Noi, quelli di Bresso (e del 2070). La grande marcia è cominciata alle sei del mattino. Già a quell'ora da Niguarda, da Sesto, da Monza convergevano i fedeli diretti a Bresso. Tanti i lombardi, che amano fare le cose in grande: portavano sulle spalle grossi zaini, e frigo da spiaggia, e seggiolini e borracce, come andassero in campeggio...
del 06 giugno 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
          La grande marcia è cominciata alle sei del mattino. Già a quell’ora da Niguarda, da Sesto, da Monza convergevano i fedeli diretti a Bresso. Tanti i lombardi, che amano fare le cose in grande: portavano sulle spalle grossi zaini, e frigo da spiaggia, e seggiolini e borracce, come andassero in campeggio in Valtellina. Qualcuno brandiva una mappa con il percorso, benché da Milano bastasse andare diritto per viale Suzzani per arrivare a destinazione. Quanti passeggini, e che armeggìo di biberon e di ciucci, e bandiere, e striscioni. Qualcuno s’era portato una tenda, qualcuno perfino gli scarponi da montagna – benché notoriamente Bresso sia piatta come un biliardo. Comunque commuoveva, quel popolo dell’alba che andava dal Papa. Senza clamori, silenzioso, semplicemente contento. Una folla che man mano andava accalcandosi fino a sfociare nella grande spianata dell’aeroporto; e allora, entrando, si guardavano fra di loro stupiti: «Ma guarda, quanti siamo!».           Già, quanti eravamo su quel pratone polveroso, sotto a un cielo che prometteva acqua. Guadagnavi il tuo fazzoletto d’erba, alzavi gli occhi e ti scoprivi attorno tante piccole tribù con un numero di figli almeno doppio rispetto all’1,3 nazionale. Stranieri e di altre regioni, anche, ma quanti milanesi, e brianzoli. Come l’emergere di un popolo che normalmente non si vede, non compare sui giornali. Eppure, sono le facce che incontriamo tutti i giorni. Ma domenica a Bresso c’erano le famiglie, intere: padri, madri, nonni, figli. E in quell’essere insieme per andare dal Papa prendeva forma una ben riconoscibile identità; pacifica, ma forte. Un popolo cristiano ha colmato, l’altra mattina, Bresso; ed è stato come se uscisse dal cono d’ombra in cui abitualmente questa gente che non grida, non minaccia, non è radical e nemmeno chic, e crede in Gesù Cristo, è tenuta da molti media. E siccome ciò che non passa in tv oggi non esiste, la stessa folla entrando nel Parco Nord si meravigliava di essere, invece, così numerosa.
          Ma oltre questo contarsi, qualcosa di ben più grande saltava agli occhi e alle orecchie in mezzo a quel prato. Era il boato che ha accolto l’arrivo di Benedetto XVI, e la ressa attorno alla sua vettura, e le mani che protendevano bambini da benedire.           Era il calore dell’abbraccio al Papa, e l’ascoltarne poi muti, in un silenzio strano per una così gran folla, le parole. Era l’amore per il successore di Pietro; tenace, forte, e anzi quasi più forte in questi giorni di veleni e di corvi. Di modo che non si poteva, a Bresso, non registrare una strana distonia: la Chiesa, che su alcuni giornali è raccontata solo come un covo di potere dilaniato da una lotta intestina, lì mostrava il volto di centinaia migliaia di facce di madri, padri, nonni, di parroci, di bambini raccolti attorno al Papa e ai vescovi. Ed era allora una evidenza che la Chiesa è, certo, anche i peccati dei suoi, eppure insieme qualcosa di assolutamente più grande; di straordinario e misterioso.            «L’opinione mediatica italiana non è l’opinione pubblica: il popolo di Dio ama il Papa», ha detto ieri il cardinale Scola ai giornalisti. Vero. Bastava camminare fra la gente, all’alba. Così che te ne andavi da Bresso, pensando fra te a quel popolo tenace nell’amare la Chiesa, comunque; nel credere in un Dio morto in Croce e risuscitato, nel seguirlo, nello sposarsi nel suo nome e avere figli – con una speranza che molti invece hanno perduto. Così che te ne andavi, alla fine, rassicurata anche circa questo Paese, che a volte ti spaventa: c’è, nel fondo dell’Italia, quasi nell’ombra, questa memoria silenziosa e forte, che tiene. Guardavi uscire i bambini addormentati nei passeggini, nell’abbandono fiducioso che è il sonno nell’infanzia. Chissà? ti domandavi indugiando lo sguardo su quelle facce, su quelle piccole mani. Chissà, sorridevi fra te, se il Papa del 2070 non è qui in mezzo oggi, in braccio a sua madre. Chissà se un santo non era in cammino, piccolo, nell’alba di Bresso. Di certo, quanti futuri padri, madri, maestri, professori, operai, medici, religiosi: Chiesa che vive. Più grande del male che ciascuno di noi pure può fare, e di tutto ciò che se ne può raccontare. Qualcosa che non sta nei limiti stretti di quel che oggi intendiamo per 'ragione'; ma dentro a una ragione più ampia vive e continua, di padre in figlio, e poi di nuovo, ancora.
Marina Corradi
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