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Gesù e lo sguardo negato: maestro che devo fare?

La domanda di partenza è veramente cruciale: che debbo fare per avere la vita eterna? Avere la vita in pienezza è il desiderio profondo di ogni uomo, che si fa acuto proprio nel momento in cui sta per finire la rincorsa della vita nella giovinezza e ci si appresta alla scelta definitiva. Essa ci appare in tutta la sua rischiosità: la vita in pienezza sognata nella giovinezza, la scelta entusiasmante e travolgente che si è tante volte desiderata, in questa stagione della vita sembra chiedere una scelta particolare.Esercizi Spirituali per Universitari. prima parte


Ges√π e lo sguardo negato: maestro che devo fare?

da Teologo Borèl

del 11 marzo 2009

Ges√π e il giovane ricco

 

 

 

 

 

 

 

 

Mc 10,17-22 [23-27]

 

 

Mt 19, 16-22 [23-25]

 

17Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?».

18Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo.

 

 

 

19Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre».

 

 

20Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza».

21Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».

22Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.

 

23Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!». 24I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: «Figlioli, com’è difficile entrare nel regno di Dio! 25E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». 26Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai si può salvare?». 27Ma Gesù, guardandoli, disse: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio».

16Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?».

 

 

17Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti».

 

18Ed egli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, 19onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso».

20Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?».

21Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi».

22Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze.

 

 

23Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli.

 

 

24Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli».

25A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: «Chi si potrà dunque salvare?». 26E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».

 

La mappa di un “incontro mancato”

 

1.     La domanda di partenza: che cosa fare per “avere la vita”      

Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?

 

–                        chi è il protagonista… un giovane che vuole diventare adulto

–                        la domanda cruciale: che fare per avere la vita in pienezza?

–                        un maestro buono e la necessità di un riferimento

2.     La relazione con l’Altro: il rimando di Gesù

Perché mi chiami buono?

 

–                        la relazione intrigante che stabilisce una complicità…

–                        la distanza marcata che introduce nella libertà

–                        il rimando al Terzo: da una relazione duale alla ricerca dell’Altro

 

3.     L’omissione del comandamento: il primato di Dio

Solo Dio è buono!         

 

–                        l’ordine dei comandamenti e l’omissione del primo

–                        “una cosa sola ti manca” e “Dio solo è buono”

–                        Gesù è il volto filiale della bontà del Padre

4.     L’inversione dei comandamenti: il momento della scelta

Queste cose lo ho osservate fin dalla mia giovinezza

 

–                        l’inversione di comandamenti verso il prossimo

–                        il comandamento del padre e della madre e la necessaria partenza

–                        la scelta di vita come nuovo legame

 

5.     Lo sguardo di Gesù: una relazione di libertà

Gesù fissatolo lo amò

 

–                        lo sguardo che genera una libera relazione

–                        l’amore trascendente e la trascendenza dell’amore

–                        una cosa sola ti manca? Che cosa manca alla vita dell’uomo?

 

6.     La trappola del desiderio: la sola cosa che manca

Va’, vendi e… seguimi

 

–                        il malessere che paralizza il desiderio del cuore

–                        i beni “facili” e “disponibili” e la radice del malessere

–                        il nuovo legame che fa nascere alla vita adulta

 

7.     La risposta mancata: c’è un posto per te

Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio!

 

–                        un appello senza risposta? C’è un posto per te…

–                        il posto libero più occupato nella storia

–                        nulla è impossibile a Dio: anch’egli s’è fatto povero…

 

Il racconto dell’uomo (giovane) ricco, Mc 10,17-22 (23-27) e Mt 19,16-22 (23-25), ci presenta una vocazione mancata. Si tratta della storia di “un tale” che ha una vita normale, è fedele alla legge fin dalla giovinezza, e resta probabilmente così anche dopo la rinuncia all’invito di Gesù. Nella vicenda di questo “uomo” (giovane) ricco si può intravedere anche una “crisi”, legata alla necessità di una scelta che si pone dinanzi a chi incontra Gesù. Ma questo racconto ha una conclusione amara: il “tale” non accoglie la provocazione di Gesù, e l’evangelista commenta che “se ne andò triste, perché aveva molti beni”. Vedremo perché il vangelo ha mantenuto il racconto sconvolgente di un “incontro mancato”. Questa sarà la sorpresa finale della nostra meditazione.

 

1. La domanda di partenza: che cosa fare per “avere la vita”

Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?

 

La narrazione prende avvio da un tale (un giovane secondo Mt, mentre Mc mette sulla bocca del protagonista che ha “osservato tutte queste cose fin dalla giovinezza”). Se stiamo a Mc si tratta probabilmente di un giovane nel passaggio alla vita adulta, non ancora grande, perché si pone una domanda radicale “che cosa devo fare per avere la vita?”, non più giovane, perché pone chiaramente la domanda non su che cosa farò da grande, ma come sarò da adulto.

La domanda di partenza è veramente cruciale: che debbo fare per avere la vita eterna? Avere la vita in pienezza è il desiderio profondo di ogni uomo, che si fa acuto proprio nel momento in cui sta per finire la rincorsa della vita nella giovinezza e ci si appresta alla scelta definitiva. Essa ci appare in tutta la sua rischiosità: la vita in pienezza sognata nella giovinezza, la scelta entusiasmante e travolgente che si è tante volte desiderata, in questa stagione della vita sembra chiedere una scelta particolare. Come sta avvenendo per gli studi che si stanno facendo e per il lavoro si spera non troppo lontano, appare davanti ai nostri occhi la necessità di scegliere.

Scegliere oggi è una questione complessa: tutto è mobile, niente è definitivo. Per questo il nostro personaggio si avvicina a Gesù e gli dice: Maestro buono! Sente il bisogno di un maestro di vita buona, di un riferimento che gli parli della vita in pienezza, soprattutto ha bisogno di un testimone che sia per lui come la rappresentazione viva della vita riuscita, del sogno concretizzato. In genere è un amico, una persona adulta stimata, uno del gruppo che ci sembra un punto di riferimento. Il nostro tale ha la fortuna di incontrare nientemeno che Gesù, il maestro buono per eccellenza. L’attesa si fa acuta: qualcosa di importante deve accadere!

 

2. La relazione con il Terzo: il rimando di Ges√π

Perché mi chiami buono?

 

Un noto esegeta, appena scomparso (P. Beauchamp), ha immaginato una versione “narcisistica” del racconto[1]. Dopo essere stato chiamato come “maestro buono”, Gesù avrebbe potuto subito rispondere “seguimi”, fa come ti dico io, fidati di me. Sarebbe stato troppo facile dire “seguimi” a chi lo chiamava “buono”: “poiché tu mi hai chiamato buono, io ti chiedo di seguirmi…”. Gesù sarebbe caduto nella trappola della complicità affettiva, in una sorta di reciproco compiacimento. La domanda del giovane poteva alimentare il narcisismo di chi loda l’altro per stabilire una relazione interessata, che facilmente si trasforma in complicità.

Gesù rifiuta di farsi chiamare buono, sottraendosi al gioco intrigante del reciproco elogio o compiacimento. Egli non teme di “mettere alla prova” e di perdere il suo interlocutore. Per questo la relazione con lui è liberante, perché libera da ogni ambiguità. «Gesù non si fa chiamare “buono”; non si fa “adescare”» (p. 76). Gesù marca una differenza, pone una distanza (perché mi chiami buono?), non si lascia adescare dentro una relazione sbagliata, di puro bisogno. Quando si entra nello spazio della scelta di vita e per aprirsi alla vita con il suo volto concreto, allora bisogna superare il regime del bisogno, la relazione interessata. Occorre entrare nel terreno della promessa e della libertà.

Gesù anzitutto rinvia a Dio e, poi, in seconda battuta rimanda alla legge, la volontà di Dio espressa nel comandamento. Prima di rispondere, pone tra sé e il suo interlocutore un intervallo, mette alla prova la qualità delle attese di quest’uomo. La legge a cui egli rimanda più avanti è cifra e segno di un “Terzo” (il Padre), dal quale proviene lo stesso comandamento, e che Gesù interpone volontariamente tra sé e il suo interlocutore. Gesù “costringe” il suo interlocutore ad andare al di là di una relazione con lui “senza terzi” (76), di tipo duale, e che sarebbe idolatrica. È sempre in agguato il pericolo di vivere una forma di relazione, e di religione, con Gesù che non entri nel movimento che porta al Padre. È un invito a tutti i maestri di vita a non attirare a se stessi, a non legare a sé le persone, ad essere seducenti senza essere seduttivi. La relazione liberante può avvenire solo dentro una relazione ternaria: non in un rapporto io-tu, ma dove l’uno e l’altro stanno dentro l’apertura a un Terzo, all’Altro da sé, alla Vita in pienezza.

 

3. L’omissione del comandamento: il primato di Dio

Solo Dio è buono!

 

Dobbiamo ora anticipare il seguito del racconto. Gesù rinvia anzitutto a Dio e afferma che “solo Lui è buono!”. Poi cita il decalogo in una forma strana. Nel testo di Marco vi sono tre principali differenze: 1) la versione di Gesù è diversa da quella di Es 20 e di Dt 5, ma anche da quella che veniva utilizzata dai cristiani, perché tralascia del tutto i comandamenti che riguardano i “doveri” verso Dio; inoltre, 2) Gesù rovescia l’ordine dei comandamenti riguardanti il prossimo collocando il primo, sul padre e la madre, in ultima posizione; e, infine, 3) omette il comandamento del sabato (shabbat).

Perché Gesù non nomina i doveri verso Dio, che pure costituiscono la prima parte del decalogo? È utile ricordare che al tempo di Gesù non c’era più nessun pericolo in Israele di forme idolatriche: ma, quando scompare il rischio concreto di altre “rappresentazioni” di Dio, compare invece un altro rischio, particolarmente attuale nella nostra cultura con la presenza di molte sette. Tanto Mt 6,24 quanto Lc 16,13 illustrano con chiarezza che la scelta che s’impone a quest’uomo: la decisione riguarda il confronto tra Dio e il denaro che appare come il suo “sostituto” (78). Mammona è immagine plastica del desiderio concupiscente, nel quale l’uomo si pone come adoratore di se stesso, e i beni diventano strumento del proprio desiderio onnipotente.

Osserviamo la corrispondenza singolare tra le due espressioni dell’inizio e della fine: “una cosa sola ti manca” e “Dio solo è buono”. L’espressione “Dio solo è buono” prende il posto dei comandamenti concernenti Dio e designa la relazione a lui. Se nella versione di Gesù manca il riferimento a Dio, l’affermazione della sua “bontà” ne prende il posto. L’indica­zione che Dio solo è buono, ci aiuta a comprendere il rapporto tra Gesù e il Padre. Ricordando al suo interlocutore che Dio solo è buono, Gesù evita che si dimentichi che Gesù è il Figlio che ci parla del Padre e che ci rimanda a Lui. Gesù rinvia al Padre: egli è il primo comandamento in persona. La relazione con Gesù, e in altro modo anche tutte le relazioni umane, deve condurre a Dio che è buono, e al bene che è solo Dio. Altrimenti anche il nostro rapporto con Cristo, insieme alle altre relazioni che si possano rivestire dei “nomi” più belli, risultano di ostacolo alla relazione con Dio. Solo così il protagonista potrà liberare il cuore dalle molte cose che riempiono la sua vita, ma non conducono alla vita in pienezza.

Rinviando a Dio che solo è buono, “Gesù riconosce di non aver di buono, se non ciò che ha ricevuto dal Padre” (86). Egli non nega di essere buono, ma rinvia al Padre, dal quale tutto ha ricevuto in dono e con il quale è in comunione come il Figlio. Egli non è il Padre, ma è il Figlio, in una relazione di totale reciprocità e comunione. E all’uomo chiede, donandogli di fare altrettanto, di rivolgersi al Padre, senza fermarsi a lui. Qui diventa più chiaro che “seguire” Gesù significa seguirlo nel suo “movimento” verso il Padre, l’unico bene. La bontà di Gesù, che è indiscutibile, consiste proprio nel suo “andare”, nel suo essere rivolto al Padre. Separare lui dal Padre significa perdere Gesù stesso come Figlio.

 

4. L’inversione dei comandamenti: il momento della scelta

Queste cose lo ho osservate fin dalla mia giovinezza

 

Nel rimando al decalogo, Gesù cita quasi tutti i comandamenti verso il prossimo, ma ne inverte l’ordine, ponendo per ultimo quello relativo al padre e alla madre. Beauchamp propone una lettura suggestiva e originale. Lo spostamento del comandamento sui genitori dal primo all’ultimo posto gli conferisce un “doppio” valore di posizione, che forse si può collegare alla successiva parola dell’uomo ricco, quando afferma di aver sempre osservato i comandamenti “fin dalla mia giovinezza” (Mc 10,20). Forse questo uomo, un giovane secondo Matteo, si trova in un particolare momento di scelta, tipico del passaggio dall’età giovanile all’età adulta. Qui è in gioco la scelta di vita (82).

Il posto privilegiato riservato al comandamento di onorare il padre e la madre conferisce ai genitori un particolare significato. Essi trasmettono i comandamenti, ma senza esserne la fonte radicale. Il passaggio alla vita adulta avviene con il distacco dai genitori. Anche i comandamenti possono essere osservati o per non deludere chi ce li ha trasmessi oppure per non venir meno a Dio. Le due cose non vanno separate. Ciò richiede che ogni uomo non smetta di osservare i comandamenti solo perché li ha ricevuti dai genitori e che il necessario passaggio all’età adulta, l’età matura, si connoti proprio come “distacco dai genitori”. Il passaggio è provocato, come dice Genesi, dall’insorgere di un altro legame, da un altro amore, per il quale “l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre” (Gen 2,24) (cf 82).

È il momento della scelta, della decisione matura, della separazione, che non significa però interrompere il legame con coloro che ci hanno generati alla vita e alle forme con cui si trasmette. La scelta non significa perdere il legame con i genitori, ma comporta di non viverlo più nella dipendenza, ma a partire da un’autonomia, che ormai ci fa scegliere una nuova relazione che ci appare come il dono promesso dell’esistenza, come la scelta di fondo della vita.

 

 

­5. Lo sguardo di Gesù: una relazione di libertà

Gesù fissatolo lo amò

 

Ora siamo al centro dell’episodio: il racconto narra che, davanti al giovane ricco, “Gesù, fissatolo, lo amò” (Mc 10,21). Questa scena sembra assumere il codice dell’incontro tra uomo e donna. Il nostro testo allude, dunque, a un nuovo legame, che non è più dell’ordine del bisogno, ma del regime della promessa e apre lo spazio della libertà. Ecco il momento centrale del nostro incontro: lo sguardo di benevolenza di Gesù apre a una relazione di libertà, che è la forma di ogni altra relazione libera. Essa ha la qualità di un “libero legame”, di una promessa percepita come un dono che sfida la libertà di ogni uomo e donna. Anche tutte le altre relazioni trovano qui la loro sorgente e la loro forma concreta.

Nello sguardo di Gesù si incarna un Altro amore: quello di Dio, che è principio di ogni umana relazione. È solo grazie all’Amore trascendente che ogni legame (tra uomo e donna, tra una persona e la vocazione) trova la sua forza e il suo splendore. La forme dell’amore, nell’esperienza umana, si distinguono l’una dall’altra grazie a quest’amore trascendente o, detto con altre parole, alla trascendenza dell’amore rispetto ad esse. È l’amore di Dio, di cui la presenza di Gesù è dono, che rende autentica la relazione tra uomo e donna e ogni altro legame, che a sua volta ne è immagine e parabola, anche se non esclusiva e non sempre effettivamente realizzata.

Si comprende allora perché il legame con Cristo, il lasciarsi attraversare dal suo sguardo penetrante e singolare, sia capace di introdurci nella libertà di nuovi legami, di nuove scelte, di una decisione esistenziale che è capace di dare una direzione alla nostra esistenza. Siamo al momento cruciale: si diventa adulti attraverso una scelta di vita che risponde al bene promesso che ci viene incontro (nel volto della persona amata, nella scelta di vita che riempie la mia esistenza, nella dedizione a servizio della vita e dell’umanità). Ora possiamo comprendere perché c’è un profondo legame tra questo sguardo che ci fa liberi e la nostra capacità di fare una scelta di vita.

 

6. La trappola del desiderio: la sola cosa che manca

Va’, vendi e… seguimi.

 

Seguendo la narrazione evangelica, abbiamo visto che questo uomo con le sue parole, domande, gesti, rivela come un malessere che lo frena nel giungere al traguardo. È come se questo uomo, non più giovane, si rifiutasse di diventare adulto. Il malessere di diventare grande è assai diffuso nel momento presente. È il disagio si rivela solo alla fine. Bisogna però capire il suo meccanismo: non può essere semplicisticamente ricondotto a una sola causa, la quantità eccessiva di beni, che avrebbe impedito a quest’uomo ricco di seguire Gesù. Il disagio non solo una questione di quantità, ma di qualità: bisogna cioè evitare la trappola che paralizza la decisione della libertà.

Le ricchezze di quest’uomo, a differenza di Zaccheo, probabilmente sono ereditate dal padre e dalla madre, come allude il rimando al quarto comandamento. È questa “facilità” dei beni ricevuti in dono che li rende una “trappola”. Infatti questo uomo ama allo stesso modo – “con uno stesso amore” (82) – Dio, i genitori e una vita sicura e realizzata. Lo stesso amore con cui egli ama i genitori e la propria “realizzazione” viene identificato troppo in fretta con l’amore di Dio. Le ricchezze e i beni facilmente ricevuti senza fatica sono una forma di idolo più subdola e strisciante, perché più dissimulata: esse chiudono alla ricerca e portano alla tristezza. Il rischio tipico del postmoderno, legato alle ricchezze “facili” e subito “disponibili”, è che esse non si oppongono a Dio, non gli fanno esplicita concorrenza. Oggi, potremmo dire “Dio e il denaro si confondono”, non si contrappongono più. In ciò sta la trappola del desiderio: i beni, che appaiono come risposta ai suoi bisogni, ingannano l’uomo e occultano il vero senso del desiderio che lo fa diventare grande: scoprire quel legame che gli fa accogliere il dono promesso!

Una cosa sola ti manca? Che cosa manca alla vita dell’uomo? Questa è una domanda a cui ciascuno di noi è invitato a rispondere, perché rispondere a questa domanda significa diventar grandi, comporta una scelta di vita, esige di muoversi e perdere una parte di sé (va’ vendi quello che hai…), consegnarsi ad un libero legame (e.. seguimi), darsi un volto, scegliere una strada, per realizzare il proprio sogno dentro un cammino singolare. In una parola significa diventare adulti nell’umanità e nella fede.

 

7. La risposta mancata: c’è un posto per te

Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio!

 

La conclusione dell’episodio è sconvolgente: lo sguardo di Gesù è stato uno sguardo negato, l’incontro con lui un’incontro mancato. Come mai l’evangelista ha narrato nel vangelo un incontro fallito, un appello che non ha ricevuto risposta? Io credo che l’evangelista ha ripreso la narrazione di questo incontro che ha avuto un risultato fallimentare per dire, attraverso la forza del racconto, semplicemente questo: c’è un posto per te? Questo posto lasciato libero, quest’appello senza risposta, questo sguardo negato è una chiamata per il lettore futuro, è rivolta a te.

Ebbene, che sia proprio questa l’intenzione dell’evangelista è confermato dal fatto che nella storia della chiesa e nella vicenda spirituale di molti credenti, l’incontro mancato del giovane ricco è stato il posto più occupato nel cammino della chiesa. A partire da Antonio Abate, molti altri uomini e donne nella storia, Benedetto, Pacomio, Francesco, Chiara, e la loro lista sarebbe interminabile, hanno sentito queste parole come rivolte a sé, le hanno ascoltate e hanno seguito il Signore, trovando il proprio volto e la propria identità. Potemmo dire in un modo più ancora provocante: coloro che hanno avuto il coraggio di occupare il posto del giovane ricco, hanno in realtà cambiato il volto della chiesa e della storia, perché hanno guarito il loro desiderio e si sono lanciati nell’avventura dell’esistenza. È questa la sfida che sta ancora davanti a noi, nella sua affascinante bellezza. Questo è l’augurio che ci scambiamo iniziando quest’anno il nostro cammino insieme.

Le battute conclusive tra Gesù e i discepoli (Mc 10,23-24) non allontanano automaticamente dal Regno, ma segnalano che tutto ciò è difficile come passare “per la cruna di un ago”, è doloroso come “nascere” di nuovo. Nonostante le difficoltà, Dio ci offre sempre la possibilità di andare a lui, di entrare nel regno. Quello che Gesù chiede a quest’uomo è ciò che lui stesso ha fatto: è “possibile per Dio” che egli lasci ogni ricchezza. La ricchezza che Dio lascia è la sua “divinità” (cf 2Cor 8,9), divenendo servo e morendo (Fil 2,6-7). Gesù non ci chiede se non quello che lui stesso ha fatto: non ci chiede i nostri beni perché è invidioso, ma perché custodisce il desiderio dell’uomo di diventare grande. Occorre che il giovane impari a lasciare la “facilità” dei suoi beni – questo è ciò che gli manca! –, andando a venderli e poi seguendolo. Le forme di questa sequela non riguardano tutti nello stesso modo. Che cosa ciò esiga per ciascuno di noi lo vedremo nei prossimi incontri.

 

Con un forte abbraccio

[1]      P. Beauchamp, L’uomo ricco (Marco 10,17-22), in All’inizio, Dio parla, ADP, Roma 1992, 75-89: cito tra parentesi il numero di pagina dei riferimenti al saggio.

don Franco Giulio Brambilla

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