Un decesso su quattro, tra i 14-30enni, è dovuto in Europa al consumo di alcolici. Più che il radicale “proibizionismo” occorre delineare un'efficace strategia educativa che sappia intervenire sui veri bisogni dei giovani. Un “decalogo” per i giovani “alcolisti”.
del 14 luglio 2006
Si avvicina l’estate e monta il fenomeno della “bisboccia” collettiva dei giovani… e di noi adulti! Se ne parla da decenni, eppure aumentano enoteche e birrerie, bevande sofisticate e feste rave! Marcata è anche l’aggressività delle case produttrici per conquistare fasce di mercato (con nuovi prodotti seduttivi e campagne pubblicitarie che abbinano l’alcol ai modelli di vita desiderati). Approfittiamo allora dell’estate per iniziare un lavoro sugli stili di vita di giovani e adulti insieme, che coinvolga con coraggio le nostre comunità (indagini, catechesi mirate con film e testimonianze, controllo nell’uso di bevande in sagre, incontri, ritiri, vacanze, campi ecc.).
Prendiamo atto che l’alcol è vissuto oggi come elemento piacevole, normalmente presente nei momenti di incontro e di svago. Eppure un decesso su quattro, tra i 14-30enni, è dovuto in Europa al consumo di alcolici. Circa 60 mila i morti all’anno a causa di incidenti automobilistici, avvelenamento, suicidi e omicidi. In Italia i decessi alcol-correlati sono 30 mila; per incidenti stradali abbiamo 6-9 mila morti e 300 mila feriti all’anno, 150 mila ricoveri, 27 mld di euro spesi per cure.
           
 
Giovani “alcol-dipendenti”
 
L’approccio all’alcol sta diventando poi sempre più precoce: per desiderio di appartenenza al gruppo o ricerca di sostegno, per affrontare situazioni di difficoltà o vincere la noia, per piacere o per favorire la socializzazione. Frequente è l’abuso contemporaneo di alcol e di altre sostanze psicoattive, legali e illegali. L’imitazione dello stile del bere nord-europeo (non a tavola, nel dopo pasto serale e nel fine settimana) si aggiunge alle abitudini latine, compresa la diffusione degli aperitivi.
Il vino rimane la bevanda più diffusa (dal 57% del 1998 al 57,6% del 2005), seguito dalla birra (47% stabile) e dagli altri alcolici (dal 39,5% nel 1998 al 43% nel 2005). Il primo bicchiere si consuma a 11-12 anni (media europea: 14 anni e mezzo). Nel 2005 gli 11-15enni che hanno bevuto almeno una volta negli ultimi 12 mesi sono il 19,5% (e sono sotto i 16 anni, età prevista dalla legge per la somministrazione di alcolici!). Tra i 14-16enni il 51,6% dei ragazzi e il 41,6% delle ragazze consuma bevande alcoliche; tra i 16-17enni uno su due le consuma nell’anno: l’8% dei maschi tutti i giorni, il 4,7% beve fuori pasto almeno una volta a settimana.
In questa situazione vanno comunque ricordati gli sforzi preziosi degli Alcolisti Anonimi, la diffusione dei Club di alcolisti in trattamento (con forte impulso di Hudolin e della sua scuola, Aicat) e il lavoro di molte associazioni, che hanno consentito il varo della prima legge sull’alcol e la creazione di servizi pubblici (unità di alcologia all’interno dei Ser.T. o dei reparti ospedalieri).
L“alcolismo” è patologia complessa con cause fisiche, psichiche e socio-culturali, che si manifesta con il passaggio da un bere normale a uno problematico fino alla dipendenza. Per molto tempo considerato un vizio, scelta volontaria di comportamenti di individui degenerati, grazie alle neuro-scienze è oggi considerato come condizione fuori del controllo volontario del soggetto. L’alcol etilico (etanolo) manifesta i suoi effetti soprattutto a livello del sistema nervoso centrale, con alterazione delle funzioni cerebrali e psichiche. Le modificazioni biochimiche sono responsabili degli effetti psico-attivi (riduzione dell’ansia, sedazione, disinibizione, gratificazione), effetti percepiti sotto forma di sensazioni di piacere, tranquillità, coraggio, sicurezza, euforia. Alcuni ipotizzano che le sostanze d’abuso veicolano nel cervello un falso segnale, così che la ricerca della sostanza divenga essenziale e sostituisca i bisogni primari della persona.               
Le conseguenze dell’eccesso acuto producono traumi (incidenti, ferite), violenze sessuali, omicidi o suicidi, coma etilico, disturbi psichici (psicosi, crisi d’ansia, depressioni), difficoltà sociali e affettive, scolastiche e lavorative. Oltre ai pesanti disturbi fisici, viene minata l’intera personalità dell’alcolista. Fra i primi a essere compromessi sono i rapporti familiari. Dal bere in compagnia nelle situazioni di incontro (social drinking) si instaura spesso il bere solitario (lonely drinking). Più che per il piacere, si beve per bisogno: l’alcol controlla la persona come fa un padrone feroce verso uno schiavo.
 
 
L’alcol, “facilitatore relazionale”
 
Emerge il legame tra alcol e convivialità: esso è un facilitatore relazionale. Perciò oltre il 98% dei giovani tra 18 e 29 anni dichiara di bere solo quando è in compagnia. Da qui occorre partire per affrontare l’abuso, non cadendo nella logica di un neo-proibizionismo che applica agli alcolici il clima di “tolleranza zero” della lotta al fumo, ma promovendo modelli di consumo capaci di unire moderazione e attenzione alla qualità, elementi tipici della moderna cultura eno-gastronomica.
Se il bere eccessivo è connesso con occasioni speciali collegate al ciclo sociale, l’ubriachezza è anche “rito di passaggio” nel mondo adulto. Se bere rientra nei comportamenti a rischio alla ricerca di sensazioni forti, alla sfida di se stessi e dei propri limiti, la trasgressione colma il “vuoto” lasciato dalle proprie paure, dividendo le attività del giorno e della notte: le prime legate al dovere e al rispetto delle regole; le seconde volte al piacere e al rischio che purtroppo si può tradurre in violenza e morte. Comunque, i dati ci dicono anche che i giovani sono consapevoli di quanto le abitudini di vita incidano sulla buona salute, ed è elevata la quota di essi che praticano attività sportive e di fitness: quindi, si può lavorare sul questo primato della soggettività, che richiede proprio un buono stato di salute psicofisica per garantire l’autonomia individuale, necessaria alle proprie relazioni e funzioni sociali. Occorre promuovere lo stare insieme sano, sottolineando come i comportamenti nocivi siano una minaccia non solo per la società che ne sopporta i costi, ma per la persona che finisce col perdere quote di libertà. Cautela dunque nell’attivare meccanismi di ghettizzazione, che innescano reazioni di sfida e solidarietà impropria, in difesa di comportamenti autolesionisti (cf. episodi di cronaca recenti in cui la socialità dei giovani nelle piazze è stata affrontata come problema di ordine pubblico, provocando sindromi da accerchiamento e comportamenti trasgressivi).
Chi inizia a bere da adolescente ha molte più probabilità di diventare dipendente. I fattori di rischio sono l’età (meno sviluppato è il sistema che permette lo smaltimento dell’alcol), la predisposizione genetica (la percentuale di rischio di diventare alcolista è superiore se uno o entrambi i genitori sono alcol-dipendenti), la modalità della bevuta, le condizioni fisiche e psicologiche. Rispetto a quest’ultimo punto, i giovani che abusano mostrano bassa autostima, mancanza di controllo interno e poca responsabilità verso le proprie azioni. In questo delicato momento della loro vita, tendono poi a legarsi sempre più al gruppo dei pari come rete utile a mantenere e ad accrescere l’autostima (e qui si innesta il bere sociale). Su autostima e dinamiche di gruppo gli animatori e la comunità cristiana sono chiamati a un impegno più qualificato, con una specifica formazione rivolta a chi lavora a stretto contatto con gli adolescenti, per fornire consulenza e assistenza in caso di bisogno.
 
 
Decalogo per giovani “alcolisti”           
 
Può essere utile in questo senso meditare sul Decalogo dell’Istituto superiore di sanità.
1. I giovani per natura sono poco inclini al conformismo. È bene allora sfruttare questa sana predisposizione per osservare e smontare con loro la pubblicità sugli alcolici trasmesse dai media. Può essere un ottimo esempio per incrementare la capacità critica su ciò che la pubblicità promette e che poi, di fatto, non trova riscontro nella realtà quotidiana.
2. I ragazzi sempre più frequentemente bevono per superare difficoltà di relazione e assumere un ruolo all'interno del gruppo. Quando l'alcol acquista un valore comportamentale, ai genitori spetta un ruolo chiave: dare il buon esempio, creando un ambiente familiare in cui la presenza dell'alcol è visibile, ma discreta e il consumo moderato.
3. Parlare ai giovani, fin da quando sono bambini, dei danni e dei rischi legati all'alcol. Esordire con questo tipo di discorsi in età adolescenziale, quando tutto è soggetto a critica e frutto dell'“esagerazione” dei genitori, può anche essere controproducente.
4. Insegnare ai giovani che prima dei 15 anni l'apparato digerente non è ancora in grado di “smontare” l'alcol, perché il sistema enzimatico non è completamente sviluppato. Le ragazze inoltre, e in generale tutte le donne, sono in grado di eliminare la metà di una dose d'alcol che riesce a metabolizzare un uomo.
5. Sia le adolescenti che le donne adulte devono sapere che l'alcol nuoce al feto. Il nascituro non è dotato di sistemi enzimatici capaci di smaltire l'alcol. Sono sufficienti due bicchieri di bevanda alcolica al giorno per pregiudicare la salute del bambino e distruggere i neuroni di un cervello ancora in formazione.
6. Un preciso limite separa il consumo dall'abuso. È bene, dunque, preparare i giovani, informandoli su come le performances individuali cambino sotto l'influenza di un abuso alcolico. Anche una banale serata in pizzeria può trasformarsi in una situazione a rischio quando si deve tornare a casa in motorino.
7. Insegnare ai ragazzi a leggere le etichette e ad analizzare con loro le bottiglie e le lattine contenenti alcol da cui sono attirati per la forma, il colore e il sapore. Serve a far sentire “più complici” i genitori, ma al contempo è un’occasione per evidenziare particolari importanti, spesso trascurati, come, ad esempio, la gradazione alcolica.
8. Spiegare ai giovani che il nostro organismo richiede nel tempo quantità sempre maggiori di alcol per provare le stesse esperienze di piacere. L'obiettivo di sentirsi più disinvolti, loquaci ed euforici richiede quantità progressivamente crescenti. I bicchieri aumentano, si perde il controllo ma si diventa anche dipendenti dall'alcol.
9. Coinvolgere i figli nell'organizzazione di una festa o di un semplice incontro può essere l'occasione per dimostrare che ci si può divertire anche con le sole bevande analcoliche.
10. I genitori dovrebbero compiere un training lungo tutto il percorso di vita dei figli, orientandoli al consumo di bevande analcoliche (non solo a casa, ma anche al ristorante o in pizzeria), non favorendo un consumo precoce e dando sempre un esempio di moderazione.
  (Fonte: La Settimana)
Mario Chiaro
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