Vi consigliamo di vedere questo film, per riflettere sulla famiglia e su...
del 27 aprile 2016
Matteo è un giovane e capace meccanico che sta per essere assunto a Maranello, mentre lavora con il padre Italo in officina e vive in famiglia con la madre Mariella e una sorellina saggia tutta pepe, Giulia, che ha anche la sindrome di Down. Quando una telefonata annuncia la morte di una persona in seguito ad un incidente stradale, il velo della trama si squarcia, rivelando un segreto che rimette in discussione tutta la famiglia. Insieme alla sorella Giulia – che non molla suo fratello –, Matteo partirà alla volta di una città di mare nelle Marche, per conoscere la colpa che ha sgretolato le sue certezze e finendo col trovare un futuro di redenzione per tutta la famiglia.
L’autore del soggetto cinematografico è Simone Riccioni (Matteo nel film), un ragazzo di 28 anni nato in Africa da genitori missionari laici; suo padre, anestesista, e sua madre, insegnante, dalle Marche si trasferirono in Uganda nel 1987 come volontari, per rientrare in Italia dieci anni dopo insieme a Simone e suo fratello naturale, nati ad Hoima, e altri due fratelli adottati in Uganda. Con una biografia così, Simone Riccioni avrebbe potuto scegliere come soggetto per il film la storia di una “famiglia perfetta”, come definiremmo la sua; invece, ha scelto una storia che parla della famiglia in modo realistico ma non cinico, ideale ma non idealistico, religioso senza essere bigotto, dolce e per niente patetico. Durante lo snodarsi della vicenda, come in un puzzle che tassello dopo tassello ricostruisce la “colpa” della famiglia, Matteo comprenderà che non esiste la famiglia perfetta, tuttavia, perfino dove c’è il peccato, si può sempre aspirare alla redenzione. Se i membri di una famiglia imparano a fare gruppo, se comprendono la differenza tra «vivere e saper vivere», se cessano di «autopunirsi senza perdonarsi mai», «se chiedono a Dio», diventa possibile “saltare” le situazioni più difficili, senza cedere alla facilità con la quale si distruggono tante famiglie. Il titolo “Come saltano i pesci” è chiaramente una metafora: per sfuggire da qualsiasi “predatore”, i membri di una famiglia devono fare banco come i pesci, muoversi insieme e in maniera coordinata, così sarà più facile “saltare i pericoli” e avrà un senso andare controcorrente.
Se sul grande e piccolo schermo, con sempre maggiore frequenza, il tema della famiglia è abbandonato all’ideologia secondo cui tutte le famiglie sarebbe scombinate e non esisterebbe un “modello di famiglia”, “Come saltano i pesci” prova a trasmettere un messaggio diverso. Nessuno sceglie la famiglia che ha, e spesso eventi esterni o inaspettati possono minare anche il nucleo familiare più felice, comunque «La vita è come il gioco delle carte: non possiamo scegliere quelle che ci toccano in sorte ma possiamo scegliere quali scartare». Il film è coraggioso perché non teme di presentare Dio come modello d’Amore a cui ogni famiglia, anche la più sgangherata, può sempre attingere perché – come si recita in una scena del film –: «La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine» (1Cor13).
Parlare di Dio in un film è coraggioso e certo non bisogna giustificarsi, soprattutto quando si fa in modo divertente e serio insieme, con un linguaggio contemporaneo (magari si poteva evitare qualche stereotipo di troppo, stile Moccia, nella raffigurazione della gioventù), narrando una storia credibile senza fare moralismi o sermoni. Una menzione particolare alla brava Maria Paola Rosini (Giulia), e a tutta la produzione per aver scelto una ragazza con la sindrome di Down per farla recitare, non per interpretare un film sulle “persone Down”, perché per integrare veramente è preferibile fare film con loro invece che su di loro.
Se non trovate più il film nelle sale si consiglia di guardarlo in DVD insieme ai giovani, come è accaduto in alcune diocesi delle Marche, la regione protagonista del film. Giova guardare una storia nella quale si racconta che andare in banco è preferibile a seguire il branco, per liberarsi da “predatori” e “reti” – come saltano i pesci.
di Claudia Mancini
tratto da: http://www.laporzione.it
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