Decidere di credere

Parla il teologo protestante Peter L. Berger: «Nell'Europa secolarizzata credere significa prendere una decisione consapevole». Oggi professarsi cristiano significa compiere una vera e propria scelta. La fede non è più 'data per scontata'...

Decidere di credere

da Teologo Borèl

del 01 ottobre 2005

Senza volerlo, abbiamo seguito l'esortazione di Kierkegaard a farci contemporanei di Cristo. Secondo il teologo luterano - «sebbene con molte riserve», precisa - Peter L. Berger, direttore dell'Istituto di religione e affari mondiali dell'università di Boston, oggi professarsi cristiano significa compiere una vera e propria scelta. La fede non è più 'data per scontata'; secolarizzazione e concorrenza tra credi antichi e moderni hanno fatto sì che, ai nostri giorni, «l'individuo deve fare delle scelte - scrive Berger nel suo Questioni di fede. Una professione scettica del cristianesimo che Il Mulino porta da oggi in libreria (pagine 270, euro 15,00) - e anche se si definisce un ortodosso che aderisce a questa o quella tradizione lo fa in seguito a una scelta». Anche se questa riaffermazione non è più la stessa dei tempi del filosofo danese - che scriveva prima della modernità e del pluralismo, quando l'appartenenza a una Chiesa era davvero 'data per scontata' - «tuttavia, sebbene in maniera imprevista, siamo diventati contemporanei dei primi cristiani».

In che senso, professor Berger?

«Come nel tardo periodo greco-romano, anche il nostro tempo vive in un mondo caratterizzato da un vivace pluralismo, dove la fede cristiana è possibile solo come scelta deliberata. La disponibilità di una varietà di scelte religiose e di visioni del mondo ci riporta a una situazione simile a quella di san Paolo, che predicava nell'agorà di Atene dove una moltitudine di dei competevano tra loro»

E quali sono le conseguenze di questa «contemporaneità»?

«L'effetto principale è duplice. Da punto di vista dell'individuo, la religione diventa una questione di decisione consapevole. Da quello delle Chiese, ora è necessario adattarsi a un contesto competitivo».

Questo vale soltanto per gli Stati Uniti, dove in effetti si assiste a un pluralismo competitivo tra le diverse confessioni, o è applicabile anche all'Europa?

«Sia gli Stati Uniti sia l'Europa sperimentano la perdita della religio ne 'data per scontata'. Anzi, il fenomeno è perfino più esteso nel Vecchio continente, molto più secolarizzato degli Usa. Non c'è nulla in Europa che sia comparabile, per esempio, alla comunità protestante degli Stati Uniti, il movimento di massa evangelico conservatore che da solo raccoglie almeno cinquanta milioni di persone. Ci sono regioni, soprattutto negli Stati del Sud, dove una religione di questo tipo è ancora largamente 'data per scontata'».

Però al di qua dell'Atlantico sono rari i casi di più confessioni coesistenti su uno stesso territorio.

«Sì, ma questo non inficia l'osservazione generale. La differenza sta solo nel fatto che in Europa ciò che si sovrappone sono la tradizione religiosa ancora dominante - in Italia, per esempio, il cattolicesimo - e una pervadente secolarizzazione».

Tuttavia sembra che oggi la secolarizzazione sembra arretrare, e vediamo una ripresa del sentimento religioso e del bisogno di valori. Come si spiega questo fenomeno?

«C'è indubbiamente un (ancora assai moderato) ritorno della religione, sia nelle aree cattoliche dell'Europa sia in quelle protestanti. Non è facile individuare una spiegazione, credo che convergano fattori diversi. Certamente è diffusa la sensazione che il secolarismo abbia fallito nel dare risposta alle domande basilari della vita umana. Poi c'è la crescente sfida dell'islam, che forza a una riflessione intorno alle radici cristiane dei 'valori europei'. Anche l'influenza di Giovanni Paolo II è, probabilmente, un fattore di cui tener conto. Questo per quanto riguarda l'Europa: in America c'è assai meno bisogno di una rinascita, perché la religione è stata sempre massicciamente presente, in tutta la sua storia».

Accanto a questa ripresa, lei evidenzia il rischio che molte persone, tra sincretismi e New Age, finiscano per considerare Ges√π un mero maestro morale, mettendone tra parentesi gli attributi divini.

«Sì, in effetti ci sono anche credenti che considerano se stessi cristiani, ma che guardano a Ge sù come un semplice maestro morale. Ma nemmeno questo è un fenomeno del tutto nuovo. Lo si era già visto, per esempio, laddove la religione era parte integrante di una certa rispettabilità borghese».

Ma la complessità delle costruzioni teologiche cristiane parla ancora all'uomo di oggi?

«Naturalmente molta gente ha poca confidenza con i sistemi teologici. Ma in fondo è sempre stato così: il che, tra l'altro, spiega il successo delle semplificazioni teologiche di Ario tra i Germani o di Nestorio tra gli Indiani: più ci si allontana dal centro di elaborazione della teologia, più diventa difficile accostarsi alle sue complesse categorie».

Edoardo Castagna

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