Iniziamo dallo sguardo di Gesù che è uno sguardo “filiale”, del Figlio rivolto al Padre, ma è uno sguardo possibile solo perché è “spirituale”, cioè plasmato da quel vedere credente che è operazione dello Spirito, quel medesimo Spirito che plasma in noi la coscienza filiale che vede e crede. Come Gesù e con Gesù. È questa l'intuizione centrale del nostro testo. Esercizi Spirituali per Universitari. seconda parte
del 11 marzo 2009
Il brano si trova anche nella posizione centrale del Vangelo di Luca e del “grande viaggio” verso Gerusalemme (9,51-18,43) che l’evangelista pone al centro del suo itinerario narrativo. Nel viaggio verso il luogo dove si compie il volere del Padre, Gesù si presenta ripetutamente come “maestro di ricerca”. I destinatari sono i discepoli. Il viaggio sembra un grande “noviziato” nei confronti dei discepoli (dodici, discepoli, donne che lo seguono): essi stanno nel cerchio più interno, mentre la folla entra in una fase più problematica nel suo rapporto con Gesù. Ora, nella prima sezione del “viaggio” (9,51-13,21), la via indicata al discepolo è di essere un ricercatore del Regno.
Il testo che ho scelto è strutturato in un modo esemplare: un ammonimento + motivazione (22-23); due brani sullo sguardo di Gesù (24-28); un ammonimento + motivazione (29-30); la pointe della ricerca del Regno (31); la beatitudine finale (32)[1].
 
L’ammonimento di Gesù
22Poi disse ai discepoli: «Per questo io vi dico: Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete.
motivazione
23La vita vale pi√π del cibo e il corpo pi√π del vestito.
Lo sguardo di Gesù sulla  cura di Dio che nutre
24Guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno ripostiglio né granaio, e Dio li nutre. Quanto più degli uccelli voi valete! 25Chi di voi, per quanto si affanni, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? 26Se dunque non avete potere neanche per la più piccola cosa, perché vi affannate del resto?
Lo sguardo di Ges√π sulla cura di Dio che veste
27Guardate i gigli, come crescono: non filano, non tessono: eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 28Se dunque Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, quanto più voi, gente di poca fede?
L’ammonimento di Gesù
29Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia: 30di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo;
motivazione
ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno.
La ricerca del Regno sopra ogni cosa
31Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta.
La beatitudine
32Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno.
 
1.“La tua grazia vale più della vita”
 
Nello sguardo filiale di Gesù. Iniziamo dallo sguardo di Gesù che è uno sguardo “filiale”, del Figlio rivolto al Padre, ma è uno sguardo possibile solo perché è “spirituale”, cioè plasmato da quel vedere credente che è operazione dello Spirito, quel medesimo Spirito che plasma in noi la coscienza filiale che vede e crede. Come Gesù e con Gesù. È questa l’intuizione centrale del nostro testo. La storia concreta di Gesù è una storia filiale, anzi è la storia del Figlio, il mondo custodito dallo e nello sguardo di Cristo, è una visione “filiale”: sintesi stupenda di un vedere e di un ricevere, anzi di un vedere che riceve la forma dello sguardo dall’abban­dono filiale al Padre, dal mistero inenarrabile con cui Dio “lascia andare” e “lascia essere” nel mondo il Figlio, proprio come il Figlio suo. Il mistero di Dio ci viene incontro solo nello sguardo di Cristo che lo cerca in modo unico e apre lo spazio anche per i suoi discepoli perché lo cerchino in modo assoluto. Cercate piuttosto il Regno di Dio! Cercare Dio è cercare il suo Regno, la forma con cui ci viene incontro (il tempo è compiuto), la sovranità della sua presenza (il regno è vicino), la luce che guarisce le nostre ferite e rischiara le nostre tenebre (i miracoli e gli esorcismi), la comunione che abbatte i nostri muri (le beatitudini), la legge nuova scritta nel cuore (il discorso del monte), la prossimità ai piccoli e ai peccatori (la commensalità con i pubblicani e gli esclusi), la preghiera  della fiducia filiale (venga il tuo Regno!).
La vita è di più del cibo e del vestito… Gesù ora si fa maestro di ricerca. Ascoltiamolo: «Per questo io vi dico: Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito» (12,22-23).  La vita “è di più” del cibo e del vestito, dice letteralmente il testo. Tutto il segreto della ricerca è in questo “di più” della vita! E Gesù non prende a termine di paragone le cose superflue con cui stiamo ingolfando il nostro presente: no! si riferisce al cibo e al vestito, alla nutrizione e alla protezione, le due forme fondamentali della vita, iscritte nella carne dell’uomo, prima ancora che il bimbo possa sillabare il nome di chi ti cura (la mamma) e di chi te li procura (il papà). La vita è ricevuta e con essa i beni che ti aiutano a iscriverla nella coscienza come un dono. Eppure già la vita ricevuta corre il rischio di esser presto persa come vita donata e non solo procurata. Gesù sa, ma ogni bambino sa, che la vita è “di più” del cibo e del vestito con cui la mamma ti alimenta e ti protegge: eppure come è facile dimenticare che essa è dono e va accolta come donazione. Per questo essa è iscritta nel nostro corpo, per questo è iscritta nel mondo. Ma come è facile dimenticare. È necessario che Gesù, il figlio del Padre, la parola fatta bambino, porti alla parola ciò che ogni bambino sa: la vita è di più, vale di più! Nel gesto del dare la vita i genitori sanno che essi non procurano solo una vita fisica, ma devono dare quel “di più” per cui la vita possa valere. Ecco allora la musica del mondo, ecco i corvi che non seminano e non mietono, ecco i gigli del campo, ecco lo sguardo di Gesù! («guardate gli uccelli del cielo… guardate i gigli del campo…»). La vita vale di più se insegue quell’“altro” che è alluso nel dare la vita; è semplicemente persa se divora in modo vorace tutti i beni e divide le persone… per poter vivere. 
La tua grazia vale di più della vita. E che cos’è allora questo plusvalore della vita? Potrà essere conquistato aggiungendo sempre più cose al forse già troppo che abbiamo. Che cos’è questo “di più”? Ci viene in soccorso un testo dei salmi, sul cui spartito poi potremo riascoltare la musica di Gesù. Canta il salmo 63: «Poiché la tua grazia vale più della vita, le mie labbra diranno la tua lode». La vita vale di più perché è coronata dalla sua grazia! La vita vale di più del cibo e del vestito, perché la tenerezza di Dio, la sua cura amorosa, la sua grazia, è il di più che cerca la vita. Il contesto del salmo lo dice in modo struggente, pochi versetti prima, facendoci ascoltare il tema della ricerca: «O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’ac­qua» (63,2). La fame, la sete, la protezione del vestito accendono nel nostro corpo, fin dall’aurora della vita, la ricerca di Dio: di te ha sete l’anima mia, di quella sete che ci attanaglia durante l’estate aridissima. Ascoltiamo l’interminabile preghiera di Israele, la ricerca degli uomini che sale fin dal­l’aurora della storia: sì, Signore, dall’aurora ti cerco, di te ha sete la mia vita (anima, qui indica la vita che desidera…), io non lo so, lo dimentico sovente. La tua grazia, la tua cura, la tua tenerezza vale più della vita! Non perché la vita sia da disprezzare, ma perché la tua grazia è ciò per cui la vita vale di più, ciò che merita cercare fin dall’aurora, con lo stesso desiderio con cui l’assetato cerca l’acqua della sorgente, con la stessa fame con cui l’affamato attende un pane, con la stessa attesa con cui il bimbo torna a casa e s’abbandona nella braccia della madre. E allora sul pentagramma del salmo risuona la parola di Gesù, “il Figlio” che ci assicura: «il Padre vostro sa che ne avete bisogno». Per questo bisogna dimorare nello sguardo di Gesù, perché è sguardo filiale, è sguardo del bimbo che vede il volto del Padre e che sa che il Padre “nostro” conosce il nostro bisogno, e ce lo dona veramente con la grazia che vale più della vita! Bisogna ritornare come bambini per entrare nel Regno, occorre cercare fin dall’aurora, bisogna guardare con gli “occhi semplici” di Gesù. Guardate, io vi dico che il Padre conosce quel bene a cui il vostro bisogno anela da sempre.
 
2.      La cosmesi della morte oggi
 
Di tutte queste cose si preccupano… C’è un punto sconvolgente nel testo. Il secondo ammonimento di Gesù non dice solo che la vita vale più del cibo e del vestito. E chi non lo direbbe, anche oggi! Ma aggiunge: non cercate con bramosia, non state con l’animo sospeso, di queste cose si preoccupano i pagani. Il pagano che è in noi si lascia rovinare non solo la vita, ma il suo bene più fragile che è il tempo, dalla pre-occupazione, dall’ansietà che ci fa occupare prima, e al di sopra di ogni cosa, di tutti questi beni. Trovo che questo sia un tema che esprima la radicalità antropologica della ricerca del Regno presente in questo brano evangelico. La ricerca del Regno non è solo ricerca della “grazia che vale più della vita”, del dono a cui la vita rimanda, perché una vita non può essere vissuta senza un senso, senza una luce, se non dentro una grazia che l’avvolge e una tenerezza che la ama. La vita non può essere vissuta senza speranza. La ricerca del Regno è anche purificazione della ricerca, smascheramento delle sue deviazioni. La “pre-occupazione” del pagano che s’annida in me, uccide la speranza, inaridisce la sua radice e indebolisce il cuore stesso dell’uomo. Ecco la malattia mortale che mina come un mal sottile il mio tempo, ecco come la ricerca bramosa delle cose uccide la speranza. Assicura Gesù: se la cura e la tenerezza di Dio sfama gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo, “quanto più [farà e sarà] per voi”. Non riconoscere questo rivela la poca fede dei discepoli, ci fa letteralmente uomini e donne di “piccola fede” (oligópistoi). Il discepolo può essere minacciato nel suo intimo, può avere una fede rattrappita che non va al di là del suo orizzonte, se non riconosce che la vita vale di più, se non la lascia circondare dalla sua grazia, se non riconosce la cura del Padre che comprende il nostro bisogno.
La malattia mortale della speranza. Ma ora Gesù va oltre, mette in guardia dal pericolo di paganeggiare, di vivere cioè nella rincorsa sfrenata dei beni, credendo che essi siano il plusvalore della vita. Questa, dice Gesù, è la malattia mortale della speranza! La speranza è la fede distesa nel tempo, è la fiducia che il domani ti verrà incontro come un dono che ti chiama, che ti avvolge con la sua grazia, perché ha un volto, perché la tua vita non ha solo all’origine una cura e una tenerezza, ma ha anche alla fine un volto che l’attende e la chiama. Non cercate con bramosia – dice Gesù – non state sospesi nell’aria morbosa dell’ansia, non occupatevi anticipando i tempi e i momenti, volendo possedere gli eventi, le cose e le persone, ma lasciateli accadere, andategli incontro con fiducia. Bisogna dirlo con forza, anche oggi, forse soprattutto oggi: nella nostra società dei consumi o, meglio, nella frenesia del consumare che fonda la nostra società dell’a­vere e dell’accumulo, si nasconde un (il) problema essenziale. Gesù non è un asceta triste che ha paura delle cose. Egli teme che la bramosia dei beni diventi un modo con cui noi ci lasciamo possedere dalle cose, teme che la brama diventi il nostro modo di essere. Le cose, però, alla fine ci possiedono, ci plasmano, dicono il nostro valore: esse non manifestano solo che cosa vale per me, per che cosa mi affanno nella casa, come giudico con il fratello, come peso la fortuna degli altri, ma alla fine rivelano me stesso, il mio desiderio, la mia speranza.
Una strategia di cosmesi della morte. In altre parole, Gesù ci dice di “occuparci” di tutto, ma ci richiama che lo stare in ansia, l’accumulare, la bramosia, la rincorsa sfrenata dei beni è una strategia di cosmesi della morte. Ecco i segni di morte nel nostro mondo dopo il crollo del muro: possedere i beni e dominare il tempo sono le due forme fondamentali con cui noi oggi tentiamo di nasconderci davanti alla morte. Anzi cerchiamo di nasconderla a noi stessi, cerchiamo di imbellettarla, di camuffarla. La cosmesi della morte è il modo con cui cerchiamo di riempire la vita di cose per credere che sia una vita in pienezza; è il modo con cui vogliamo possedere il domani, gli altri, gli eventi, la vita, il futuro. Le cose sembrano riempire la vita, darle valore, assicurargli il tempo, ma il tempo le erode consumando alla fine anche noi che le consumiamo. E c’è un’altra forma di cosmesi della morte, con cui pensiamo di fermare il tempo, quasi di bloccare l’orologio della vita: è l’attivismo sfrenato, la rincorsa del tempo cronologico, lo scandire vorticoso dei secondi e degli appuntamenti, consumando anche il dono del tempo, che è invece dono dell’incontro, della cura, dell’ascolto, dell’attenzione, del dialogo, della pace, del gioco, del perdere tempo pur sapendo che non è tempo perso. Per questo Gesù parla ai suoi così, con tagliente chiarezza, dicendo che questo è il modo di vivere il tempo dei pagani, è quella forma del trattenere la vita che alla fine la perde, è il modo di rimandare la morte che invece corrompe le radici della vita. Si può imbellettarla come si vuole, ma proprio perché rincorsa vertiginosamente, la vita ci sfugge inesorabilmente. L’assolutezza della ricerca del Regno, di cui Gesù ci parlerà tra poco, non può neppure essere intuita, se non passa attraverso la radicalità antropologica con cui mettiamo in discussione la nostra fede e la nostra speranza. Prima di cercare il Regno, bisogna giudicare come lo cerchiamo. Questo è il primo dono che il Regno porta, perché il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercare il regno porta in dono il giusto modo di cercarlo (la sua giustizia!). Solo così si cerca il Regno come l’unico, l’assoluto, con gli occhi semplici del bambino. 
 
3.      Cercate soprattutto il regno di Dio
 
Sopra ogni cosa cercate… Ora comprendiamo la proclamazione finale di Gesù. Essa è fatta di due semplici momenti: “Piuttosto, anzitutto, cercate il regno di Dio” e “queste cose vi saranno date in aggiunta”. La proclamazione di Gesù ha la forza semplice dell’invito, del comandamento nuovo, del programma evangelico, della mappa per il viaggio. Gesù ci conduce a cercare il Regno come si cerca la Sapienza, come la tavola imbandita su cui stanno tutti i doni della vita. Il terzo vangelo afferma in modo assoluto: “piuttosto, cercate il regno di Dio!”. Commenta Segalla: «L’espressione “cercare il regno di Dio” non si trova né nell’AT, né nella letteratura giudaica». Lo trovo come un segno: solo «il più piccolo nel regno di Dio» lo può portare alla parola, solo Gesù può aprire lo squarcio sul mistero santo di Dio, perché è “il piccolo” che sta in mezzo a noi come uno che serve, è “il figlio”, la figura esemplare per “ridiventare” a nostra volta bambini per entrare nel Regno. Cercare il Regno è cercare Dio, ma Dio si può trovarlo solo se il Figlio lo rivela. Pochi versetti prima (Lc 10,21-22) Gesù ha esultato nello Spirito Santo per rivelare il Padre. “Gesù è il cercatore del Regno”! Solo Gesù può dire: «Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». Gesù è il cercatore del Regno perché è il figlio/il piccolo/il fanciullo che si riceve tutto dal Padre; Gesù è il cercatore del Regno per eccellenza perché il Regno si cerca ricevendolo, si trova accogliendolo, si conquista facendogli spazio. Ecco il cuore della vita battesimale!
…e il resto in aggiunta. Cercare il Regno significa che il Regno cerca noi, che Dio si fa vicino, ci assedia, innerva la vita, permea i nostri pensieri, le intenzioni, le azioni, gli incontri, le persone, il mondo: tutte queste cose che in lui ci sono rivelate e donate. Ecco cosa significa “date in aggiunta”. Attenzione a non trasformare la parola di Gesù in un comodo tornaconto personale, in una specie di gioco al rialzo. Metto al centro Dio, così riceverò il centuplo quaggiù e il resto nella vita eterna. Uno s’accorge subito che non solo è un gioco pericoloso, ma sa che non conosce i tempi e i modi delle estrazioni… Cercare il regno di Dio secondo Gesù e come Gesù, è possibile solo nel suo cuore filiale, diventando fanciulli come lui, con gli occhi semplici del bambino. L’infanzia spirituale di Teresina di Lisieux non è un gioco per ragazzine perseguitate dal demone del perfezionismo. Ce lo ha detto Bernanos con i suoi personaggi che ne hanno subito il fascino e la passione. A questo punto la parola si ferma, e possiamo solo collocarci nello slancio filiale di Gesù che nei nostri cuori grida Abba, Padre.
 
4.      Una presenza nascosta
  
La ricerca del Regno come invocazione. A questo punto, giunti alla fine del testo evangelico che ci ha fatto da canovaccio, sembra che ci manchi ancora qualcosa. Nel vangelo di Luca, appena dopo la preghiera del Padre Nostro, appena un po’ prima del nostro brano si legge: «Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!» (Lc 11,9-13). La parola di Gesù ci sembrava lucida ed esigente, limpida e solare, ma un po’ come le alte vette qui d’intorno, così irte da sembrare inaccessibili anche a chi ha buona lena nelle gambe. Ci mancava ancora una cosa: lo sguardo di Gesù rivela la ricerca del Regno come ricerca del Padre, ma il Padre dona lo Spirito a coloro che lo chiedono. La ricerca del Regno diventa alla fine invocazione nello Spirito che è riversato nei nostri cuori. Ecco che cosa ci mancava. La ricerca non è un programma ascetico o morale di vita, è invocazione; la ricerca è, nel senso più forte che si possa immaginare, un cammino “spirituale”, nello Spirito e in forza dello Spirito. Per questo la sua forma sintetica sillaba una semplice invocazione: “Venga il tuo Regno!”. In essa lo Spirito e la preghiera si tengono per mano, lo Spirito e la nostra libertà cospirano insieme, in essa il Regno viene cercato perché è ricevuto, e viene ricevuto perché è invocato! Ma così non viene ricevuto solo il Regno, bensì il mistero santo di Dio, il suo volto trinitario, nello sguardo del fanciullo Gesù e nella forza suadente della preghiera dello Spirito in noi e con noi.
Per questo Gesù ci fa pregare «Venga il tuo Regno!» (Lc 11,2; cf Mt 6,10). Certo il Regno è già venuto in Lui! La santa volontà di Dio, del Padre suo, è già manifesta in Lui! Ma noi dobbiamo pregare perché venga. Il Regno non viene come un tocco di bacchetta magica, ma richiede l’adesione della nostra libertà. La preghiera è il luogo in cui si educa e cresce tale libertà, l’invocazione è quello spazio in cui ascoltiamo il suo annuncio di gioia, ci lasciamo evangelizzare sulla misura delle nostre cose, in cui celebriamo il primato della sua grazia, sperimentiamo che non si può essere discepoli se non entro l’iniziativa suadente dello Spirito. «Quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!». La legge del “quanto più” è esattamente lo Spirito dell’amore e della preghiera, Egli è – letteralmente – la grazia che vale più della vita. Perciò il Regno già venuto dev’essere sempre e di nuovo invocato. La preghiera indica la qualità gratuita del Regno, ci dice che la presenza di Dio non è una forza che possiamo manipolare a nostro piacimento, ci suggerisce che il suo dono è tale perché va accolto con gratitudine. Così l’uomo nella preghiera scopre che il nome cristiano della sua libertà si chiama fede. Essa è una consegna della vita al Regno perché la presenza di Dio in Gesù ci ha già dato tutto, il Figlio suo. Ma in tale consegna l’uomo impara ad essere una libertà che esce da se stessa, che trova continuamente riposo in quel ‘Tu’ che noi, balbettando, chiamiamo il mistero santo di Dio.
[1]    Per l’esegesi del testo, cf F.G. Brambilla, Chi è Gesù? Alla ricerca del volto, Ed. Qiqajon, Comunità di Bose - Magnano 2004, 97-106.
 
don Franco Giulio Brambilla
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