Famiglia: luogo di morte o luogo di vita?

La famiglia rimane il luogo privilegiato dove si vive l'amore, e si impara ad amare. Genitori contenti di esserlo, coppie felici di stare insieme, sono la miglior risposta a un mondo, che ha abdicato ad educare i giovani e si accontenta solo di informare, non credendo più nell'amore.

Famiglia: luogo di morte o luogo di vita?

da L'autore

del 11 gennaio 2008

Siamo da capo: le morti drammatiche in famiglia – un elenco che si allunga ogni giorno sulle pagine dei giornali – mettono in dubbio il suo valore come spazio degli affetti; «Padri che uccidono a martellate o a fucilate, figli massacrati, donne straziate. Ma è questa la famiglia? Meglio allora non sposarsi!».

Nonostante queste tragedie che hanno origini lontane, misteriose, in vissuti personali molto sofferti, sento di ripetere con la Tradizione della Chiesa che la famiglia rimane il luogo privilegiato dove si vive l’amore, e si impara ad amare. Genitori contenti di esserlo, coppie felici di stare insieme, sono la miglior risposta a un mondo, che ha abdicato ad educare i giovani e si accontenta solo di informare, non credendo più nell’amore.

La famiglia è l’ambiente naturale dove i figli imparano ad amare, già dal ventre materno. Napoleone Bonaparte, che pure non condivido per quello che ha fatto, ha affermato una grande verità quando ha detto (o gli hanno fatto dire i biografi!) che l’educazione dei figli inizia prima ancora di nascere. Se c’è la famiglia, si può ben sperare per il futuro; se la famiglia è assente, i danni provocati dalla latitanza «colpevole» dei padri e delle madri, sono incalcolabili.

Pronti nel curare la salute dei figli, nel seguirli a scuola, i genitori sono spesso avari, gretti nel dare il proprio tempo per stare accanto a loro. Quando poi si trovano di fronte alle loro ribellioni o indifferenze, la lamentela è sempre la stessa: «Gli abbiamo dato tutto e lui...». Gli hanno dato tutto, tranne una piccola cosa essenziale, l’amore: «Anche in fondo al mare, sembra esistere tutto ciò che occorre perché noi possiamo vivere. Non ci manca che l’aria, disgraziatamente» (Cesbron) e l’aria è l’amore, è sentirsi di qualcuno, importanti per qualcuno, utili a qualcuno.

Dove i genitori mancano, i figli sono a disagio, stentano a cancellare dal volto la malinconia, che li intristisce e rende inutile il vivere. L’aggressività, contro gli altri e contro se stessi, nasce da questa tristezza, che si portano dentro, che li deprime e li porta a gesti inconsulti, a forme violente, che si manifestano fin dai primi anni, quando i bimbi sono confinati in un asilo nido, non all’altezza del compito, o affidati a badanti, non in grado di rispondere al bisogno di tenerezza e di affetto dei bimbi.

Ad amare si impara! Il primo gradino per crescere nell’amore è l’affetto della famiglia, essere amati da papà e mamma: «Allora io che non sono stato amato, non potrò mai amare?».

Ho tranquillizzato Gianfranco, un ragazzone di 17 anni, ricordandogli che esiste anche per lui, e per quelli come lui, «il tempo del recupero»: «A me è mancata la famiglia, il primo che mi ha voluto bene è stato il mio allenatore di calcio... Da lui ho appreso la bellezza dell’amicizia. “Ricordati” mi diceva, “che se tieni per te l’amore, lo perdi!”. Ho fatto fatica, mi sono fidato, oggi non sono più solo: ho trovato amici, una ragazza. Le ho detto: “Se ci mettiamo insieme, ai nostri figli non faremo mai mancare l’amore che a noi è mancato... ce lo siamo giurato!”» (Mino, anni 16).

I ragazzi cresciuti in famiglia sono dunque i più fortunati tra gli uomini? Certamente! Esiste tuttavia anche per loro il rischio di sbagliare e allontanarsi dall’amore testimoniato dai genitori in famiglia. In questo caso, la loro responsabilità sarebbe, senza dubbio, maggiore!

Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano

don Vittorio Chiari

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