Da 'Troy' al Vietnam, violente emozioni

Viene spontaneo proiettare nei più disparati film di guerra ‚Äì reale o fantastica che essa sia ‚Äì le angosce del momento. Sarà forse per questo che fra il 2004 e il 2005, in un clima di tensioni internazionali, il cinema ha rispolverato conflitti che spaziano dall'epica alla storia antica, nello schematico Troy di Wolfgang Petersen, nel prolisso Alexander di Oliver Stone... Accanto a tante guerre reali il cinema non dimentica però la guerra archetipica del Bene contro il Male. Lo scontro epocale a cui assistiamo nella trilogia de Il Signore degli Anelli...

Da 'Troy' al Vietnam, violente emozioni

da Quaderni Cannibali

del 05 novembre 2005

Maggio 2005: nelle sale arriva La vendetta dei Sith di Lucas, terzo episodio della saga di Guerre stellari, un kolossal pessimista che termina con la sconfitta del Bene da parte del Male. In tempi di guerra in Iraq le letture di militanza anti-Bush fioccano. Un mese dopo esce La guerra dei mondi di Spielberg, che mostra la feroce invasione del nostro pianeta messa in atto dai marziani. Anche questa volta le attualizzazioni, con interpretazioni sugli incubi del dopo 11 settembre, sono quasi d’obbligo.

Viene spontaneo proiettare nei più disparati film di guerra – reale o fantastica che essa sia – le angosce del momento. Sarà forse per questo che fra il 2004 e il 2005, in un clima di tensioni internazionali, il cinema ha rispolverato conflitti che spaziano dall’epica alla storia antica, nello schematico Troy di Wolfgang Petersen, nel prolisso Alexander di Oliver Stone, nel politicamente corretto Le crociate di Ridley Scott. Ma l’interesse del cinema per le tematiche belliche non è recente. La guerra offre infatti un’ampia gamma di possibilità narrative ed espressive. È stata lo scenario ideale di grandi vicende sentimentali, da L’amore è una cosa meravigliosa (1955) di Henry King, a Pearl Harbor (2001) di Michael Bay. Ha fornito il pretesto per denunciare la violenza psicologica e materiale del sistema militare, come ha fatto Altman in Streamers (1983) raccontando due allucinanti giorni di addestramento in un campo militare Usa ai tempi del Vietnam. Per contro, nel cinema la guerra ha trovato un mezzo di propaganda tanto più efficace quanto più era ordinaria la situazione rappresentata. È il caso de La signora Miniver (1942) di Wyler, storia di una signora inglese qualunque, che sopporta con invidiabile self-control i bombardamenti tedeschi, senza nemmeno perdere la voglia di partecipare a un concorso floreale. Nel cinema la guerra diventa anche metafora della giovinezza fuggita, dell’iniziazione brutale all’età adulta: i due ragazzi australiani protagonisti de Gli anni spezzati (1981) di Peter Weir, calati negli orrori di Gallipoli, ne sono uno degli esempi più toccanti.

Ogni guerra ha avuto i suoi film, in numero proporzionale all’entità del conflitto e agli strascichi che ha lasciato nella storia e nelle coscienze. L’'inutile strage' della Prima guerra mondiale ha sollecitato nei registi soprattutto ispirazioni antimilitariste e pacifiste, come ne La grande illusione (1937) di Jean Renoir o in All’Ovest niente di nuovo (1930) di Milestone, dove alcuni giovani soldati tedeschi sono testimoni dello spaventoso macello perpetrato nelle trincee. L’insensatezza della guerra come strumento di morte, insieme alla crudeltà e alla stupidità degli alti gradi militari che la dirigono, vengono stigmatizzati in Orizzonti di gloria (1957) di Kubrick. Due anni dopo Monicelli, ne La grande guerra (1959), torna sul tema della Prima guerra mondiale: il tono è contaminato dal bozzettismo della commedia all’italiana, ma le bordate contro il falso mito dell’eroismo sono inequivocabili.

Anche la Seconda guerra mondiale è stata una considerevole fonte di ispirazione cinematografica. Se inizialmente Hollywood la interpreta con una forte retorica patriottica, in capolavori come Arcipelago in fiamme (1943) di Hawks o Obiettivo Burma! (1945) di Walsh, a partire dal dopoguerra da una parte punta sulla spettacolarità dell’evento bellico, con kolossal infarciti di retorica nazionalista come Il giorno più lungo (1962) di Annakin, Tora! Tora! Tora! (1970) di Fleischer, La battaglia di Midway (1976) di Smight, dall’altra mette in luce le tensioni tra commilitoni, la codardia, il militarismo esasperato, la svalutazione della vita umana.

Opere come Prima linea (1956) di Aldrich, La croce di ferro (1977) di Peckinpah, Il grande uno rosso (1980) di Fuller, raccontano la disumanizzazione dell’uomo attraverso un’esperienza devastante, dove ognuno lotta selvaggiamente per sopravvivere. Una crudeltà che si perpetua nelle sequenze iperealistiche dello sbarco in Normandia di Salvate il soldato Ryan (1998) di Spielberg. Più problematico è l’approccio della cinematografia europea, come quello di Melville, che ne L’armata degli eroi (1969) affronta il tema della resistenza francese senza idealizzazioni né slanci epici, o quello di Rossellini, che con Paisà (1946) commemora il riscatto morale di una nazione dagli errori del passato. A questo atteggiamento più introspettivo si avvicina La sottile linea rossa (1998) di Malick, nel quale Guadalcanal diventa per i protagonisti una riflessione interiore sulla vita e sulla morte. Del resto è dai tempi del Vietnam che il cinema americano ha cominciato a ripensare criticamente la guerra, diventata improvvisamente 'sporca'. Non a caso ne Il cacciatore (1978) di Cimino il Vietnam è la rappresentazione di una sconfitta e della disgregazione morale di un intero paese. Ma è soprattutto con Apocalypse Now (1979) di Coppola che la guerra diventa cifra di un mondo impazzito dove l’orrore è la normalità quotidiana.

Ogni guerra, dicevamo, è stata ricordata in qualche modo dal cinema, da quella dei Balcani, con Prima della pioggia (1994) di Manchevski e No Man’s Land (2001) di Tanovic, a quella del Golfo, con Three Kings (1999) di David O. Russell, alla guerra in Somalia, da cui Ridley Scott trae spunto in Black Hawk Down (2001) per girare una metafora del dissennato meccanismo bellico che travolge indistintamente militari e civili.

Accanto a tante guerre reali il cinema non dimentica però la guerra archetipica del Bene contro il Male. Lo scontro epocale a cui assistiamo nella trilogia de Il Signore degli Anelli (2001, 2002, 2003) di Peter Jackson, è la 'guerra delle guerre'. E i trionfi al botteghino dimostrano che questa è la guerra che piace di più. Non ci sono dubbi sulla sua legittimità perché viene combattuta per una causa incontestabilmente giusta, e ha il finale rassicurante che tutti desiderano: il Bene trionfa e il Nemico è sconfitto una volta per tutte.

Maria Ferragatta, Orazio Paggi

http://http://www.sanpaolo.org/letture/0511let/0511lehp.htm

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