Tutto può il caso, nell'ambito dei grandi numeri, ma nulla può, contro la potenza dell'impossibile: la combinazione più improbabile di numeri, o di lettere può sempre darsi, ma necessita di numeri o di lettere
del 12 dicembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
           Il fuoco non genera la vita, anzi la distrugge; né può essa fiorire nel rigore di un gelo vicino allo zero assoluto. Fuoco e gelo: ecco lo scenario, che sta all'origine dell'universo nel quale, come per incanto è comparsa la vita.
Che ruolo può aver giocato il caso in questa misteriosa vicenda?
        Tutto può il caso, nell'ambito dei grandi numeri, ma nulla può, contro la potenza dell'impossibile: la combinazione più improbabile di numeri, o di lettere può sempre darsi, ma necessita di numeri o di lettere: insomma, ci devono essere le condizioni indispensabili, diversamente la combinazione resta un astratto concetto.
All'origine dell'universo, fuoco e gelo si presentano come elementi, che rendono indiscutibilmente assurda, ogni possibilità di nascita e di sviluppo di una qual si voglia forma di vita.
           D'altronde, cinque o sei lievi rintocchi, ad  intervalli regolari sono sufficienti a convincerci della presenza di un orologio, o almeno di un meccanismo, creato dall'ingegno dell'uomo allo scopo di misurare con esattezza il tempo.
           In ogni blocco di candido marmo riposa una moltitudine di corpi inanimati, pronta ad offrirsi alla luce del sole e al giudizio degli uomini; una quantità infinita di idee, nella prigione della materia attende di essere liberata dai colpi esperti e precisi dello scalpello di un artista ispirato. Ogni blocco nasconde una 'Pietà', ma solo il genio di Michelangelo ne ha regalata una all'umanità intera.
Chi sarebbe disposto a credere alla genialità del caso di fronte ad un'opera come quella?
Chi mai, se non un pazzo sarebbe disposto ad attribuire ai bizzarri disegni del caso, l'edificazione di una splendida basilica, di un sontuoso palazzo, o pi√π semplicemente di una povera casupola di campagna?
           Eppure, ci sono uomini, che non esitano ad attribuire al caso, la meno casuale, la più singolare e divina delle architetture, la più manifesta delle volontà intelligenti e meravigliosamente intelligibile, che, non senza ragione chiamiamo: 'creato'. Spiriti evoluti, menti vivaci, che disperatamente rifiutano l'evidenza dell'umana pochezza intellettuale affidano al caso, tutto ciò, che attraverso la ragione non riescono a comprendere e a spiegare.
Quanta orgogliosa dabbenaggine, quanta penosa affettazione serpeggiano tra gli uomini, specie quando essi si avventurano a tentoni nel campo della fede!
           Alla base di questo ragionamento in merito, si presenta una semplicissima scelta: un bivio, un fatale 'aut aut', di fronte al quale il pensiero deve assolutamente decidere una direzione da prendere: o va per il caso, o va verso Dio. Se opta per il caso, allora tutto ciò che ha una qualunque attinenza con le ragioni del culto diviene indubbiamente inutile, quando non addirittura ridicolo; ed il solo parlarne, una imperdonabile perdita di tempo prezioso.
           Ci sono persone molto istruite, persone che ricoprono incarichi di grande responsabilità, razionali e, di solito, persino lodevolmente inclini a dubitare delle loro stesse opinioni, che, tuttavia non esitano, ogni volta che se ne presenta l'occasione, a  ridere, o tuonare, senza ritegno, contro i dogmi della fede come quello, ad esempio, della 'Santa ed Immacolata Concezione'.
           Colpiscono e sconcertano, il tono stentoreo e la tracotanza con i quali essi dissertano contro il sacramento della confessione: 'Quindi' essi dicono, 'un uomo pluri-laureato, con un'esperienza di vita senza eguali, retto e capace, magari persino carismatico, dovrebbe andare ad inginocchiarsi ai piedi di un pretucolo di campagna, semi-analfabeta, tronfio e lubrico da destar raccapriccio ed iniziare a raccontargli i fatti suoi, ed a pentirsi, con atti di sottomissione!'...
           Non ci sono forse regole che discendono direttamente dal diritto naturale, che impongono agli uomini il rispetto assoluto ed incondizionato dei padri; anche  dei peggiori tra loro: inetti, ubriachi, violenti, o comunque limitati che siano? E non potrebbe il buon Dio avere ragioni incomprensibili all'uomo, per domandare ai propri figli l'umiltà intellettuale di genuflettersi di fronte ad una autorità da egli stesso istituita?
           Chi opta per il caso, quale soluzione di tutti i problemi, persino di quelli esistenziali, finisce per contemplare proprio nel caso, quel Dio da cui tutto dipende; mentre, di sovente, nei tribunali di tutto il mondo si nega credito e si condannano coloro i quali, disperatamente, si siano sforzati di dimostrare la pura e semplice fatalità di fatti verosimilmente casuali, e solo vagamente riconducibili alla volontà dell'uomo.
Ne sanno qualcosa i numerosi innocenti che languiscono nelle galere di tutto il mondo, vittime ignare, di strane coincidenze alle quali i giudici non hanno voluto credere...
           Ma questo apparente trionfo della ragione determina la morte dello spirito: l'uomo che erge il caso sull'altare di Dio è simile a chi preferisce muoversi al buio, piuttosto che nella luce abbacinante, di un sole sorto nel segno del leone.
          La luce del proprio intelletto gli sarà d'aiuto, come quella di un fiammifero acceso nell'oscurità di una notte procellosa. Come può sperare l'uomo, di comprendere Dio attraverso le proprie facoltà intellettuali? Non c'è spazio sufficiente, nella mente umana, per immagazzinare quell'infinità di elementi, che l'accesso ad un siffatto grado di conoscenza richiederebbe.
           D'altra parte, chi deifica il caso non è senza un Dio: solo, si accontenta di una divinità che si diverte al gioco dei dadi ed a cui nulla può chiedersi, né rimproverarsi; mentre chi cerca Dio, chi veramente lo cerca, per la via del cuore, che è la sola percorribile, l'unica, che conduca alla meta,  infallibilmente lo trova; sconfigge la disperazione e si accompagna alla speranza, quale primo e prezioso dono di Dio ai puri di cuore, ai semplici, ai poveri di spirito, che, ben inteso, non sono gli sciocchi, gli inetti, gli incapaci, bensì i saggi: coloro, cioè, che si lasciano vincere dal fascino della creazione, dall'incanto della natura e la rispettano; magari la studiano, per trovare in essa le ragioni più profonde di amore verso colui che l'ha così concepita.
           Ma la ricerca della verità è un cammino concentrico, che non ammette scorciatoie, che impone metodo, pazienza, costanza e ferma volontà di avvicinarsi al traguardo. Alla verità si tende, quando nulla ci si attende, se non di esservi domani più vicini di oggi e ciò, ardentemente si anela.
           Del resto è un cammino, quello che conduce verso la verità, che non richiede nessuna particolare forma di intelligenza superiore: l'intellligenza umana è l'occhio che osserva il percorso già compiuto, i problemi di questa vita, le cose terrene, negli spazi riservati allo scibile; l'intelligenza guarda a ritroso, ma non ha lenti per vedere innanzi. I puri di cuore, i poveri di spirito, i semplici, gli umili, sono questi gli uomini, che avanzano, come d'istinto verso la verità che li attira, come una potente calamita attira il ferro.
           Tutti gli altri, stregati dalle lusinghe del mondo sacrificano, inveterati, all'amore, al dolore, alle passioni, che agitano drammaticamente i casi della vita, ciò che invece, dovrebbero donare a colui, che solo riassume ragionevolmente in sé i divini attributi di eterno ed infinito. Eterno ed infinito, appunto; oppure qualcuno intende confutare l'eternità del tempo e l'infinità dello spazio, immaginando una campana a sancire la fine dei secoli e una gigantesca muraglia ai limiti dell'universo? Persino la nostra povera mente, che naufraga in questo mare, che poco o nulla sa di esso, comprende, che questo mare esiste e noi ne siamo parte.
Se ciò è vero: che valore può avere il dolore di un attimo, di un'ora, di un anno, rispetto alla felicità di sempre? O, al contrario: la gioia, il piacere di un attimo, rispetto al tormento di un'eternità?
           Meno, io credo, assai meno di quella che un fanciullo attribuisce al più crudo dei castighi, o al più desiderato dei giocattoli. Eppure l'uomo spesso si domanda il perché delle disgrazie, delle malattie, della vecchiaia con le sue tribolazioni, delle morti precoci e di tutte le sofferenze di questo mondo...  Proprio come un bambino si domanda il perché di tanti compiti, di tante imposizioni da parte dei genitori, di tante severe punizioni, tutte cose di cui solo molto più avanti capirà il significato e il valore. Un giorno, addirittura rimpiangerà quei tempi, quei genitori, quei maestri così inflessibili, sorridendo teneramente di quei crucci da niente, che tanto hanno contribuito alla formazione della sua personalità.....
           La logica di Dio è incomprensibile all'uomo, tanto da apparirgli, in certi casi, nemica; e come potrebbe non esserlo? Allora, forse non ci sarebbe bisogno di questa vita, come per il bimbo non ci sarebbe bisogno della scuola, o della famiglia; come per l'atleta non ci sarebbe bisogno della palestra, per il malato non ci sarebbe bisogno del nosocomio...
           L'uomo che spera in un Dio misericordioso, come l'ottimo alunno, sa, che non esiste premio senza impegno, senza sacrificio, senza tribolazione, ed incomincia da subito, a dare il meglio di sé, costi quel che costi, allo scopo di guadagnarsi la benevolenza di colui, che rappresenta la sola via di salvezza, la sola via di fuga dagli orrori e dalle ingannevoli lusinghe di questo mondo.
           Chi ripone la propria fede nel caso, conscio di correre ineluttabilmente verso la fine dei propri giorni, su questa  terra, difficilmente saprà resistere alla tentazione di compiere tutto ciò che torna a suo vantaggio, indifferente al rischio di creare dolore e disperazione al prossimo; e al rischio più terribile assai, di trovarsi, prima o poi, al cospetto di Colui, che dispensa il castigo, o la vita eterna. Ma i vantaggi saranno l'illusorio piacere di un attimo, poi l'ansia, l'insoddisfazione, lo smarrimento, di nuovo torneranno alla carica, e ciò, inesorabilmente, sino all'ultima ora. Ora terribile, ora di sgomento, senza consolazione.
           Ecco che la via della fede, si presenta all'uomo, come una scommessa inconfutabilmente vantaggiosa, molto simile a quella dell'allievo diligente, che ascoltando attentamente la voce, talvolta scomoda della propria coscienza, decide di impegnarsi con tutte le sue forze, accettando di buon grado il sacrificio, le prove, il confronto coi compagni, la pena degli esami, la severità degli insegnanti e tutto ciò che una buona scuola comporta, nella speranza di meritare, alla fine, una vita, ricca di oneste  soddisfazioni, la stima dei conoscenti, dei colleghi di lavoro, dei superiori...
           La fede si presenta, dunque, come una scommessa singolarmente vantaggiosa: se si vince, si vince tutto, se si perde, non si perde nulla, nulla che valga la pena di risparmiare. Si gioca infatti, pagando con moneta, da considerarsi ormai quasi fuori corso, e l'investimento può fruttare in premio un tesoro d'incalcolabile valore.
           A riguardo suona dunque inadeguato il vecchio incoraggiamento: - tentar non nuoce. - Molto più appropriato par concludere: - nuoce non tentare. - Giacché, pensandoci bene, negare l'esistenza di un sommo fattore è infinitamente più assurdo, del negare l'esistenza del muratore, che ha edificato la casa che ci protegge dalle intemperie, dell'ingegnere, che ha progettato l'auto sfrecciante, che in un attimo scompare all'orizzonte, di Michelangelo, che ha scolpito la Pietà.
           L'ateo è simile al trovatello, che interrogato sulle sue origini dicesse: 'Mio padre, mia madre? Non esistono. Non li ho mai incontrati, non ho mai sentito parlare di loro; non so che faccia, o che voce abbiano... Sono stato trovato in un cassonetto, dove mi sono materializzato così, per caso; dunque: io sono figlio del caso...'.
           D'altro canto, ci sono persone sole, che non hanno mai conosciuto i propri genitori, che non sanno dove essi si trovino, se siano ancora di questo mondo, ma nessuno, neppure in questi casi particolarmente sfortunati, si stima figlio del caso.
           E poi, quante cose sfuggono alle capacità dei nostri miseri sensi: le onde radio, che le nostre orecchie non riescono a udire, esistono; i micro organismi, che i nostri occhi non possono vedere, che col tatto non è possibile percepire, esistono, ma quanti altri elementi, che l'uomo non conosce, o non sa spiegare esistono e tuttavia sfuggono al controllo e al giudizio della mente umana, che intende dare spiegazioni sull'origine dell'universo, attraverso le sue irrisorie facoltà.
           Incatenato nella prigione del corpo, distratto, confuso dalle leggi che regolano questo mondo, l'essere umano si trova a cercare ogni giorno, disperatamente, il senso della vita e, come logica conseguenza, uno scopo, una meta, una direzione; ma le risposte che cerca, non sono, purtroppo alla portata del suo intelletto. Deve avere pazienza e costanza; deve ardere di passione per la verità, disposto a spendersi e a pagare qualunque prezzo, pur di trovarla.
           Alla fine, chi cerca, trova; e chi trova, in questo caso trova per sempre. Trova una felicità che non tramonta. Siccome lo scopo di ognuno consiste nel raggiungimento della felicità, chi, con umiltà la cerca e attraverso le vie del cuore la trova, scopre al tempo stesso il senso, lo scopo primo ed unico dell'esistenza umana.
           Cercare il padre e sperare di trovarlo significa impegnarsi a fondo in una ricerca spasmodica d'amore e l'amore, si sa, sfugge al controllo della ragione; l'amore, anzi, si prende gioco della ragione, quando essa ritiene di poterlo dominare, e va diretto al cuore, da dove il grido d'invocazione si è levato.
           Il neonato, pellegrino, che muove i suoi primi passi sulla via del proprio transito terreno, nulla sa di questo mondo, non conosce suo padre e sua madre: sente il bisogno di nutrirsi, inconsapevolmente si attacca al seno materno e, di lì a poco scopre l'amore: un amore traboccante, totale, nei confronti di chi gli ha dato la vita, di chi lo circonda di cure e di calore. Prima ancora che il suo apparato fonatorio gli consenta di pronunciare le prime, meravigliose parole, quel piccolo essere ama. Ama sua madre e suo padre, li cerca, si affida interamente a loro ed è felice. È così diversa la condizione dell'uomo in rapporto a Colui, che ha generato la vita e l'universo intero? Chi ha orecchi per intendere, intenda.
E a chi non vuole intendere, cosa si può dire? 
           L'uomo che si stima figlio del caso vive in modo più o meno consapevole l'ansia del tempo che trascorre ed inesorabilmente conduce verso la vecchiaia, la malattia e la morte. Ciò non di meno: s'impone una morale, giudica, sentenzia.....
           Simile al Dio, che si ostina a negare, obbedendo docilmente al grido della specie e ai suoi misteriosi disegni, egli genera dei figli: esseri umani, che nella sua visione del mondo sono, come lui, miseri figli del caso condannati ad una vita piena di tribolazioni, che si concluderà, presto o tardi, senza speranza alcuna, nel tragico evento della morte. Nonostante ciò confida nel loro amore, dimenticando di essere la causa del loro dramma terreno.
           Quale arcano principio di logica, o di morale governi simili comportamenti, è cosa difficile da comprendere. Così come arduo è capire il motivo che spinge l'ateo a far proseliti: mentre è facile spiegare il desiderio di chi voglia trasmettere ad altri il proprio ottimismo, la propria fiducia nel futuro, la speranza, che illumina il cammino di ciascuno di noi...., c'è qualcosa di misteriosamente sinistro, nella condotta di chi impieghi le sue energie migliori allo scopo di diffondere una visione del mondo e della vita umana, che falcia quanto di bello e di buono fiorisca spontaneamente nel cuore degli uomini.
           Essi sono fatalmente chiamati a scegliere tra il bene e il male: liberi di agire, di pensare, di giudicare, di decidere, di costruire, o di distruggere; liberi in tutto, ma obbligati a scegliere tra il bene e il male. che fare?
Occorre, prima di tutto decodificare il bene e il male, toglier loro: maschere, paludamenti, incrostazioni causate da equivoci del linguaggio... E poi avanzare tenacemente verso la luce.
Sommo bene è: la felicità; male estremo è il suo contrario.
           Chi custodisce in cuore la speranza è felice; chi la perde precipita nella disperazione, che tra i mali è il peggiore. Dal che è facile concludere, che chi semina speranza fa il bene, chi semina disperazione fa il male. Proseguendo: chi induce alla fede crea una speranza duratura: la speranza che fa felici; chi induce all'ateismo toglie la speranza, quindi genera disperazione, infelicità.
           La vita è un fatto evidente ed incontestabile; il desiderio di conoscerne il padre, il creatore, è naturale e giusto. Postularne l'inesistenza a priori significa rinunciare a dare un senso preciso alla vita, riducendo questo meraviglioso mistero presente nell'universo, ad un triste, quanto mai improbabile incidente di percorso tra elementi primordiali, presenti nell'abisso del vuoto senza ragione, senza spiegazione, per volontà di nessuno...
           Imprigionato entro i confini invalicabili del tempo e dello spazio, l'uomo è simile al pulcino, che all'interno dell'uovo attende il momento di rompere quel guscio e scoprire un altro mondo, che ha leggi e dimensioni completamente diverse. Tuttavia, a questo piccolo essere, insignificante polvere di stelle è dato comprendere, che non c'è orologio senza orologiaio, che non c'è opera d'ingegneria senza ingegnere, che non c'è effetto senza causa, che non c'è causa senza legge, che non c'è legge senza legislatore; e ciò dovrebbe essere sufficiente a concludere, in favore di una speranza, che per le vie del cuore diventa rapidamente una certezza: la certezza che non ci sarebbe stata vita senza Dio.
Andrea Bocelli
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