Inizia un nuovo anno liturgico, e anche il consueto cammino verso il Natale. L’anno liturgico è un momento che tiene insieme l’inizio di qualcosa di nuovo insieme con una proposta che viviamo ogni anno. Ci insegna che le cose nuove che ci stanno davanti possono essere ben vissute solo se abbiamo il cuore ben rodato e formato da ciò che l’Avvento ogni anno ci fa vivere: un esercizio di speranza. Se il mio cuore non è esercitato nella speranza vivrò le cose che stanno davanti a me in modo molto diverso da chi ha il cuore arricchito di speranza. È diverso affrontare la vita con speranza piuttosto che senza grande speranza. È raro che uno ti dica che vive senza speranza: infatti ci buttiamo in molte cose e su molte persone sperando di ottenere tante belle cose. Poi magari diciamo che ci hanno deluso, e ci riproviamo con altri. E ammettiamo con tanta delusione che ciò che sembrava carico di speranza era sono una grande illusione (una fregatura): una amicizia che sembrava perfetta, un appuntamento, un tipo o una tipa interessante che si mostrava interessato, una esperienza. La domanda è: che cos’è la speranza e, già che ci siamo, cosa distingue una speranza da una illusione?
_________________________________________________________________________________________
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Ebrei (Eb 10, 5-10)
Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice:
«Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato.
Allora ho detto: “Ecco, io vengo
– poiché di me sta scritto nel rotolo del libro –
per fare, o Dio, la tua volontà”».
Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà». Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.
Le persone che guarivano da una malattia grave, che riuscivano a sfuggire da un pericolo, o quando le persone si sentivano “sporche” (impure) e avevano bisogno di chiedere perdono dei propri peccati, andavano al tempio, compravano un capretto, lo consegnavano ad un sacerdote del tempio e lui lo offriva in sacrificio a Dio.
Quando si fa così il pensiero è: Dio va tenuto buono. Gli offro qualcosa, un pensierino, una cosa a cui tengo. Se do qualcosa a Dio Lui darà un po’ ascolto alle mie preghiere e verrà incontro ai miei bisogni e desideri. Più la cosa che Gli offro è preziosa, rara, costosa…, più vale e più Dio mi darà un contraccambio di valore. Per cui, se ho richieste grosse in cui spero tanto, oppure ho fatto delle cose grosse per cui mi sento in colpa verso Dio e non so come sistemare le cose, devo pensare a un piccolo o grande sacrificio. Le nonne una volta ci insegnavano: fai un “fioretto”, rinuncia a qualcosa. Per fare contento Dio “devo” darGli qualcosa in cambio: gli faccio delle preghiere se è tanto che non prego, gli accendo delle candele mettendo i soldini nella cassetta se devo chiedergli delle attenzioni. Gli antichi arrivavano anche a sacrificare i figli e le figlie per avere i favori degli dei, o per allontanare i loro castighi: più la cosa vale, più dio mi sarà propizio o magari non mi punirà o non mi ostacolerà. Dio sta bene, è felice, ma purtroppo bisogna convincerlo a volerci bene e prendersi cura di noi, o magari a non farci del male. Dio, nonostante possa fare tutto (è onnipotente), non ci fa facilmente favori, non ci dà le cose che ci servono, e dobbiamo pregare e fare dei sacrifici per ottenere – se ci va bene – qualcosa da Lui.
Secondo la mentalità “antica” dunque il sangue di tori e capri poteva “eliminare i peccati”. Anche l’Antico Testamento approva questi gesti religiosi. La Lettera agli ebrei apre con una espressione sorprendente, che cita anche un salmo (40,6-8). Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato (Sal 40, 6-8). Nel salmo si dice appunto che Dio non ha gradito sacrificio, cioè l'immolazione di animali, né offerta, cioè l'offerta di farina o pane. Queste erano le due principali offerte che venivano fatte al Tempio di Gerusalemme a seconda delle occasioni. Usa parole misteriose, difficili da capire: invece di accettare doni di animali e farina, il Signore ha preparato un “corpo” per il Cristo. I profeti avevano infatti criticato tante volte i sacrifici perché erano vissuti spesso come gesti esteriori ai quali non corrispondeva un’autentica conversione del cuore. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato (v.6). Questa espressione è come la sintesi delle accuse che i profeti avevano fatto contro un culto solo “esteriore”, che pensa di ottenere il perdono solo con l'offerta di beni materiali, ma senza nessuna sincerità. Il “sacrificio” di Gesù supera tutti i “sacrifici” di questo tipo: inaugura un nuovo modo di porsi in relazione con il Signore. E quando noi cristiani parliamo di “sacrificio” (per esempio quando parliamo della Messa, diciamo che è un sacrificio) non intendiamo più niente di tutto questo. Anzi, usiamo questa parola con il significato esattamente opposto.
Nella Lettera agli Ebrei sono riportate le parole di un uomo che nel tempio dice a Dio: io so, Signore, che non sei contento del profumo dell’incenso e del fumo delle carni degli agnelli immolati sull’altare; ti faccio allora un’altra promessa: compirò sempre la tua volontà; questo so che ti è gradito (vv.5-7). Gesù non ha offerto nessun “sacrificio” materiale, ma ha detto a Dio Padre: “Ecco io vango per fare la tua volontà”. È così che ha posto fine alle offerte “antiche” (“antiche” non solo perché in quel modo le facevano gli antichi, greci o ebrei che siano, ma perché è il modo “vecchio” che Gesù ha corretto e ha inaugurato un sacrificio fatto in modo completamente diverso, “nuovo”: non noi diamo qualcosa a Dio perché Lui si convinca a prestare attenzione a noi, piuttosto è tutto il contrario: Dio si è dovuto impegnare per convincere il nostro cuore duro a fidarsi di Lui e deve “sacrificare” se stesso, ha messo la Sua vita nelle nostre mani e ha permesso che Gli facessimo di tutto, fino alla morte, purché noi ci potessimo fidare che da Lui non sarebbe venuta altra parola e altro gesto se non amore e perdono).
Quando celebriamo la Messa per esempio vediamo con grande chiarezza che non è Dio che ci chiede di fare sacrifici, di mettere il pane e il vino sull’altare, o magari qualcos’altro di più prezioso, non ci chiede il nostro sangue per saziare la sua collera, o farsi impietosire dalle nostre necessità e scucire qualche cosa che potrebbe avidamente trattenere, o diventare buono nei nostri: è Gesù che si offre in quel pane e quel vino, con l’offerta di tutto il suo Corpo, esposto a ogni forma di accoglienza e di rifiuto (anche la nostra indifferenza e la nostra cattiveria e ribellione) per dirci con un gesto, una volta per tutte, che ci ama e ci perdona sempre, costi quel che costi. Il Suo corpo ci è messo nelle mani, quando facciamo la comunione, come quando è stato deposto per noi, per la prima volta, nel grembo di Maria e poi nella culla di Betlemme: da quel momento per sempre
(Don Vincenzo Salerno)
Che Dio sto aspettando? Sono aperto alla sorpresa di un Dio che esce dai miei schemi oppure in me si annida l’immagine di un Dio da “tenere buono”?
Gesù si offre a noi completamente nell’Eucaristia di oggi…con che cuore lo accolgo in me?
Fotografia
©Riccardo Destro
Versione app: 3.26.4 (097816f)