La passione e morte di Cristo sono prefigurate nella figura del «servo» schernito e flagellato, ma fiducioso nell'assistenza del Signore. Il racconto della Passione secondo Marco inizia con il gesto d'amore della donna di Betania che cosparge di profumo i piedi di Gesù e si conclude con l'immagine del sepolcro scavato nella roccia...DOMENICA DELLE PALME
del 04 aprile 2009
ANNUNCIARE
 
“Cristo umiliò se stesso, per questo Dio lo esaltò” Fil 2,6-11
 
La Parola di Dio della Domenica delle Palme ci fa gustare in anticipo i misteri che la Chiesa celebra nel Triduo Pasquale. La passione e morte di Cristo sono prefigurate nella figura del «servo» schernito e flagellato, ma fiducioso nell’assistenza del Signore (Is 50,4-7). Il racconto della Passione secondo Marco inizia con il gesto d’amore della donna di Betania che cosparge di profumo i piedi di Gesù e si conclude con l’immagine del sepolcro scavato nella roccia, osservato da lontano dalle donne. In quest’ottica, la seconda lettura (Fil 2,6-11) può essere giustamente definita una sorta di compendio non solo dei misteri di questi giorni santi, ma di tutta la vita del Signor. Sebbene Paolo citi quest’inno a sostegno della sua esortazione alla Chiesa di Filippi la ricchezza teologica di questi versetti va ben al di là del contesto immediato, dal momento che il suo scopo non è tanto quello di presentare Cristo come modello da seguire, quanto di invitare alla considerazione di ciò che Egli ha fatto per la salvezza dell’uomo. I due momenti in cui il brano si divide sono tra loro in successione sia temporale che logica. Nel primo (vv. 6-8) è significata l’incarnazione: Cristo, pur essendo Dio, «svuotò se stesso». Quest’immagine non indica privazione della divinità, ma rinuncia alle prerogative esterne della gloria divina, espropriazione di ogni ricerca di vantaggio proprio. La logica dell’incarnazione, cioè il modo con cui Dio entra nella storia degli uomini ha carattere paradossale: Dio si fa «servo», si fa uomo. Cristo, infatti, non si attaccò gelosamente alla sua divinità («non ritenne un privilegio l’essere come Dio»), ma si fece in tutto uguale agli uomini, assunse l’umanità ponendosi in uno stato di completa obbedienza e sottomissione. Ma la parabola discendente descritta fino a qui non è ancora finita: l’obbedienza umile di Cristo va fino in fondo, fino alla condivisione con gli uomini della profondità e dell’estrema lontananza da Dio, la «morte di croce», menzionata significativamente al centro del brano. Gesù, immolato sulla croce come l’agnello pasquale, si «svuota» totalmente e abbraccia ogni realtà umana, ogni sua schiavitù, compresa quella del peccato e della morte. Cristo è il soggetto attivo di tutta la prima parte perché solo per iniziativa di Dio è possibile colmare la distanza tra Dio e la sua creatura; l’umiliazione e lo «svuotamento» del Figlio di Dio sono la condizione di possibilità perché possa avvenire l’incontro tra il cielo di Dio e la terra degli uomini. Il v. 9, che immette nella seconda parte dell’inno, segna una svolta che è presentata come la conseguenza di quanto finora è stato detto («per questo…»). Il soggetto è Dio Padre che risponde all’umiliazione dell’uomo-Dio con l’innalzamento del Figlio, espressa attraverso un verbo («esaltare») che nel greco biblico è usato solo per YHWH. All’innalzamento segue la proclamazione del nome che indica dignità, gloria e splendore; entrambe le azioni corrispondono al rituale dell’intronizzazione regale a cui fa riferimento anche il gesto onorifico delle ginocchia che si piegano. Il Figlio, posto dal Padre al di sopra del livello angelico, umano e demoniaco, è riconosciuto da tutte le genti come «Signore»; la dimensione universale che conclude il testo fa riferimento a Is 45,23.
Davanti ai nostri occhi, come a quelli dei Filippesi, Paolo pone l’intera storia di Gesù: storia di libera umiliazione e obbedienza che diviene storia di esaltazione e di gloria, nella quale tutti gli uomini sono inseriti.
 
CELEBRARE
La litania dell’Agnello
Durante i riti della frazione del pane, la liturgia fa cantare la litania dell’Agnello, un canto a Colui che immolato e si fa cibo di vita eterna: vita donata; pane spezzato, agnello offerto, cibo di vita eterna.
Il riferimento all’immagine dell’Agnello e il gesto sacrificale dello spezzare il pane, narrano con eloquenza il mistero d’amore che si sta consumando: L’Agnello implorato, è l’innocente che porta su di sé il peccato del mondo (Gv 1,29), è l’innocente, il senza macchia (1Pt 2,22.24), è l’Agnello vittorioso, ritto sul trono che porta a tutti la pace (Ap 13,8).
L'Agnello di Dio è un canto che, con la forza dell’insistenza, si fa domanda, invocazione, desiderio, attesa e dovrebbe accompagnare l’intera durata del rito della frazione del pane, per poi concludesi con esso. Purtroppo, nelle nostre assemblee, si privilegia lo scambio della pace e molto spesso lo si accompagna con un canto, rischiando così di soffocare i riti della frazione del pane. L’Ordinamento Generale del Messale Romano, non prevede nessun canto al rito della pace mentre invita a compiere con solennità i riti della frazione: «Il sacerdote spezza il pane eucaristico, con l’aiuto, se è necessario, del diacono o di un concelebrante. Il gesto della frazione del pane, compiuto da Cristo nell’ultima Cena, che sin dal tempo apostolico ha dati il nome a tutta l’azione eucaristica, significa che i molti fedeli, nella Comunione dall’unico pane di vita, che è il Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo, costituiscono un solo corpo (1 Cor 10,17).
Esso prevede l’alternanza tra il solo e l’assemblea, invitata a partecipare con la risposta, breve e incisiva. Le parole narrano il gesto che rivela il mistero dell’amore: la fecondità del dono: il pane si moltiplica e si fa nutrimento per tutti. Di qui l’importanza, ribadita con calore nel Messale di spezzare e distribuire almeno una parte delle ostie consacrate nella celebrazione: «Si desidera vivamente che i fedeli, come anche il sacerdote è tenuto a fare, ricevano il Corpo del Signore, con ostie consacrate nella stessa Messa» (OGMR 85) e non anticipare, in modo imitativo, il gesto della frazione durante la preghiera di consacrazione.
 
TESTIMONIARE
Incontri lungo il cammino...
Caro Carlos, ti scrivo l’ultima mia lettera, te ne avevo scritta una appena arrivato a Città del Messico, ma non è arrivata in tempo… Questa ultima lettera però è la più difficile e per me la più cara di tutte! Tante volte ho consolato, accompagnato fratelli nell’ultimo tratto della vita terrena, come ho cercato di fare con te, con sincerità e condivisione.
Davanti alla morte di un fratello, a soli 48 anni, mi sento sempre assettato di consolazione e fede.
Hai lasciato la tua famiglia per incomprensioni forti a 15 anni, hai viaggiato per 33 anni, gli stessi anni che ha vissuto Gesù di Nàzaret.
Ricordo bene quando nell’ottobre del 2006 Lorenzo, chiamato in strada Diabolik, mi aveva accompagnato, insieme al mio confratello Jesus, in una fredda notte a conoscerti mentre dormivi con il tuo cane GB sotto i portici dell’Università in piazza Roma. Ricordo bene sabato 5 luglio 2008 quando avevi deciso di iniziare il tuo cammino di liberazione dalla strada, dall’alcool e dal fumo.
Questo cammino l’avevamo iniziato insieme, andando a fare una bella doccia alla mensa del povero da Suor Pia e Suor Francesca per poi andare in ospedale. Era giusto che il nostro cammino iniziasse proprio da lì. Ricordi Carlos con noi c’erano anche Remo, Ennio, Kamel e Bechier. Negli ultimi mesi stavi molto male, la tua Via Crucis è stata lunga e dolorosa: quante stazioni? Tu lo sai! Una cosa è certa: vivrai anche la quindicesima stazione: quella della Risurrezione.
 
Un religioso “sulla strada” ad Ancona
 
... verso una vita nuova
 
I giornali spesso riportano la notizia della morte di un “senza dimora” e purtroppo a volte si tratta di morti violente. La lettera di questo religioso, ora in Messico, ma per anni accanto a chi vive sulla strada nella sua città, ci ricorda qual è la meta di chi sta camminando nella propria “via Crucis”: la quindicesima stazione. Ci accompagni, nella settimana santa, questa certezza: Cristo, nostra Pasqua, sarà immolato, e ogni persona – ogni persona! – risorgerà con Lui.
 
PREGHIERA INTORNO ALLA MENSA
Cristo Gesù umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome. (Fil 2,8-9). La strada che il mondo ci indica per realizzare pienamente il nostro desiderio di felicità è la conquista di un posto di onore nella società. Tu, Gesù, ci hai indicato una strada diversa, che va controcorrente: la strada dell’umiltà e del dono della vita per i fratelli. Fa’ o Signore che in questi giorni della Passione e della Pasqua ti seguiamo con gioia su questa strada.
 
Conferenza Episcopale Italiana
Versione app: 3.26.4 (097816f)