Dalla "lettera" di san Paolo ai catechisti

Cosa suggerisce l'anno paolino all'esperienza catechistica? La proposta formativa e gli spunti di revisione offerti da san Paolo sono tali che si può perfino ipotizzare una sua "lettera ai catechisti". La spiritualità "cristocentrica" dell'Apostolo offre ai catechisti motivazioni forti per il loro impegno nell'annuncio e nell'approfondimento delle verità del vangelo.

Dalla 'lettera' di san Paolo ai catechisti

da Teologo Borèl

del 20 settembre 2008

Nel contesto dell'anno paolino un parroco offre un itinerario formativo per i catechisti che scaturisce dalle sue dell'apostolo

Cosa suggerisce l'anno paolino all'esperienza catechistica? La proposta formativa e gli spunti di revisione offerti da san Paolo sono tali che si può perfino ipotizzare una sua 'lettera ai catechisti'. La spiritualità 'cristocentrica' dell'Apostolo offre ai catechisti motivazioni forti per il loro impegno nell'annuncio e nell'approfondimento delle verità del vangelo.

 

Nei brani autobiografici delle sue lettere e nei tre racconti degli Atti degli apostoli, l'evento della conversione di Paolo evidenzia il significato teologico ed esistenziale dello svelamento di Gesù Cristo come Figlio di Dio confessato come Kyrios (Fil 2,12), Signore risorto (Fil 3,10) e glorificato accanto al Padre. L'iniziativa è di Dio, è pura 'grazia' e rivelazione inattesa: Paolo si sente impreparato e indegno. Egli è ben consapevole di non appartenere al gruppo dei Dodici, ma si dichiara ugualmente 'apostolo' per 'vocazione' e per volontà di Dio: non da parte di uomo né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre. Non teme di affermare che «il vangelo da me annunziato non è modellato sull'uomo; infatti io non l'ho ricevuto né l'ho appreso da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1,11-12).

 

L'esperienza di Cristo

 

1. A Damasco l'abbinamento di luce e Parola, elementi già presenti nella prima creazione, richiamano l'esigenza di una nuova nascita. È la pasqua di Paolo, il quale avverte la presenza di 'qualcuno' talmente più forte di lui da gettarlo a terra. Il 'non' vedere e il mangiare e bere è un'esperienza sepolcrale di morte che associa Paolo ai tre giorni della morte di Gesù, i quali segnano il passaggio dall'uomo vecchio all'uomo nuovo: «Sono stato conquistato da Gesù Cristo» (Fil 3,12). E in Gal 2,20: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me». Delle 535 citazioni nel NT del nome di Gesù Cristo, almeno 400 si trovano nell'epistolario paolino.

All'amore si può rispondere solo con l'amore: Paolo si sente amato, perdonato e valorizzato per un progetto grandioso, per cui la missione non è un peso, ma un'esigenza intima: «L'amore di Cristo ci spinge» (2Cor 5,14).

 

Paolo riporta all''essere' del catechista prima che al suo 'sapere e fare'. La preparazione didattica e operativa può solo inserirsi su una forte esperienza di comunione con Cristo e di incorporazione a lui, che origina il servizio alla Parola.

 

2. L'incontro con Cristo cambia la vita di Paolo, che avverte su di sé la 'vendetta dell'amore': il persecutore diventa cristiano missionario perseguitato dagli ebrei; l'arrogante si tramuta in umile ascoltatore della voce del Signore; la denuncia dei cristiani si trasforma in ricerca interiore di Gesù; il sicuro di sé si lascia guidare da Anania e da altri cristiani; il 'nemico' viene chiamato 'fratello'; dalla strada passa alla città; l'estraneo alla comunità di Gerusalemme costituisce un anello di congiunzione tra i Dodici e le nuove comunità; la tenacia e l'ardore usati contro i seguaci di Gesù vengono impiegati nella nuova missione; il portatore di morte diffonde il 'Nome' del Signore, che è vita e salvezza.

Il catechista non è un 'aiutante' del parroco, ma un innamorato di Cristo, desideroso solo di «conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze», per cui tutto il resto lo considera 'spazzatura'. Tutto sbiadisce al di fuori di Cristo o in competizione con lui e tutto trova in lui il suo pieno compimento.

3. Di Gesù Paolo non comprende tutto e subito, ma gradualmente, e anche grazie alle comunità che lo hanno accolto, al contributo della pastorale maturata nelle chiese da lui fondate e alla mediazione delle culture con cui viene a contatto, senza escludere altre rivelazioni ed esperienze mistiche. L'Apostolo non fa un ritratto esaustivo di tutti gli aspetti della vita e della personalità di Gesù, sebbene gli insegnamenti del maestro permeino il suo pensiero, al punto che qualsiasi tentativo di distinguere fonte ed elaborazione personale sarebbe impossibile e insensato. Se la morte in croce per amore è l'unico elemento che distingue Gesù in modo inequivocabile, egli si propone di «non sapere altro che Gesù Cristo e questi crocifisso» (1Cor 2,2).

Il catechista non è chiamato a predicare se stesso, ma ad avere «il pensiero di Cristo» (2Cor 2,16 e 4,5) e ad annunciare la parola della croce, che è stoltezza per i sapienti del mondo. Non gli deve interessare l'arte oratoria o la sublimità del discorrere e dell'argomentare, quanto Cristo crocifisso, che è l'elemento discriminante della fede e del discepolato.

Cristo è sempre 'contagioso': Paolo sente di dover predicare il vangelo a tutti e ovunque, senza alcuna ricompensa perché «non è per me un vanto predicare il Vangelo, è un dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1Cor 9,16). Se la fede dipende dalla predicazione e questa a sua volta si attua per la parola di Cristo, egli non teme di affrontare tanti ostacoli per favorire la 'corsa del vangelo'. Egli predilige le città, perché più facilmente raggiungibili, segnate dalla lingua greca e abitate anche dai giudei della diaspora. Anche la sua professione di fabbricante di tende è in funzione di un maggior contatto con tutte le fasce di popolazione, e quindi dell'annuncio di Cristo.

 

 

La 'passione' missionaria

 

1. Paolo lancia il messaggio di Cristo ad orizzonti esterni al terreno di partenza, quello ebraico, divenendo in tal modo l'Apostolo delle genti per eccellenza. Questa apertura nasce dalla convinzione che «non c'è più giudeo né greco, né schiavo né libero; non c'è più né maschio né femmina: tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Gli Atti degli apostoli presentano un Paolo che parla con tutti ma, quando qualcuno si rifiuta di credere alla 'nuova dottrina', si rivolge ad altri, non perde tempo e cerca lo spazio là dove gli viene dato. Portare il vangelo dove ancora non è stato annunciato comporta tensioni all'interno della cristianità, come rivela il concilio di Gerusalemme e il confronto con Pietro ad Antiochia (At 15 e Gal 2). L'Apostolo, disposto a dare tutto per la conversione dei fratelli ebrei, non vuole lasciare fuori dalla fede alcuna persona, per la quale Cristo è morto.

 

Il catechista sa che il lieto annuncio non può essere tenuto per sé, custodito gelosamente, magari in nome dell'identità. In quanto dono, esso va partecipato a sua volta, anche percorrendo strade inedite, senza paura e senza tradimenti del 'tesoro' ricevuto. La prima missionarietà è nella mente, nel cuore e nella preghiera.

2. Paolo è stato definito un 'cosmopolita' in quanto figlio di tre culture (ebraica, romana ed ellenista), che gli facilitano la comunicazione del cristianesimo. Egli rielabora con inventiva la lingua greca attribuendo accezioni inedite a vocaboli come 'carne', 'spirito', 'peccato', 'giustizia', 'salvezza', 'libertà', 'amore' e non esitando a creare verbi rinforzati da una o più preposizioni (soprattutto 'con') per indicare la simbiosi del fedele con Cristo: ad es., 'conformato', 'concorporeo', 'consoffrire'. Egli cita parole aramaiche (abbà, amèn, maranathà, pascha) e ricorre a termini greci privi di esatto corrispettivo nel semitico a lui noto (ad es. corpo, coscienza, mondo, parusia, franchezza, pienezza, rigenerazione). All'interno del NT è l'unico ad usare determinati vocaboli greci, come 'ricapitolare'. I suoi scritti sono frammenti di missione e un intreccio fra parola e vita: la lingua è piegata all'azione, perché egli è pronto a farsi «greco con i greci, giudeo con i giudei, servo di tutti per guadagnare il maggior numero a Cristo» (1Cor 9,19-23).

 

Animato dalla tensione missionaria, il catechista approfondisce il messaggio di Cristo e cerca un'elaborazione dello stesso linguaggio.

 

 

3. Significativa la sintesi di mons. G. Ravasi, per il quale Paolo «ha rincorso la modernità senza lasciarsi da essa omologare; ha operato l'inculturazione di un messaggio dalle forti connotazioni semitiche nelle coordinate linguistiche, ideali e sociali dell'Impero romano e della civiltà ellenistica; non ha temuto di inoltrarsi sui sentieri d'altura della teologia senza cadere nelle panie dell'ideologia asfittica; è stato un edificatore di cattedrali spirituali ma anche di comunità locali, così intimamente insediate nel tessuto urbano da correre il rischio talora di impolverarsi mani, piedi e coscienza».

 

L'Apostolo insegna ai catechisti ad essere ben inseriti nella propria realtà locale. Le sue lettere rivelano non una teologia sistematica e completa, ma una 'teologia applicata' alle situazioni delle chiese da lui evangelizzate, con fedeltà e creatività, vagliando tutto e tenendo ciò che è buono. Tale sforzo di incarnazione rispetta la 'novità' di Cristo, mai riducibile a standard precostituiti, e il contesto vitale dei credenti.

 

L''evangelo' nel vangelo

Paolo offre un suo disegno ideale, incentrato sulla «giustificazione per la fede e per la grazia». In Gal 2,16 è ben sintetizzato il suo pensiero: «Sappiamo che l'uomo non è giustificato dalle opere della legge, ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo. Abbiamo creduto in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge. Dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno». Chi accetta di morire al peccato e di risorgere con Cristo diventa una nuova creatura per opera dello Spirito e ne dà testimonianza. L'Apostolo vuole impedire che l'uomo prevalichi su Dio, cioè che l'etica anticipi la teologia, la legge osservata preceda il vangelo annunciato e l''autosalvazione' si opponga alla grazia salvifica. Sì, Gesù «è il Signore!» (Rm 10,9).

 

L'attuale catechesi cerca di riscoprire la 'sana dottrina' (1Tm 1,10; 6,3-5), cioè la centralità del kerigma e il fuoco del vangelo, evitando inutili dispersioni e complicazioni. Si nega la sana dottrina di Cristo unico salvatore quando si confida nel volontarismo, nel mito della scienza o dell'ideologia, o si vuol vincere il senso di colpa con l'adozione di tecniche.

 

1. Paolo è convinto che fede e pensiero si richiamino a vicenda e quindi esige nel suo lettore rigore religioso e intellettuale. Già Pietro osservava che «nelle lettere del nostro carissimo fratello Paolo vi sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano per la loro propria rovina» (2Pt 3,16). L'impostazione paolina è lontana dal relativismo, che nega la possibilità di un unico Salvatore, e dalla religione fai-da-te, come pure da una fede relegata alla coscienza. L'Apostolo sollecita una fede che, da una parte, approfondisce le ragioni che la sostengono e, dall'altra, chiede una spiritualità pura, spoglia da fronzoli secondari, da ridondanze devozionali e da derive evanescenti. Egli affronta anche i temi religiosi ultimi, come la grazia trasformante e la fragilità creaturale.

 

Alla scuola di Paolo, il catechista cerca una catechesi 'adulta': Cristo come risposta alle grandi domande del vivere e come forza di rinnovamento del quotidiano. L'obiettivo è di costruire personalità di fede e non 'neonati in Cristo' (1Cor 3,1).

 

 

2. Paolo indica come aiutare altri a credere con il cuore e a fare con la bocca la professione di fede per avere la salvezza. Per prima cosa, si tratta di annunciare apertamente la verità (2Cor 4,1-2) e di non vergognarsi mai del vangelo (Rm 1,16), anche di fronte all'insuccesso pastorale e alla tentazione del ripiegamento, all'indifferenza di tanti e all'arroganza dei poteri umani. Inoltre, occorre ravvivare il dono di grazia ricevuto (2Tm 1,6), rallegrarsi sempre nel Signore, non perdere la pace di Cristo nelle angustie quotidiane (Fil 4,4-7), gioire per qualunque forma di diffusione del vangelo (Fil 1,18) e ricordarsi di aver ricevuto non uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza (2Tm 1,7), come del resto radicarsi nella Scrittura (2Tm 3,16-17), custodire il 'buon deposito' con l'aiuto dello Spirito (2Tm 1,14), esortare con ogni magnanimità e dottrina (2Tm 4,2), agire sempre come amministratore fedele (1Cor 4,1-2) e collaboratore di Dio (1Cor 3,9), senza spadroneggiare sulla fede degli altri ma mettendosi al servizio della loro gioia (2Cor 1,24). Infine, si tratta di vigilare su se stessi (1Cor 9,27) e far pregare perché il Signore apra la porta della predicazione e si annunci correttamente Cristo (Col 4,3). Consigli molto attuali.

 

3. L'Apostolo propone la via di un cristianesimo radicale e autentico, ma non per questo elitario e sofisticato. La sua intelligenza eccezionale non gli impedisce di stare fra la gente nelle piazze e nelle case, come pure di coltivare rapporti con singoli e comunità. Tra i cristiani di Corinto non riscontra molti sapienti, potenti o nobili: egli ama un cristianesimo 'popolare' e non manicheo e rifiuta il fondamentalismo della «lettera che uccide» (2Cor 3,6). Ma l'apertura a tutti non equivale alla mediocrità. Egli traccia spesso una disamina della situazione della società del suo tempo, ma non indulge alla sociologia, né si rifugia nel vago riferimento ai valori: tutto 'vaglia' alla luce di Cristo (Rm 12,2; 1Cor 3,22-23). Egli affronta i temi della famiglia e del lavoro, dei rapporti interpersonali, dell'essere cittadino e presenta la vita cristiana come una lotta, per la quale occorre indossare l'«armatura di Dio» per il martirio quotidiano (Ef 6,10-20).

 

Con gli inni cristologici delle lettere pastorali e di Fil 2,5-11, il catechista acquisisce una visione unitaria, positiva e completa della storia, che è orientata a Cristo. I singoli problemi vanno inseriti in tale prospettiva chiarificatrice, superando corte vedute per sé e per gli altri.

 

Al servizio dell'unità

 

Paolo cerca un rapporto di comunione con «le persone più ragguardevoli» della comunità di Gerusalemme, convinto che lo stesso Signore aveva scelto Pietro per i circoncisi e lui per i pagani (Gal 2,6-10). Egli si sintonizza con la struttura originaria della chiesa e con la sua guida, ma ribadisce l'originalità della propria vocazione e della propria missione. Sperimentate le tensioni tra gruppi e movimenti diversi all'interno delle comunità da lui stesso fondate, Paolo anela ad un'unica chiesa al servizio di tutti nelle sue molteplici forme. Obbedienza e libertà, come del resto indipendenza e comunione non si escludono, quando chiara è la scala di valori in cui esse si esplicano. L'obiettivo è diventare «uno in Cristo» (Gal 3,28).

 

Per Paolo, Gesù si identifica con la chiesa in un solo soggetto, nel quale convivono carisma e istituzione, unità e diversità, senza gli estremismi dell'autocrazia e dell'anarchia spirituale. La comunione dottrinale ed esperienziale è la prima forma di missione.

 

1. Paolo sperimenta una profonda maternità-paternità verso i 'suoi' cristiani. Egli tratta i Tessalonicesi con amorevolezza, come una madre i propri figli, pronto non solo a donare il vangelo, ma la stessa vita «perché ci siete diventati cari» (1Ts 2,7-9). Considera i cristiani di Corinto «il sigillo del mio apostolato nel Signore» (1Cor 9,1-2) e «la nostra lettera scritta nei nostri cuori» (2Cor 3,2). Egli afferma: «Potreste anche avere diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generati in cristo Gesù, mediante il Vangelo» (1Cor 4,14-15). Paolo valorizza e alterna l'affetto sincero e la provocazione, l'insegnamento e la correzione fraterna, la preghiera e la riconoscenza.

 

In modo analogico, contribuendo al prodigio dell'accettazione del vangelo da parte di un fratello, il catechista dona e riceve, conferma altri nella fede e cresce lui stesso nell'appartenenza alla chiesa, come del resto trova motivi per lodare il Signore e per intercedere. Perché la fede si irrobustisce trasmettendola e superando difficoltà.

 

2. Pur riconoscendo di non essere stato inviato a battezzare, ma a predicare il vangelo (1Cor 1,17), l'Apostolo offre tanti spunti di riflessione sulla grazia operante nel battesimo (Rm 61-11), nella confermazione cioè nella vita generata dallo Spirito (Rm 8,1-27), nell'eucaristia (1Cor 11,17-34), nel matrimonio (Ef 5,21-33), nell'ordine (1Tm 3-4) e nella riconciliazione (2Cor 5,11-21). I suoi inni sono un'espressione matura della preghiera ecclesiale del suo tempo. Paolo abbina catechesi e liturgia, insegnamento e presenza, introduzione e vita spirituale, per una stretta cooperazione tra natura e grazia, singolo e comunità. Il suo peso quotidiano è la preoccupazione di tutte le chiese (2Cor 11,28), nella consapevolezza però che la chiesa è mistero e non costruzione umana. L'efficacia dell'azione di Dio in Cristo passa attraverso il vangelo, termine che ricorre ben 52 volte nel linguaggio paolino, e la partecipazione alla pasqua, principio della grazia (termine che ricorre ben 100 volte nelle lettere dell'Apostolo).

 

Il catechista non può ignorare il rapporto coessenziale e interdipendente fra catechesi, celebrazione e testimonianza.

 

3. L'Apostolo inserisce l'annuncio del vangelo tra i ministeri fondamentali della comunità: apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri, (Ef 4,11). Solo così si può arrivare all'unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, favorire la collaborazione secondo l'energia spirituale di ogni realtà e costruire il corpo di Cristo nella carità (Ef 4,11-16). L'amore è il 'cemento' di ogni servizio nella chiesa e di ogni pastorale integrata. Per questo l'Apostolo esprime spesso nelle lettere l'affetto e la gioia per quanti collaborano con lui per il vangelo.

 

Il ministero del catechista è parte integrante, ma parziale della chiesa, la quale è sempre più grande di ogni sua pur valida espressione. Nella vita ecclesiale l'importante non è ciò che si fa, ma il grado d'amore con il quale si accoglie la misericordia di Dio per noi e si svolge il proprio dovere per il bene comune. Porre il Signore a fondamento della fraternità dà stabilità alla comunione ben oltre i fragili rapporti di simpatia umana e le esigenze organizzative. L'unità è la condizione di una nuova evangelizzazione.

 

 

'Forti nel Signore'

 

Dire che «Gesù è il mio Signore» significa ricevere un potente baluardo contro le potenze del male, dentro di noi e fuori di noi. Scegliere Gesù come ragione della propria vita sostituisce alla paura e alla logica del dovere il 'di più' che viene dallo Spirito del Risorto. E così, «radicati e fondati nella carità» (Ef 3,17), i redenti costruiscono un mondo riconciliato, dove la legge nuova dell'amore non consiste nel fare agli altri ciò che gli altri fanno a noi, ma nel fare agli altri ciò che Dio fa a noi (Col 3,12-15). L'amore vicendevole è la soluzione universale dei problemi, perché «non fa nessun male al prossimo» ed è l'unico debito che ogni cristiano ha con tutti. Assimilare i sentimenti di Cristo porta a non vivere più 'di sé' e 'per sé', ma 'del' Signore e 'per' il Signore, con nuovi frutti: glorificare Dio nel proprio corpo, tendere alla santificazione, comportarsi onestamente, essere di esempio.

L'opera del catechista non è riservata alle 'mura' ecclesiali, ma contribuisce a costruire il regno di Dio che è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. Dedicarsi a questo è motivo di gradimento al Signore e di stima da parte degli uomini.

 

L'Apostolo esorta: «Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo!»(1Cor 11,1), fino al martirio. In un mondo in cui «la menzogna è potente e la verità si paga con la sofferenza», il nuovo anno catechistico va affrontato con alcune 'perle' della pedagogia paolina: «So a chi ho dato fiducia» (2Tm 1,12); «Combatti la buona battaglia della fede» (1Cor 6,12); «Tutto posso in colui che mi dà forza» (Fil 4,13); «Soffri anche tu con me per il vangelo» (2Tm 1,8); «Tutto si compia nel nome del Signore» (Col 3,17); «È Dio che fa crescere» (1Cor 3,7); «State lieti e pregate di continuo» (1Ts 5,16-17). Ora si capisce l'affermazione di san Giovanni Crisostomo: «Cor Pauli cor Christi». È in virtù dell'amore che Paolo è diventato quello che è stato. Si tratta di fare proprio l'amore di Paolo: su queste basi sarà più facile donarsi per trasmettere l'identità cristiana.

 

Fonte: La Settimana n° 31/2008

 

Bibliografia

 

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Beedetto XVI, Discorso 28 agosto 2008, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura.

 

 

 

Luigi Guglielmoni

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