Credo che annunciare il Vangelo, annunciare Gesù a chi ancora è pagano, a chi ancora non ne ha mai sentito parlare, porta con se una qualcosa di straordinario, forse perché più vicino a quanto hanno fatto gli Apostoli all'inizio, o forse perché si deve parlare più direttamente di Gesù o forse perché veramente si mettono in pratica quelle parole tanto discusse oggi che sono “la nuova evangelizzazione”...
del 02 maggio 2009
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Carissimi, un saluto dall'Etiopia.
Sono appena tornato da due bellissime settimane a Gambella, dove starò poi da fine giugno. Tutto proprio molte bene: i salesiani, la gente, il caldo e tante altre cose... da leggere.
Il minibus carico di circa 30 persone, dieci sacchi di fieno, quattro di farina, due pecore, dieci galline e un’infinità di valigie e borse, tutto naturalmente posto sul tetto, cominciava la lunga discesa che dall’altopiano etiopico, a ovest della capitale Addis Abeba, da Gore e da Bure, portava alle pianure di Gambella, un salto da 2000 a 500 metri.
A mano a mano che la strada scendeva, polverosa e piena di buche, la temperatura faceva sentire il suo calore, il paesaggio diventava più brullo e le facce di tutti nel bus cominciavano ad aspettare con ansia la fine della ripida discesa e l’arrivo a destinazione; infatti dopo ben otto ore di viaggio, solo per fare 150 km, alle tre di pomeriggio con 40°, eccomi finalmente a Gambella.
La prima impressione è che tutti qui ti osservano, ti guardano, sono uno dei pochi bianchi  a Gambella, una città di circa 45.000 abitanti e oltre alla Chiesa Cattolica, ai Salesiani, alle suore di Madre Teresa e di Sant’Anna e a qualche organizzazione umanitaria, che a dire il vero qui non resiste per molto tempo, non ci sono molti “Frenji”, stranieri come li chiamano qui.
 
La seconda impressione è forse di essere più in Sudan che in Etiopia, la maggioranza delle persone è di colore nero, provenienti dalle regioni del sud del Sudan, molti si sono rifugiati qui scappando dal regime militare che ha creato negli anni moltissime vittime, vedi nella zona ovest del Sudan il tristemente famoso Darfur.
Qui il confine dista solo un centinaio di km. Ed è proprio questa mescolanza di etnie, Nuer, Anuak, Etiopi dell’altopiano, Cambata, Como e altre a caratterizzare Gambella, oltre al clima torrido, naturalmente.
 
Incontro subito la comunità salesiana, Abba (che vuol dire Padre) Larcher, un trentino tutto di un pezzo, un uomo santo, il direttore, incaricato dell’oratorio e di tante altre cose, abba Thomas, proveniente dall’India, parroco della Chiesa principale della Prefettura Apostolica, abba Giorgio, sacerdote di Milano, parroco di Pugnido, una stazione missionaria a più di 100 km da Gambella, fratel Giancarlo, salesiano di Milano e fratel Endalkachio, salesiano etiope, incaricati della Scuola Tecnica, fratel Takle, salesiano etiopico che segua la scuola elementare e l’oratorio. Una bella comunità, serena, vivace e allegra.
 
Il giorno dopo incontro abba Angelo Moreschi, salesiano di Brescia, ora Vescovo della Prefettura Apostolica di Gambella. Una persona accogliente e cordiale, sempre pronto al lavoro per progettare e sviluppare sia la fede delle persone sia le strutture che servono per le esigenze minime per la sopravvivenza.
Penso prima di tutto che siano persone eroiche sia nel resistere al caldo, ma soprattutto a restare qui anche nel terribile anno di guerra tra le due tribù di maggioranza nel 2002-2003, che ha visto in pochi mesi circa 2000 morti, nell’indifferenza generale del mondo.
 
Con abba Angelo progettiamo una nuova stazione missionaria a Nyingnang, che in lingua Nuer vuol dire: “ho visto il coccodrillo”. E proprio il giorno di Pasqua andiamo ad incontrare la piccola comunità cattolica e a celebrare con loro la S. Messa.
Se Gambella in confronto al resto dell’Etiopia è un altro mondo, con le sue temperature elevate, la mescolanza di etnie, la maggior povertà e tante altre cose, Nyingnang è ancora un altro mondo rispetto a Gambella.
Facciamo i 120 km da Gambella a Nyingnang in tre ore, è il giorno di Pasqua e ad accoglierci c’è un gruppo di bambini all’entrata del villaggio al pozzo d’acqua, che gridano e salutano. Il villaggio è fatto solo di capanne, tutte piccole e rotonde, costruite con il fango, la paglia e il legno; abitano qui circa 8000 persone. In una capanna, per il momento diventata chiesa, ci aspetta la piccola comunità cattolica, con i suoi due catechisti e il maestro, un piccolo coro di giovani, due tamburi e una trentina di fedeli.
Hanno chiesto di avere più assistenza per la catechesi e la crescita della loro comunità e una struttura più grande per la chiesa, poi abba Angelo sta pensando anche ad un pozzo d’acqua, forse ad un asilo, visto il numero di bambini, un mulino, dato che qui vivono solo di grano, sorgo e allevamento.
Si parla insieme, si progetta, c’è anche il capo del villaggio, molto contento che appoggia il tutto e ci rassicura per la nostra incolumità. La settimana scorsa una persona del villaggio è morta in un incidente e per rappresaglia i Nuer hanno ucciso quattro persone di quella tribù, creando momenti di tensione e conflitto, ma ora sembra tutto risolto.
 
Poi iniziamo la S. Messa di Pasqua: piena di vita e di fede, con dei bei canti, con tanti bambini, ma anche con tante mosche e sempre con il traduttore. La lingua Nuer è di origine nilotica, totalmente diversa da quella etiope.
Il giorno di Pasqua di 160 anni fa don Bosco entrava per la prima volta sotto la tettoia Pinardi con i suoi ragazzi e anche oggi, nel giorno di Pasqua, iniziamo sempre più stabilmente la nostra presenza nel villaggio di Nyingnang. Chissà che anche questo possa essere un inizio, non solo di nuove strutture, ma di un cammino cristiano fatto insieme, tra noi e questa gente, soprattutto per i moltissimi ragazzi e giovani che vivono lì. Ecco il villaggio del mio apostolato.
Insieme a tanta fede ed entusiasmo ci sono anche le difficoltà: prima di tutto la lingua, molto difficile da imparare ed è per questo che ci si affida a dei traduttori; la strada: 120 km non sempre percorribili soprattutto quando inizia la stagione delle piogge, da giugno a ottobre perché gran parte dei terreni circostanti si allagano portando via dei pezzi di strada, per cui per molti mesi Nyingnang diventa irraggiungibile; i rapporti con il vicinato: avere un pezzo di terreno nel villaggio ha già portato a diversi disaccordi, speriamo lentamente appianabili; il caldo: veramente asfissiante, la temperatura non scende mai sotto i 25/30 gradi, neppure di notte e nei mesi più caldi supera talvolta anche i 50° durante il giorno; e forse altre difficoltà che scopriremo inseguito.
 
Ma credo che annunciare il Vangelo, annunciare Gesù a chi ancora è pagano, a chi ancora non ne ha mai sentito parlare, porta con se una qualcosa di straordinario, forse perché più vicino a quanto hanno fatto gli Apostoli all’inizio, o forse perché si deve parlare più direttamente di Gesù o forse perché veramente si mettono in pratica quelle parole tanto discusse oggi che sono “la nuova evangelizzazione”. Dall’altra parte la responsabilità della testimonianza e della trasmissione della fede è maggiore. Ecco perchè si deve stare proprio attaccati a Gesù, per essere solo la Sua Presenza, e dire solo la Sua Parola.
Un saluto e un ricordo per questo mese dedicato a Maria e una preghiera per la gente e missionari di Gambella.
 
A presto,
abba Filippo
 
 
don Filippo Perin
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