbusti di cifre, massi sgretolati di eventi incasellati uno dopo l’altro, talvolta talmente tanti da risultare impensabili per essere contenuti nella vita di una sola persona, appare un passaggio arido, sgradito, sopra cui si stenderebbe  volentieri un sottile velo di sommarietà.

Tranquillo! il prof le date non le chiede!” è infatti il ritornello propiziatorio vaticinato prima di ogni interrogazione.

 

Probabilmente coll’intento di dar colore a queste grigie tonalità di inizio paragrafo, sin dalla mia più tenera esperienza scolastica mi dilettavo a pormi a confronto con questi ieratici busti della nostra cultura. Come il bambino si accosta al padre, ponendo una mano tesa sopra la propria fronte, intento a constatare la distanza “centimetrica” tra lui e il genitore, similmente comparavo le mie esperienze a quelle che trasparivano in rilievo tra le righe dei manuali.

Mi è capitato di imbattermi nel genio sterminato di Mozart: “…un vero e proprio bambino prodigio: a tre anni batteva i tasti del clavicembalo, a quattro suonava brevi pezzi, a cinque componeva..”.

Guardo le mie mani: a vent’anni possono a stento forzare le sei corde di una chitarra ad emettere un suono pastoso. Niente, dovevo pensarci prima se volevo diventare un genio della musica.

Va bene, non sarò mai un talento in questo campo, è un dato archiviato. Ma almeno avrò qualche speranza nel mondo delle Lettere, dal momento che seguo proprio questo corso di studi. Il mio vaporoso pensiero consolatorio non ha molto spazio da percorrere, prima di condensarsi sul profilo statuario del poeta recanatese.

Il giovane Leopardi, capace di scrivere in latino sin dalla tenera età di sei anni, apprese presto il greco e l’ebraico, e a poco più di vent’anni scrisse una cosuccia da niente, L’infinito, semplicemente destinata a diventare l’esempio di “poesia” per eccellenza, uno di quei titoli che, almeno per sentito dire, svolazzano tra le fronde della cultura di base di gran parte degli italiani.

Non proseguo con gli esempi solo per esigenza comunicativa, ma potrei continuare ancora per lungo.

Si dice che Giulio Cesare, già noto all’interno delle alte sfere della Repubblica, ma ancora lontano dall’essere il futuro padrone di Roma (pur per breve tempo), scoppiò in lacrime mentre leggeva uno scritto su Alessandro Magno, con il comprensibile sgomento di chi gli stava accanto. Tra i singhiozzi che ritmavano il pianto, ben presto si comprese il motivo di tale reazione: “Non vi sembra motivo di dolore” disse “il fatto che alla mia età Alessandro fosse già re di tanti popoli mentre io non ho ancora compiuto niente di glorioso?

Facciamo astrazione dal contesto epico-bellico, e applichiamo questo sfogo all’intelaiatura delle nostre prospettive professionali ed esistenziali. Tutti noi corriamo il rischio di essere un po’ “Giulii Cesari”, sentire che le nostre opere e i nostri successi restino impigliati in una rete attraverso cui passano agevolmente i nostri sogni.

 

Forse nessuno di noi diventerà uno scrittore di successo, un importante uomo di affari, un politico di primo piano, l’inventore della scoperta del secolo…(ciascuno continui pure con altri esempi, se lo desidera, a me manca lo spazio). Ma cosa importa? come se la nostra vita fosse un successo solo se esso sia riconosciuto da quelli che ci osservano. Probabilmente le stelle più belle e splendenti sono quelle che non vediamo, nascoste tra le pannose volute della via lattea. La rosa emette il suo profumo anche se isolata in montagna, pur non considerata da nessuno: “il fiore non valuta/ la sua bellezza,/ generosamente ha ricevuto, /generosamente dona”, interverrebbe Tagore. E tutti noi abbiamo generosamente ricevuto il dono della vita, tutti.

Il sogno di ogni uomo dovrebbe essere quello di essere sé stesso , ciascuno nel proprio ruolo, spandendo gioia e bene il più possibile attorno  a lui.  Se il saggio Gandalf si trovasse al mio posto a far crepitare la tastiera del pc, consiglierebbe. “non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo; il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare. Ma il tempo che avranno non dipende da noi

Amare la vita, amare il nostro ruolo, pur non apparendo tra le prime pagine dei giornali o sugli annali di informazione letteraria. Amare la vita più del senso della vita, amarlo più della logica: solo allora ne coglieremo il senso. Non è rassegnazione, accontentarsi; è vivere a pieno.

Gli esempi dei grandi del passato? Uno sprone, catalizzatori per i nostri propositi, nient’altro. La più grande opera d’arte che tutti noi siamo chiamati a realizzare è la nostra stessa esistenza; ognuno nel suo ruolo, stupendo: proprio per il fatto di essere il “suo”, grande o piccolo che sia, vistoso o nascosto, ma è il suo.

 

Che voglio fare da grande? Beh… me stesso.

 

 

Francesco Iurato

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