Nel divenire piccoli è nascosto il vero segreto della nostra crescita spirituale. Dobbiamo cambiare, divenire bambini, coloro che sanno dell'indulgenza del Padre.
del 21 giugno 2006
Ges√π ha lasciato il suo Regno per vivere in mezzo a noi come vivono i bambini._Bambini sono coloro che se offesi non si difendono,/
se scacciati non serbano rancore,/ se odiati non comprendono,/ se richiamati accorrono con gioia/ e dimenticano al primo gesto d’amore.
Gesù è venuto a vivere l’infanzia che Adamo non visse; è venuto a recuperare l’età della fede e dello stupore contro l’età della ragione e della conoscenza.
Quale contrasto tra Gesù e i discepoli! Questi infatti pensano al futuro regno nel quale saranno grandi e potenti. Quegli, invece, è venuto a far conoscere un Regno di piccoli e di ultimi.
«Amen vi dico: se non cambiate e non divenite come i bambini, per certo non entrerete nel regno dei cieli. Chiunque dunque abbasserà se stesso come questo bambino, questi è il più grande nel regno dei cieli».
Ogni cambiamento segna sempre un momento di crisi, un momento in cui ci si rende conto che la strada della nostra vita si è perduta in un deserto senza più indicazioni.
Ges√π invita i suoi a non desiderare di essere primi: chi cammina davanti agli altri cammina da solo.
Forse anche noi, al pari dei discepoli, pensiamo di seguire Ges√π; forse anche noi sogniamo un regno e una gloria in questo mondo. Colui che si fa primo non segue Ges√π, ma lo precede; Ges√π rimane indietro, insieme con i fratelli.
 
Divenire è il secondo verbo utilizzato da Gesù. Non basta infatti cambiare. Il cambiamento è determinato da una decisione, il divenire implica un cammino. Il nostro uomo vecchio, infatti, può cambiare in un altro uomo altrettanto vecchio; abbiamo bisogno, invece, di diventare nuovi, cioè giovani, e più che nuovi, bambini.
 
Abbassarsi è l’ultimo verbo che Gesù indica a completamento della nostra trasformazione.
Dobbiamo abbassarci per rientrare non nel grembo di nostra madre, come chiedeva ingenuamente Nicodemo, ma nel grembo della vita.
Se vogliamo entrare nel regno del Padre, dobbiamo abbassarci fino a diventare suolo, terra, cioè humus. Umile infatti è colui che sa di essere terra. A questa nuova terra Dio darà il suo Spirito, uno Spirito che esclami: «Abbà, Padre!».
«E, avendo preso un bambino, lo collocò in mezzo a loro». Gesù dunque impartisce il suo insegnamento ai discepoli dopo aver preso e collocato un bambino in mezzo a loro. In una società in cui i bambini non contavano, il gesto di Gesù diviene rivoluzionario.
Gesù vuol distogliere lo sguardo dei discepoli dai capi del popolo, dai sacerdoti e da tutti i maestri amati dal mondo, affinché lo rivolgano là dove il Padre guarda.
Il bambino diviene così il modello, non per imitarlo ma per rinascere bambini.
Se pure il nostro cammino spirituale inizia ai piedi della croce, termina sempre davanti alla grotta della mangiatoia, a Betlemme, la casa del pane.
Conosciamo Gesù sotto molti aspetti: c’è il Gesù maestro della dottrina, il Gesù potente dei miracoli e delle guarigioni, il Gesù sofferente della croce, il Gesù povero tra i poveri; c’è però un Gesù che tutti li riassume: Gesù bambino, l’Emmanuele, il Dio con noi.
Diventare piccoli è difficile, abbiamo bisogno di un modello da imitare.
Dobbiamo allora guardare a Gesù, anche quando si trovava sulla croce, ma dobbiamo guardarlo con gli occhi di Maria, sua madre. Appeso al legno, nel dolore della morte, ella non vedeva il suo Dio, non vedeva un uomo di trent’anni, vedeva il suo bambino, lo vedeva come lo aveva visto a Betlemme, indifeso, fragile, piccolo. Il desiderio di stringerlo a sé dovette stringerla forte, come uno struggimento stringe il suo ricordo.
Sì, se non diventiamo come bambini, che accorrono appena qualcuno li chiama, non entreremo nel Regno.
 
 [da Rocco Quaglia, Gli incontri di Gesù, EDB, Bologna 2006]
 
Rocco Quaglia
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