Un'altra domanda che caratterizzava l'approccio di don Bosco ai giovani era: “Sei tranquillo in coscienza?” e cioè: sei in armonia con te stesso e con gli altri, Dio compreso? Perché don Bosco sapeva bene che il peccato è rifiuto di amore e quindi diminuzione, talora negazione di vita.
del 01 gennaio 2002
Pienezza
Un’altra parola greca per dire felicità è “makar” che, attraverso la radice “mak” si collega all’aggettivo “megas” che vuol dire grande. Chi è felice è dunque grande o, più esattamente, gode di una illimitata espansione di sé. Non perché ignori i limiti oggettivi, ma perché non li sente più come ostacoli insormontabili alla vita. Quanto lo circonda non è avvertito come ostile, proprio perché lui non si pone in posizione di sospetto nei confronti della realtà, intendendo per realtà gli avvenimenti e le persone.
La sensazione di felicità è contraddistinta dal sentimento di un perfetto accordo tra sé e l’universo circostante. Se riandiamo alle nostre personali esperienze forse troviamo ricordi che confermano questo aspetto: ci siamo sentiti felici in situazioni che ci hanno messo in armonia con la natura o con le persone, o con gli avvenimenti. È respiro profondo che abbiamo fatto era quasi un segno della percezione interiore di espansione e di accrescimento di vita: “ci sentivamo bene” e avremmo voluto perpetuare quel momento felice.
Coscienza
Un’altra domanda che caratterizzava l’approccio di don Bosco ai giovani era: “Sei tranquillo in coscienza?” e cioè: sei in armonia con te stesso e con gli altri, Dio compreso?
Perché don Bosco sapeva bene che il peccato è rifiuto di amore e quindi diminuzione, talora negazione di vita. Se insisteva tanto sul sacramento della riconciliazione era proprio perché non riusciva a tollerare che un ragazzo si facesse del male fino a quel punto; e perché credeva profondamente nel Dio della vita, Colui che è sempre disposto a reintegrare le energie di vita da noi sciupate.
È, questo, un aspetto messo in evidenza dal mondo orientale. Il buddismo più che di felicità parla di serenità intesa proprio come armonia dell’io con il tutto che lo circonda. Alcune persone, giovani compresi, abbracciano il buddismo proprio per questa promessa di armonia interiore, solidarietà col tutto, serenità e pace; beni questi che vanno perseguiti con esercizi di meditazione secondo le varie tecniche proposte da diverse scuole. Col rischio però, entro quella visione, di una perdita della identità, quando la armonia con il tutto diventa fusione con il tutto.
Per noi invece la percezione della corrispondenza fa il sé e il tutto non cancella la nostra identità ma, al contrario, la potenzia. L’io si percepisce come dilatato e prova una profonda armonia con tutto ciò che esiste; di qui il senso non solo di pienezza ma di pace. Noi siamo felici quando sperimentiamo questo tipo di pace che avvolge e permea tutto il nostro essere.
Questa sensazione di perfetto accordo può essere diversamente motivata, può dipendere da una felice disposizione del mondo intorno a noi ma può anche scaturire da un movimento interno, da una disposizione favorevole verso le cose che ci spinge ad andare loro incontro e insieme ad accoglierle quasi fossero un dono, per il fatto stesso che esistono.
Molto dipende dallo sguardo: da come guardiamo noi stessi e la realtà che ci circonda.
Di qui l’insistenza di don Bosco per l’ottimismo: che è, appunto, un modo particolare di vedere se stessi e le cose. Si tratta della classica mezza bottiglia ricolma, c’è chi vede la metà vuota e c’è chi vede la metà piena. La realtà è la stessa; cambia il modo di guardare. Don Bosco insisteva: guarda la realtà con positività, sii ottimista! Chi vede sempre e solo il mezzo vuoto sarà inquieto, scontento, sospettoso; mai sereno, mai felice. Per quante occasioni tu gli offra, la tendenza a privilegiare il negativo non gli farà mai vedere il positivo; così che perderà infinite occasioni di vita e di accrescimento nella vita. E’ una persona infelice!
Relazione
Il problema si complica se consideriamo che non ci sono solo gli avvenimenti, ma anche le persone; gli avvenimenti non hanno sentimenti, le persone sì; gli avvenimenti non hanno scelte libere, le persone sì; e il conflitto può scoppiare tra la mia espansione e la sua, minacciando la armonia, e dunque la serenità interiore e la felicità. Di qui la tentazione di abolire o di sottomettere la personalità degli altri per garantire la mia felicità.
Scrive il filosofo Salvatore Natoli:
“Perché vi sia felicità non è affatto necessario che la personalità degli altri venga abolita ma, al contrario, essa può essere mantenuta secondo un rapporto d reciprocità e di co-appartenenza. In questo caso risulta più che mai pregnante e altamente istruttiva la formula che Agostino ha inventato per indicare la relazione di amore: “Amo, volo ut vis”, “amo, voglio che tu esista”. L’espansione di sé comporta la inclusione dell’altro, non tanto per negarlo, quanto per approssimarlo. Il protendersi verso l’altro equivale al portare l’altro presso di sé, lasciandolo, però, essere nella sua alterità. Qualora la realtà dell'altro fosse tolta è come se si restasse a mani vuote o ci si svuotasse le mani; vi sarebbe miseria, non felicità”.
L’armonia con gli altri deve essere, dunque, voluta e costruita. Ne va della loro e della nostra felicità.
Comprendiamo l’insistenza di don Bosco sulla capacità di accoglienza e di riconoscimento dell’altro in quanto diverso, sulle relazioni amicali, sulla compagnia, sul cercare insieme il bene di tutti e di ciascuno.
Vogliamo verificare se stiamo creando o no le condizioni per la felicità? Proviamo a verificare le nostre relazioni…
don Giannantonio Bonato
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