La Solennità di Tutti i Santi, che cade il 1° novembre, può essere un momento per riscoprire l'“incredibile privilegio” di essere chiamati ad imitare la Santità di Dio. Che cosa significa essere santi? Tiziana Campisi lo ha chiesto al predicatore della Casa Pontificia padre Raniero Cantalamessa...
del 01 novembre 2005
 
La Solennità di Tutti i Santi, che cade il 1° novembre, può essere un momento per riscoprire l’“incredibile privilegio” di essere chiamati ad imitare la Santità di Dio, afferma padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap, Predicatore della Casa Pontificia.
 
Questo il commento rilasciato dal frate francescano ai microfoni della “Radio Vaticana” alla vigilia della Solennità, in cui la liturgia della Chiesa è rivolta a celebrare il mistero della comunione dei santi e a fare memoria dei fedeli defunti.
 
“La vocazione alla santità non è una specializzazione riservata ad un’élite – ha chiarito da subito padre Cantalamessa –”, ma una chiamata universale, cioè che ci riguarda tutti, perché tutti siamo battezzati e siamo stati quindi santificati in radice da Cristo, ed essere santi nell’accezione più elementare significa essere membri del Corpo di Cristo”.
 
Poiché “siamo stati fatti come immagine e somiglianza di Dio” e poiché “Dio è Santo – ha aggiunto poi –, per essere immagine di Dio, cioè per essere noi stessi, per realizzare la nostra identità più profonda, il nostro destino, potremmo dire, dobbiamo essere santi”.
 
Di fronte alla tendenza, specialmente in passato, a “legare la santità ad alcune forme specifiche di essa”, padre Cantalamessa ha spiegato che “la Chiesa ha riscoperto e proclama con forza che essere santi significa prima di tutto essere veri uomini e vere donne, nell’ambiente in cui si è, nella professione in cui si è”.
 
“Quindi, forse la Festa dei Santi può essere una buona occasione per togliere da questa parola questo aspetto che incute soggezione e paura e vedere nella santità non un obbligo, un peso superiore alle nostre forze, ma un incredibile privilegio, perché significa essere chiamati ad ereditare il Padre celeste, essere come il Padre celeste”, ha poi auspicato.
 
“I Santi non sono poi così diversi da noi, perché spesso, leggendo le vite dei Santi, si mette in rilievo solo l’aspetto positivo, quindi sembra che siano nati già santi: allora, ci scoraggiano!”, ha continuato.
 
“Quando conosciamo da vicino la vita dei Santi, conosciamo che avevano le stesse tentazioni, lotte, alle volte anche cadute che abbiamo noi; ci sono stati perfino Santi nevrotici!, ma questo non ha impedito loro di farsi Santi!”, ha sottolineato.
 
Nell’illustrare il significato della comunione con i Santi, il frate cappuccino ha spiegato che essendo i Santi “membri del Corpo di Cristo, partecipano dello stesso Spirito di Cristo”, e quindi costituiscono “un vincolo (…) una comunione superiore a quella che c’è tra parenti, perché la parentela è formata dal fatto che in più persone scorre lo stesso sangue”.
 
“La comunione dei Santi è dovuta al fatto che in più persone scorre lo stesso Spirito, che è lo Spirito di Cristo. Questo comporta poi anche un aspetto pratico, nel senso che tra i Santi c’è una ‘comunione di beni’: come c’è nel matrimonio, la ‘comunione dei beni’, c’è nella grande famiglia di Dio, il che significa che noi sulla terra possiamo appropriarci di cose che i Santi hanno fatto”, ha quindi concluso.
 
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