Se Cristo è tutto, che cosa c'entra con la matematica?». La domanda può essere immediatamente sentita come ingenua, ma per quanto ingenua non attenua in chi l'ascolti con attenzione l'impressione profonda del problema che essa pone. Tutta la nostra fede è come collocata e sospesa a quella domanda...
del 19 marzo 2005
  Una sera d'inverno in seminario, dopo cena, Enrico Manfredini insieme ad un altro nostro compagno, De Ponti (prematuramente morto nove mesi prima di dire Messa, quando i suoi genitori contadini avevano già messo un nastrino al filare di frumento che avrebbe dovuto servire per fare l'ostia per la prima Messa e segnato con un altro nastrino il filare di vite che avrebbe dovuto dare il vino), mi viene vicino e mi dice: «Senti, se Cristo è tutto, che cosa c'entra con la matematica?». Non avevamo ancora 16 anni. Da quella domanda, per la mia vita nacque tutto. 
 
«Se Cristo è tutto, che cosa c'entra con la matematica?». La domanda può essere immediatamente sentita come ingenua, ma per quanto ingenua non attenua in chi l'ascolti con attenzione l'impressione profonda del problema che essa pone. Tutta la nostra fede è come collocata e sospesa a quella domanda. Il Verbo di Dio, ciò di cui tutto consiste, è diventato uomo; quell'uomo, di cui leggiamo nelle pagine commoventi del Vangelo di Giovanni, quell'uomo che Andrea e Giovanni seguivano. Con questo Cristo, del quale Giovanni e Andrea si accorsero per primi, realmente tutto c'entra. […]
 
Il contenuto dei dialoghi fra noi tre era tutto quanto dettato dal fervore che quella domanda aveva fatto nascere. E posso dire, ingenuamente, ma davanti al Signore, che fra quello che immaginavamo del nostro futuro e la realtà del futuro così come è avvenuto non riesco a vedere differenza. Per esempio, fra di noi si diceva: «Occorre che la Chiesa riviva, occorre che la realtà cristiana sia più consapevole (eravamo in terza ginnasio, ma la domanda poté nascere perché eravamo già a una certa profondità di amicizia); occorre che la Chiesa, per rivivere, crei delle comunità; tante comunità, che, legate l'una all'altra, trasformino la vita sociale, la forma della vita sociale, diano un nuovo assetto alla vita comune, rendano più umano il cammino dell'uomo su questa terra». Sono le stesse identiche cose che adesso cerco di ripensare e per cui cerco di vivere: la Chiesa resa presente da gente con cui parlare sul serio di Cristo, impostare la propria vita come verifica di questo, creare una trama di rapporti tra compagni lieta per questo.
 
Dobbiamo ammetterlo, se Dio è diventato uomo... Mi ricordo una volta sulla scala del seminario Manfredini mi disse: «Però, a pensare che Dio è diventato un uomo come noi...». Sospese la frase, che mi rimase impressa: «Che Dio sia diventato uomo è una cosa dell'altro mondo!». E io aggiunsi: «E una cosa dell'altro mondo che vive in questo mondo!», per cui questo mondo diventa diverso, più sopportabile. Diventa più bello. Infatti alla passione per Cristo, quella che immediatamente per così dire conseguì, quasi bruciando il terreno su cui dapprima fioriva, fu la passione per gli uomini, la passione per il destino degli uomini, la passione per il senso della vita che gli uomini non sanno, cui gli uomini non pensano. «Chissà -diceva, non dico piangendo, ma quasi - che cosa sarà di questi giovani che passano dagli oratori, chissà che cosa sarà della gente che va in chiesa, se non afferrano che ciò che riveriscono, ciò che pregano, ciò che pensano, rappresenta il significato di ciò che vivono, della giornata a cui ogni giorno aprono gli occhi! Se non pensano a questo, che vita conducono?».
 
 (Luigi Giussani, pubblicato su Repubblica il 25 agosto ’04)
don Luigi Giussani
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