Deve restare nelle aule scolastiche non perché sia una «suppellettile» o un «oggetto di culto», ma perché «è un simbolo idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili» che hanno un'origine religiosa, ma «che sono poi i valori che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato». Lo ha stabilito il 15 febbraio il...
del 18 febbraio 2006
Il crocifisso deve restare nelle aule scolastiche non perché sia una «suppellettile» o un «oggetto di culto», ma perché «è un simbolo idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili» che hanno un'origine religiosa, ma «che sono poi i valori che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato».
 
Lo ha stabilito il 15 febbraio il Consiglio di Stato che, con un'importante sentenza, ha respinto il ricorso di una finlandese, Solie Lauti, che chiedeva la rimozione del crocifisso dalla scuola media frequentata dai suoi figli ad Abano Terme (Padova).
 
La donna aveva già fatto ricorso al Tar del Veneto che prima di darle torto aveva sollevato una questione di legittimità dinanzi alla Corte Costituzionale. I giudici della Consulta, nel dicembre del 2004, avevano dichiarato inammissibile la questione; a risolvere la delicata controversia sono stati i supremi giudici amministrativi della VI sezione.
 
La sentenza del Consiglio di Stato è improntata a una visione 'storica' della laicità, relativa cioè alla specifica organizzazione istituzionale di ciascuno Stato, in base alla quale i rapporti tra Stato e Chiesa non si realizzano «in termini costanti e uniformi» nei diversi Paesi.
 
Anche riguardo al Crocifisso si fa una distinzione di significati, a seconda del contesto in cui è collocato: in un luogo di culto «è propriamente ed esclusivamente un simbolo religioso», mentre in una sede come la scuola oltre che un significato religioso assume «una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni», in quanto esprime «in forma sintetica valori civilmente rilevanti».
 
Una sentenza «autorevolissima», che non riguarda soltanto un «simbolo religioso», ma costituisce «un contributo importante» per «chiarire il principio di laicità che fa da sfondo alla nostra Costituzione».
 
Questo, in sintesi, il giudizio di Giuseppe Dalla Torre, rettore della Lumsa, alla sentenza del Consiglio di Stato. Dopo la sentenza emanata nel 1989 dalla Corte Costituzionale, relativa all'ora di religione, che ha riconosciuto per la prima volta la laicità come «principio supremo del nostro ordinamento, che non comporta però un'avversione delle istituzioni pubbliche nei confronti del fenomeno religioso», «spero che la sentenza del 15 febbraio», commenta il giurista, «ponga fine al dibattito, troppo lungo e caratterizzato da eccessi, sulla laicità. Tutti invocano la laicità, ma ognuno ha un'idea diversa di laicità: questa sentenza, come la precedente della Corte Costituzionale, è un'importante chiarificazione sull'idea di laicità contenuta nella nostra Costituzione».
 
C'è una «laicità cattiva», alla francese, «devastante» perché «tende all'eliminazione di ogni presenza religiosa» annullando così tutte le differenze, e c'è una «laicità buona», perché «accogliente», rispettosa delle posizioni altrui «la cui varietà arricchisce il dibattito pubblico».
 
E’ quest'ultima che ha vinto, con la sentenza del Consiglio di Stato grazie alla quale il crocifisso resta nelle aule scolastiche italiane. A dichiararlo è Giuseppe Savagnone, docente di storia e filosofia nei licei di Palermo e responsabile della Pastorale della cultura in Sicilia.
 
«Voler combattere la presenza cristiana nella cultura pubblica significherebbe sradicare la nostra tradizione culturale», osserva Savagnone, secondo il quale la sentenza «ha due valenze: quella della fede personale, sulla quale nessuno può pretendere di imporre il proprio credo, e quella per cui il crocifisso simboleggia i valori che pervadono tutta la società italiana e che vanno rispettati, qualunque sia la propria fede religiosa».
 
«Nessuno, quando va in Oriente, si stupisce delle mezzelune sopra le moschee», commenta Savagnone, «e nella nostra cultura il crocifisso ha un significato oggettivo, culturale, non solo legato alla fede personale, altrimenti andrebbe rimosso».
 
Il fatto, inoltre, che la sentenza riconosca al crocifisso nelle scuole «una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni» comporta, secondo Savagnone, la responsabilità di far capire agli studenti che «per la popolazione italiana la croce è il simbolo per eccellenza della sofferenza umana: non un'imposizione religiosa, dunque, ma un messaggio prima di tutto culturale e morale sul senso del limite».
 
Oltre che cristiani, quelli espressi dal crocifisso «sono valori civili e pienamente laici», che «non sono e non possono essere considerati esclusivi di una o di un'altra comunità o confessione religiosa».
 
E’ il commento di mons. Franco Costa, vicario episcopale per la catechesi e direttore dell'Ufficio scuola della diocesi di Padova, all'indomani della sentenza del Consiglio di Stato.
 
Quella del crocifisso, spiega mons. Costa, «è la fede che parla del volto di un Dio che non mortifica la libertà della coscienza e dell'uomo ma provoca tutti alla fraternità universale».
 
«In questa fede», prosegue, «riconosciamo sussistere fondamentali principi di laicità della nostra Costituzione: ciascuno deve essere responsabile in coscienza delle sue azioni, la coscienza personale non può sottrarsi alla fatica di cercare e ricercare la verità».
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