Dimissioni del Papa: ecco l'opinione di Ratzinger

Oggi Benedetto XVI è il solo faro dell'umanità in un frangente molto buio: speriamo che non ci abbandoni nella tempesta. Preghiamo che Dio ce lo conservi a lungo. Oggi papa Benedetto sembra veramente in forma, eppure si pone il problema della sua età e delle sue energie: “a volte sono preoccupato”...

Dimissioni del Papa: ecco l'opinione di Ratzinger

da Quaderni Cannibali

del 28 settembre 2011

 

Preghiamo Dio che ce lo conservi a lungo

          Per ora è una voce (un’ipotesi personale di Joseph Ratzinger) e spero che non diventi mai una notizia. Ma poiché circola nelle più importanti stanze del Vaticano merita molta attenzione. In breve: il Papa non scarta la possibilità di dimettersi allo scoccare dei suoi 85 anni, ovvero nell’aprile del prossimo anno. Che Ratzinger ritenga possibile questa scelta è noto almeno dal 2002, quando si dovette studiare l’eventualità con l’aggravarsi della malattia di Giovanni Paolo II.

          Ma Ratzinger è tornato sull’argomento anche da Papa. Nel libro intervista “Luce del mondo”, uscito nel 2010, interpellato dal giornalista Peter Seewald, ha dichiarato: “Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, psicologicamente e mentalmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto ed in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi”.

          Oggi papa Benedetto sembra veramente in forma, eppure si pone il problema della sua età e delle sue energie: “a volte sono preoccupato” ha confidato a Seewald “e mi chiedo se riuscirò a reggere il tutto anche solo dal punto di vista fisico”. Con l’enorme mole di lavoro che sta facendo per la Chiesa e l’immenso carico di responsabilità spirituale che porta, il Papa ha affermato nel 2010 di sentire tutto il peso dei suoi 83 anni: “confido nel fatto che il buon Dio mi dà la forza di cui ho bisogno per fare quello che è necessario. Però mi accorgo anche che le forze vanno diminuendo”.

Egli sa di essere “ai limiti dell’umanamente possibile a quell’età”.

          E’ in questo contesto che è nata in lui l’ipotesi (per ora solo un’ipotesi) di cogliere il passaggio degli 85 anni per passare la mano. Tuttavia lui stesso aveva dichiarato un problema morale. A Seewald infatti – che l’aveva interpellato durante la terribile tempesta legata allo scandalo della pedofilia – il papa aveva spiegato:

          “Quando il pericolo è grande non si può scappare. Ecco perché questo sicuramente non è il momento di dimettersi. E’ proprio in momenti come questo che bisogna resistere e superare la situazione difficile. Ci si può dimettere in un momento di serenità, o quando semplicemente non ce la si fa più. Ma non si può scappare proprio nel momento del pericolo e dire. ‘se ne occupi un altro’ ”.

          Oggi quella terribile tempesta, che Benedetto XVI ha definito “la peggiore persecuzione”, ormai sembra sia stata superata dalla Chiesa proprio grazie alla guida limpida e santa di questo pontefice che ha saputo chiedere perdono e insegnare umanità e umiltà (a Malta, un rappresentante delle vittime di abusi, Joseph Magro, dopo l’incontro col Santo Padre, ha dichiarato: “Il Papa ha pianto insieme a me, pur non avendo alcuna colpa per ciò che mi è accaduto”).

          Tuttavia il momento della Chiesa è sempre duro e c’è un accanimento particolare proprio nei confronti di questo pontefice. Il filosofo ebreo francese Bernard Henri Lévy ha denunciato che tutte le volte in cui si parla di Papa Ratzinger “la discussione è dominata da pregiudizi, da insincerità fino alla più completa disinformazione”. Quanto più si conosce questo uomo di Dio come un padre mite, sapiente, umano, tanto più sembra scatenarsi la corsa a demonizzarlo o umiliarlo. Basta scorrere le cronache delle ultime settimane: il 13 settembre c’è chi addirittura vuole trascinarlo davanti al tribunale dell’Aja con la surreale accusa di “crimini contro l’umanità”, intanto dalla Germania arrivavano voci ostili al viaggio pontificio, il 20 settembre Umberto Eco lancia la sua ridicola bocciatura del papa come teologo sostenendo che perfino “uno studente della scuola dell’obbligo” argomenterebbe meglio di lui.

          In questi giorni in Germania è stato accolto da varie manifestazioni ostili e secondo un sondaggio due terzi dei cattolici tedeschi (allo sbando per decenni di guida progressista della chiesa teutonica) hanno definito “per niente o poco importante” per sé la visita del Papa. Mentre cento parlamentari si sono assentati polemicamente quando lui doveva parlare al Bundestag. Tanta intolleranza e tanti pregiudizi risultano ancor più immotivati vista l’ammirazione generale che poi ha suscitato il discorso del Pontefice al parlamento tedesco (è sempre così: anche con il viaggio in Gran Bretagna i gelidi inglesi finirono con l’innamorarsi di questo Pontefice sapiente e umile).

          Giuliano Ferrara – che è uomo colto e consapevole – dopo il discorso al Bundestag ha manifestato il suo entusiasmo, ha pubblicato per intero il testo sul “Foglio”, ha aggiunto un suo filosofico commento dove si è definito “ratzingeriano” e – pur da non credente – è arrivato ad affermare: “Solo un Papa ci può salvare”.  Ferrara che negli ultimi tempi (secondo me sbagliando) temeva che il grande papa Ratzinger (“il nostro amato Papa”) si fosse impaurito (per le virulente reazioni) dopo il discorso di Ratisbona e che lo vedeva “immerso nelle acque della sola fede”, da dove il Pontefice “invitava a pregare e a espiare le colpe personali e della chiesa”, dedito alla ricostruzione interiore della fede dei cristiani, ha ritrovato colui che considera l’unico vero, grande leader dell’umanità in questo frangente storico:

          “nello splendido discorso tenuto al Bundestag, il Parlamento della sua patria” ha scritto Ferrara, “è riemerso in chiara, mite e fulgidissima luce – la luce dell’intelligenza e della ragione – quel formidabile professor Ratzinger che fu eletto alla guida della chiesa di Roma su una piattaforma di lotta intellettuale ed etica alla deriva relativista e nichilista dell’occidente moderno. Che solo un Papa può salvare. Benedetto ha sorpreso tutti. Niente afflato pastorale minimalista, niente catechesi ordinaria, e invece un energico, nitido e straordinario richiamo alla sostanza di ciò che è politico, pubblico, e alla questione filosofico-giuridica di come si possa fare la cosa giusta, condurre una vita giusta, reggere governi e stati giusti, fare leggi giuste in un mondo che non dipende più dalla tradizione, dall’autorevolezza intrinseca della fede, ma dalla democrazia maggioritaria”. 

          E’ stata – aggiunge Ferrara – “una grande lezione filosofica, storica e teologica sui fondamenti, anzi sulla fondazione politica, della nostra cultura e della nostra idea di libertà, di umanità, di natura e di ragione. I giganti usano parole semplici e concetti alla portata di tutti, non sono esoterici, parlano al centro forte e realista dell’intelligenza umana. E così ha fatto il Papa (…). Non è un discorso intercettabile dalle polemiche e dai sofismi. Se siamo liberi, se siamo in un mondo laico, se siamo padroni del nostro destino è perché siamo cristiani.  Il cristianesimo non ha imposto come legge la Rivelazione, non è la sharia, non è uno spazio mitico per litigiosi dei. Alla base dei diritti umani, delle conquiste dell’Illuminismo, dell’idea stessa moderna di coscienza, sta la scelta cristiana e cattolica in favore del diritto di natura e della legge di ragione”.

          Ferrara lo spiega benissimo. Ma è davanti agli occhi di tutti la grandezza e l’umiltà di quest’uomo di Dio, che voleva lavorare per il Regno di Dio con lo studio e i libri, che non voleva essere nominato vescovo, né prefetto dell’ex S. Uffizio, che da lì aveva provato due volte a dimettersi e che – mentre lo stavano eleggendo Papa, nella Sistina – pregava così: “Signore, non farmi questo”. Il popolo cristiano – come mostrano i due milioni di giovani accorsi a Madrid in agosto – sa che questo Papa arriva al cuore e all’intelligenza come nessun altro e le menti più limpide della cultura laica sanno che oggi Benedetto XVI è il solo faro dell’umanità in un frangente molto buio. Tutti speriamo che non ci abbandoni nella tempesta, che non lasci mai il suo ministero di padre di tutti.

          Perché non tutti i papi sono uguali. San Vincenzo di Lérins diceva che “Dio alcuni papi li dona, altri li tollera, altri ancora li infligge”. Benedetto XVI è un dono a cui non possiamo rinunciare.

 

Le ragioni della sua sofferenza e ciò che bisogna fare

          E’ stato un po’ comico. A “smentire” le voci che ho riferito nel mio articolo di domenica – secondo cui Benedetto XVI non scarta l’idea delle dimissioni allo scoccare dei suoi 85 anni – non è stato l’interessato (l’unico, in realtà, che avrebbe potuto smentire, rassicurandoci tutti). Ma certi vaticanisti, del tutto ignari delle intenzioni del Papa, però tanto scottati dal “buco” che hanno preso (come si dice in gergo giornalistico) da reagire con stizza.

          L’unico che aveva titoli per parlare era padre Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, che ovviamente non poteva certo confermare la voce che avevo riportato: quella del papa per adesso è solo una sua ipotesi di lavoro, se venisse ufficializzata sarebbe già come dare le dimissioni, significherebbe scatenare un terremoto. Tuttavia, serio e leale com’è, padre Lombardi ha dato una risposta che in realtà lascia aperte tutte le ipotesi: “Se lo dice Socci bisogna chiedere a lui dove ha preso queste informazioni… Quello che sappiamo tutti – ha aggiunto – è ciò che il Papa stesso ha scritto nel libro-intervista ‘Luce del mondo’. Non ho altre informazioni”.

          E infatti nel mio articolo si citavano proprio le cose che Ratzinger diceva in quel libro per spiegare le ragioni delle dimissioni di un papa. Del resto il fratello del Pontefice, don Georg Ratzinger, in un’intervista di pochi giorni fa a un sito internet inglese, ha dichiarato che le dimissioni rientrano nel novero delle possibilità considerate dal suo fratello Papa, qualora si presentino le circostanze. Ed è noto che il Pontefice ha un rapporto di grande confidenza col fratello.

           Si è creduto di “smentire” l’ipotesi papale delle dimissioni perché Benedetto XVI ha chiesto ai fedeli preghiere per svolgere il suo ministero, ma questa è tutt’altro che una smentita. Si è infine indicato il vigore mostrato nei giorni della visita in Germania come se questo bastasse a cancellare ciò che il Santo Padre ha dichiarato a Peter Seewald, quando ha detto di accorgersi che “le forze vanno diminuendo”, perché 83 anni pesano (ed era il 2010). Io penso e spero in realtà che Benedetto XVI possa essere uno di quei pontefici che si credevano di transizione, per l’età avanzata, e che invece hanno governato a lungo e meravigliosamente la Chiesa. Come Leone XIII.

          Dunque tutti speriamo che il vigore da lui dimostrato nelle recenti visite in Spagna e Germania – dove ha letteralmente fatto innamorare la gente (come accadde in Inghilterra) – sia un ottimo segno. Ma la sua “stanchezza” – per quanto siamo riusciti a sapere – attualmente non ha motivazioni fisiche (in questo il suo affidamento a Dio sembra per lui una fonte di energia). No, la “stanchezza” deriva piuttosto dalle amarezze e dalle sofferenze che gli provocano coloro che più di tutti dovrebbero seguirlo, obbedirgli e aiutarlo. E questo tipo di stress, in un uomo sensibile e buono com’è papa Benedetto, è peggiore dello stress fisico.

          Certo, il mondo clericale è, per sua natura, sempre prodigo di ossequi verso il regnante pontefice, salvo disobbedire subito dopo o talvolta addirittura remare contro. E’ stato proprio questo Papa a denunciare il “clericalismo” come una peste della Chiesa. Più di una volta su queste colonne ho segnalato come Benedetto XVI, un Papa straordinario per tempi straordinari, un Papa sempre più amato dalla gente comune, mano a mano che impara a conoscerlo, risulti poi snobbato e boicottato da tanto mondo ecclesiastico. Il Papa non è stato seguito e anzi è stato boicottato nella sua fondamentale e storica riforma liturgica, sia quando ha firmato il Motu proprio sull’antico messale, sia quando esorta al ritorno alla tradizione nelle celebrazioni ordinarie.

          Il Papa non sembra sia stato seguito davvero, fino in fondo, nel suo appassionato appello alla purificazione della Chiesa e all’umiltà dopo lo scandalo della pedofilia (quasi con fastidio molti hanno subito la sua accorata insistenza). Il Papa non viene affatto seguito in quella che ha indicato come la sua preoccupazione maggiore, cioè la difesa della storicità dell’avvenimento cristiano: i suoi due libri sui Vangeli sono stati declassati a omiletica e nei seminari e nelle università clericali si continuano a insegnare cose che sanno di vecchio razionalismo.

          Nella Chiesa e nel mondo cattolico nessuno sembra davvero riprendere e valorizzare i grandi discorsi del Papa, come quello recente al Bundestag o quello di Ratisbona. Né le sue encicliche. Infine non si segue il Papa nel suo appello a tornare alla fede, come l’unico vero tesoro della Chiesa, tornare all’essenzialità della vita e alla testimonianza cristiana.

          Le incrostazioni di potere, l’attaccamento a beni economici e mondani non pare cosa rara, mentre la passione per Gesù Cristo, perché tutti gli uomini possano incontrarlo e lasciarsi amare, non è così diffusa nel mondo ecclesiastico. C’è semmai, spesso, la sudditanza culturale alle mode e alle ideologie dominanti. E’ stato il papa stesso, domenica, con un altro memorabile discorso, a spiegare la ragione della sua stanchezza, che potrebbe portarlo alle dimissioni: la mondanizzazione della Chiesa. 

          I suoi sono stati accenti da vero profeta. Ha denunciato: “A causa delle pretese e dei condizionamenti del mondo la testimonianza viene ripetutamente offuscata”. Invece la Chiesa “per compiere la sua missione” e “per corrispondere al suo vero compito, deve sempre di nuovo fare lo sforzo di distaccarsi dalla mondanità del mondo. Con ciò essa segue le parole di Gesù… In un certo senso, la storia viene in aiuto alla Chiesa attraverso le diverse epoche di secolarizzazione, che hanno contribuito in modo essenziale alla sua purificazione e riforma interiore”.

          Sì, avete letto bene. Il Papa sembra addirittura giudicare provvidenziali certe “persecuzioni” laiche moderne: “Le secolarizzazioni infatti – fossero esse l’espropriazione di beni della Chiesa o la cancellazione di privilegi o cose simili – significarono ogni volta una profonda liberazione della Chiesa da forme di mondanità: essa si spogliava, per così dire, della sua ricchezza terrena e tornava ad abbracciare pienamente la sua povertà terrena. Con ciò, la Chiesa condivideva il destino della tribù di Levi che, secondo l’affermazione dell’Antico Testamento, era la sola tribù in Israele che non possedeva un patrimonio terreno, ma, come parte di eredità, aveva preso in sorte esclusivamente Dio stesso, la sua parola e i suoi segni”.  

Questo è un Papa rivoluzionario e la sua è una grande rivoluzione evangelica.

          La stessa dei grandi santi: “Gli esempi storici” ha aggiunto “mostrano che la testimonianza missionaria di una Chiesa ‘demondanizzata’ emerge in modo più chiaro… La Chiesa si apre al mondo, non per ottenere l’adesione degli uomini per un’istituzione con le proprie pretese di potere, bensì per farli rientrare in se stessi e così condurli a colui del quale ogni persona può dire con Agostino: egli è più intimo a me di me stesso”. Infine: “Non si tratta qui di trovare una nuova tattica per rilanciare la Chiesa. Si tratta piuttosto di deporre tutto ciò che è soltanto tattica e di cercare la piena sincerità”.

          E’ “l’ora di togliere coraggiosamente ciò che vi è di mondano nella Chiesa”. E questo “non vuol dire ritirarsi dal mondo”. Al contrario vuol dire essere un vivissimo segno di carità, soprattutto per i sofferenti e l’umanità che cerca.

          Quella a cui chiama papa Benedetto è, per la Chiesa, la più grande delle riforme, l’unica vera: la conversione. Lo ha fatto finora con una formidabile passione evangelica, con sapienza e bontà. Se dovesse rendersi conto che ciononostante l’impresa si fa improba (per questo ha detto che l’avversario “è dentro” la Chiesa) arriverà a ripetere ciò che disse nella Sistina, mentre lo stavano votando: “Signore, disponi di persone più giovani”.

Le dimissioni per lui sarebbero un gesto di amore alla Chiesa e di umiltà. Ma per noi sarebbero una sciagura.

 

Antonio Socci

http://www.antoniosocci.com

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