Crollo delle adozioni internazionali

«Il sistema, uno dei migliori al mondo, si è ammalato e l'eterologa è solo un bluff». Intervista a Marco Griffini, presidente Ai.bi...

Crollo delle adozioni internazionali

 

Nel 2014 ci sarebbe stato un calo del 30 per cento delle adozioni internazionali, passate dalle 2.825 del 2013 a circa 2000. Il calo è drammatico se paragonato a quello del 2010, quando le adozioni furono il 50 per cento in più, ben 4.130. Questi dati sono stati diffusi dal principale ente autorizzato per le adozioni dall’estero in Italia, Ai.bi – Amici dei bambini: «Sono il sintomo di un sistema che si è ammalato, ma che fino a pochissimo tempo fa era uno dei migliori al mondo» spiega il presidente di Ai.bi Marco Griffini.

 

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Quali sono le fonti da cui avete ricavato questi dati?

 

Si tratta di proiezioni elaborate da Ai.bi attraverso i siti degli enti autorizzati che hanno pubblicato le cifre delle adozioni realizzate. Purtroppo, nonostante le linee guida per le adozioni in Italia impongano la pubblicazione dei dati, non tutti gli enti li hanno già messi on line, né la Commissione per le adozioni internazionali (Cai) ha pubblicato il report annuale sul proprio sito, a differenza di quanto avveniva gli altri anni, quando al massimo entro gennaio il report era disponibile a tutti. Noi di Ai.bi abbiamo incrociato i dati disponibili dai siti degli enti (il 60 per cento circa del totale) con quelli dei paesi di origine dei bambini. Nella nostra proiezione stimiamo un margine di errore del 5 per cento. Si va, dunque, da 1.900 a 2.100 adozioni internazionali avvenute in tutt’Italia nel 2014, rispetto alle 2.825 del 2013, quindi il 30 per cento in meno. Ma se lo raffrontiamo con l’anno di punta delle adozioni internazionali, il 2010, siamo a meno 50 per cento (all’epoca ne furono fatte 4.130).

 

Qual è la causa secondo lei?

 

C’è una crisi internazionale delle adozioni: anche in Francia questa cosa è stata denunciata. Per quanto riguarda il sistema Italia, va sottolineato che è molto diverso degli altri. Noi abbiamo 66 enti autorizzati: solo gli Usa hanno lo stesso numero di enti. Germania, Francia, Spagna ne hanno molti di meno. Tant’è vero che noi siamo sempre stati apprezzati a livello mondiale come paese principe dell’accoglienza dei minori, e che alcuni paesi, come la Bielorussia, ci hanno scelto come paese “elettivo” per le adozioni. In alcuni paesi, come l’Olanda, è la legge a rendere le cose difficili: lì non si possono adottare bambini al di sopra dei sei anni. Negli Usa è costume adottare bambini neonati. Da noi, invece, non si fanno “discriminazioni” per l’età. A mio modo di vedere sono tre i “batteri” che affliggono il mondo delle adozioni internazionali.

 

 

Quali?

Il principale batterio sta nel cuore del sistema, la Cai, che non è gestita in maniera efficiente. Se il cuore non pompa sangue e ossigeno, tutto l’organismo collassa. È quello che accade con la Cai che da tempo non rilascia le autorizzazioni alle adozioni in nuovi paesi e proprio mentre alcuni paesi (ad esempio la Repubblica democratica del Congo) bloccano gli iter. Noi soli di Ai.bi nel 2014 abbiamo presentato 15 nuove richieste di autorizzazioni. Si sarebbero risolti vari problemi aprendoci ad altre realtà. Invece è rimasto tutto bloccato. Perché? Come osservatore, senza voler polemizzare, annoto che la Commissione non si è mai riunita se non una volta all’anno: è esattamente come se il Consiglio dei ministri di un paese si riunisse una volta all’anno. Un tempo il presidente della Cai era un politico che andava in missione all’estero e prendeva contatti. E i risultati si vedevano, lo dimostrano i dati del passato. Invece adesso il presidente e la vicepresidente della Commissione coincidono nella persona di un magistrato non esperto di adozioni. Senza fare polemiche, noi sappiamo che la presidente ha ricevuto delle delegazioni diplomatiche di alcuni paesi, ma noi enti non siamo informati di quali accordi siano stati presi.

 

Qual è il secondo batterio?

 

Noi enti autorizzati non siamo stati capaci di fare sistema, diversamente da ciò che avviene nel mondo delle Ong e nel Terzo settore, dove è diffusa da tempo la cultura del “fare rete”. Noi enti non siamo stati capaci di creare un fronte unico capace di far capire al governo che è importante investire per le adozioni internazionali. In Italia si stimano 5 milioni di coppie sterili: e la proiezione è in crescita. Di fronte ad un esercito di coppie che potrebbero adottare, perché non si pone più attenzione al tema delle adozioni? Vogliamo davvero che la risposta sia lasciata all’eterologa, che al momento è un bluff? Fortuna che papa Francesco richiama sempre l’attenzione sulle famiglie: noi enti però restiamo chiusi nei nostri orticelli. Non c’è stata una forte rappresentanza del problema del crollo delle adozioni. Così sembra che questo tema non interessi più neppure al governo.

 

E il terzo?

 

Un terzo batterio è l’aumento dei costi delle adozioni internazionali, in una totale assenza di controlli. Pur essendoci delle precise tabelle dei costi da sostenere per le adozioni, fissati anni fa tra gli enti autorizzati e la Cai, tali costi non vengono rispettati. C’è un vero mercato nero: ci sono coppie che vengono spinte a portare all’estero somme molto elevate, in nero e in contanti. Perché? Su questo nessuno vigila. Noi enti e le famiglie vediamo solo i risultati di questo comportamento, e cioè che i prezzi per le adozioni all’estero stanno schizzando alle stelle. Siamo a conoscenza tutti di questo problema, perché sono le stesse coppie a denunciarlo nei corsi di formazione obbligatoria che frequentano. Ma le coppie poi non arrivano mai a denunciare, per paura che ciò diventi un fattore di ritorsione nei loro confronti. Le coppie sono l’anello più debole, e purtroppo alcuni enti approfittano del fatto che siano “ricattabili” nel loro umanissimo desiderio di accogliere un bambino. Davanti a tutti questi problemi non possiamo stare con le mani in mano.

 

Cosa propone Ai.bi?

 

Faccio un appello anzitutto a prendere atto del crollo delle adozioni internazionali in Italia, a discuterne senza far finta che il problema non esista. Serve veramente una politica che si ponga il problema delle adozioni. Nel nostro paese, inoltre, c’è un grosso movimento delle famiglie adottive e penso che, se noi enti non siamo riusciti a farci sentire, loro potranno convincere il governo ad ascoltarle. Mi appello alle associazioni familiari: cambiate voi il volto delle adozioni in Italia. Mi appello anche a tutti quei politici che in parlamento sono già genitori adottivi e che conoscono bene il fatto che noi eravamo il paese “Ferrari” dell’accoglienza: fate qualcosa. Infine ho pensato a cosa potevamo fare come Ai.bi. Alcuni mesi fa abbiamo sospeso l’accettazione dei mandati, perché non potevate rispondere a tutte le richieste che ci arrivano: ci siamo ora messi una mano sul cuore, dato che non è passato giorno che dalle famiglie ci arrivavano appelli a riprendere. Così abbiamo deciso di riaprire: siamo costretti dalle linee guida a non accettare troppe richieste, ma tra pochi giorni ripartiremo magari accogliendo il primo centinaio di nuovi mandati.

 

 

Chiara Rizzo

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