Sui bus e nelle metropolitane di Londra è comparsa nelle scorse settimane la seguente scritta pubblicitaria: «There's probably no God. Now stop worrying and enjoy your life» ovvero «Probabilmente Dio non esiste. Dunque smettete di preoccuparvi e godetevi la vita».
del 09 novembre 2008
Due notizie provenienti dall’Inghilterra danno da pensare. La prima è che la municipalità di Oxford, la cittadella accademica più celebre del mondo, ha deciso di non chiamare più il Natale col suo nome, ma con quello più neutro di Festività Invernale della Luce. Con questa denominazione un po’ ridicola si vorrebbe evitare di urtare la suscettibilità di tutti quelli per cui andare in vacanza perché si festeggia la nascita di Gesù Cristo risulta fastidioso. Ed è singolare che coloro che più si sono lamentati di questa decisione siano i capi delle comunità ebraica e musulmana di Oxford; a loro risulta evidente che cancellare il Natale significa eliminare un pezzo dell’identità britannica, da loro stessi vissuta. Ma passiamo alla seconda notizia.
Sui bus e nelle metropolitane di Londra è comparsa nelle scorse settimane la seguente scritta pubblicitaria: «Probabilmente Dio non esiste. Dunque smettete di preoccuparvi e godetevi la vita».
L’iniziativa è partita da un blog del giornale progressista Guardian e, dicono gli organizzatori, ha avuto un successo clamoroso: si dovevano raccogliere cinquemila sterline per una piccola campagna pubblicitaria e ne sono arrivate oltre centodiciassettemila. Scopo del messaggio è quello di «rassicurare» chi si sente minacciato dal ritorno del fervore religioso. È chiaro, infatti, cosa i sostenitori dell’iniziativa (tra loro figura Richard Dawkins, diventato celebre per un libro sulle «ragioni per non credere») intendano per Dio: un nemico della vita. Coi suoi precetti e divieti, con la minaccia della punizione eterna, con le sue regole soffocanti questo simulacro di Dio appare evidentemente un ostacolo per la realizzazione dell’uomo. E quindi la constatazione che «probabilmente» non esiste fa tirare il fiato.
Ma siamo così sicuri che, senza Dio, noi possiamo «goderci la vita»? Come dovremmo fare? Occorrono un sacco di condizioni di non facile raggiungimento (e questo lo slogan ateistico tende a nasconderlo): bisogna avere la salute e un lavoro soddisfacente, disporre di un minimo di agiatezza economica, essere capaci di instaurare rapporti interpersonali ed affettivi appaganti. E poi è necessario che la situazione intorno a sé consenta di godersela, la vita. Se sei seduto sul bus (magari quello con la scritta ateistica sulla fiancata) e ti schiacciano un piede, tutto il tuo godimento se ne va.
E non basta. Siamo sicuri che uno possa tranquillamente godersi la vita quando legge quello che legge sui giornali? Le migliaia che fuggono dai loro villaggi in Congo o quelli che perdono il posto di lavoro perché la banca fallisce; i cristiani ammazzati in India e la bambina lapidata in Somalia.
Ci vorrebbe un po’ di giustizia perché questa vita sia davvero godibile. Ma anche guardando più da vicino: come farei a «non preoccuparmi» se una persona che mi è cara soffre, è scontenta, magari un pochino depressa?
Insomma «godersi la vita» è un affare complicato. Ma, soprattutto, cos’è questa vita che dovrei godermi? È la somma di salute, affetti, lavoro, soldi, circostanze più o meno favorevoli? È il susseguirsi di raggiungimenti parziali e sempre effimeri? Non c’è, invece, in ognuno l’urgenza di trovare qualcosa che dia consistenza e durata a tutti quei fattori? Non vive ognuno lo struggente bisogno di un «godimento» che non lasci fuori nulla e che sia permanente? Della felicità, insomma.
Questa esigenza non apre forse la prospettiva su un orizzonte infinito e misterioso, quello che gli uomini hanno sempre chiamato Dio? Limitare simile apertura non è un rimpicciolimento della persona, una sua riduzione a misure meschine, quelle facilmente gestibili da un potere prodigo di «godimenti»? L’uomo che è nato quel giorno di duemila anni ha detto che proprio per camminare verso la felicità ogni uomo è venuto al mondo e che la misura del suo desiderio è infinita. È per questo che gli amministratori di Oxford vogliono farci dimenticare il suo Natale?
 
 
 
 
Dio non c´è, spassatevela.
 
Su “la Repubblica” di qualche giorno fa c’è un articolo intitolato “Dio non c´è, spassatevela” in cui si riferisce di una campagna promozionale di atei inglesi che hanno raccolto fondi per affiggere manifesti sugli autobus con la scritta “There’s probably no God. Now stop worrying and enjoy your life”. Traduzione del giornalista Enrico Franceschini: ”Probabilmente Dio non esiste. Dunque smettete di preoccuparvi (sottinteso: dell’aldilà) e godetevi la vita (sottinteso: sulla terra)”. L’articolo concludeva con interviste di religiosi britannici che invece di scandalizzarsi ringraziavano dell’iniziativa che potrebbe avere il merito di suscitare discussione su temi teologici.
Le foto che accompagnano l’articolo sono l’autobus con la scritta e delle donne che ridono durante una manifestazione “anti pope”, come recita un cartello alle loro spalle. Nella seconda metà della pagina, quasi prendendo alla lettera l’invito alla spensieratezza, c’è la pubblicità del recital di successo “Mamma mia”.
È tempo di crisi e abbiamo voglia di leggerezza, di distrarci. L’appello degli atei londinesi è abile perché fa leva su un pregiudizio radicato in un periodo di sensibilità psicologica. È il pregiudizio che si sintetizza nella storiella di colui che preferisce andare all’inferno piuttosto che in paradiso perché c’è più “movimento”, donnine disponibili, piaceri succulenti.
I promotori sono apprezzabili per la sincerità: “Noi ateisti vogliamo un paese secolarista, un governo secolarista, una scuola secolarista”. Da noi invece si parla di laicità, società laica, scuola laica, stato laico, ma si intende atea e ateo. Quando qualcuno si presenta come laico vuol significare non credente. È giusto che chi abbia una visione della realtà voglia difenderla e diffonderla. Non sarebbe male se anche ai credenti fosse concesso questo privilegio. Devono invece essere neutrali, lasciare la fede a casa, diventare insipidi lasciando gli ideali nel privato. Quando un credente parla dicendo qualcosa che non piace si fischia il fallo usando un trucchetto semplice: quello che dici deriva dalla fede, la fede non può stare nel dibattito pubblico, devi tacere… o cambiare idea.
Quando ho letto la pubblicità inglese maliziosamente ho pensato che di quello slogan sarebbero contenti tutti i cattivi di questo mondo. Cosa fanno se non cercare di godersela alle spalle di altri (che importa)? Una sequenza di assassini, tiranni, pedofili, sadici, padroni sfruttatori, drogati e spacciatori, mafiosi , ladri… Dio non c’è, non devono rendere conto a nessuno. Non solo per il fatto che se ce la fanno a non essere arrestati non hanno in morte nessun ultimo giudice, ma proprio letteralmente nessuno li può giudicare, perché ogni scelta di vita non è giudicabile, in quanto la vita in generale non ha alcuno scopo, buono o cattivo che sia. Come ribadiscono goliardicamente e spensieratamente: siamo totalmente accidentali, nessun progetto su di noi. La vita è un incidente provvisorio, un fuocherello temporaneo che presto si spegnerà. Orsù, godiamocela. Le morali sono favole per tenerci buoni, perché il re possa godersela da solo e in santa pace. Siamo tutti re. Ma chi farà il suddito? Le macchine? Siamo davvero giunti in un epoca in cui è possibile per tutti fare il re? Chi pagherà il conto della nostra “spensieratezza”? Arrivano gli immigrati sul canotto, perché anche loro vogliono godere. C’è pappa per tutti? Quanto a noi siamo costretti a fare un compromesso. Dobbiamo comunque lavorare, però due giorni alla settimana e un mese all’anno possiamo divertirci, con i nostri risparmi possiamo andare alle Bahamas. Molta frustrazione per un po’ di gioia. Mettiamo i piedi per terra. Il sogno degli atei è come il film “Mamma mia”, una bella evasione di un paio d’ore.
E se fosse proprio Dio a rendere sopportabile per tanti una vita dura senza felicità? Se fosse il pensiero di Dio, che dice che la vita ha senso, ad aprire la possibilità di una gioiosa “pensieratezza”, non “s-pensieratezza”, quasi che il vivere con il pensiero (non erano razionalisti gli atei?) caricasse la vita di tristezza? La nostra coscienza è luce che brilla e fa brillare le cose del mondo. Se fosse il corpo di Dio (Gesù Cristo) ad affinare i sensi del nostro corpo (voglio leggere e assaporare “Almeno 5” di Erri de Luca)? Nella religione vedo sensualità, razionalità, poesia, coraggio, amicizia. L’ateismo consapevole rende il mondo triste e asciutto.
Il “Probabilmente” del titolo attenua la sfida, è certamente una furbizia strategica per abbassare le difese della gente, figurarsi che tra i finanziatori c’è l’evoluzionista ateo Richard Dawkins che è certissimo che Dio non esiste, altro che probabilmente. Tuttavia per quanto possa essere ipocrita quel probabilmente, esso lascia una porta aperta e può contribuire ad un approfondimento. Grazie atei che almeno voi pensate a Dio.
AA.VV.
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