La fede cristiana non è una delle tante visioni del mondo o interpretazioni della storia, personale e collettiva. Per un cristiano la fede è incontro con Gesù di Nazaret, condannato alla morte di croce dagli uomini, ma che Dio ha risuscitato dai morti, ribaltando la sentenza di condanna.
del 03 giugno 2009LA SPERANZA CHE È IN NOIParte II
 
Nella prima parte di questa lettera abbiamo tentato di comprendere le attese e le speranze delle donne e degli uomini, nostri compagni di strada, riconoscendo come “filo rosso” la domanda sul senso della vita e della storia. Abbiamo cercato di interpretare quello che spesso ci capita di vivere spontaneamente o con eccessiva fretta. Abbiamo scoperto che tutti siamo in attesa di qualcuno che ci accolga e dia ragione alla nostra speranza.
Chi ha fatto l’esperienza della fede, riconosce che questo qualcuno capace di comprendere, accogliere e sostenere c’è. Ha un nome e un volto: è il Dio che in Gesù Cristo si fa vicino a ogni essere umano. Il rapporto con Dio dà senso alla nostra vita nel mondo. Come avviene per ogni esperienza veramente bella e positiva, sentiamo il bisogno di comunicarla agli altri in nome della fratellanza umana, perché la possibilità di incontrare Dio per mezzo di Gesù Cristo sia una speranza per tutti.
Gesù invita quanti lo hanno riconosciuto come Cristo e Signore ad ascoltare con attenzione e rispetto le domande che salgono dal cuore degli uomini e delle donne: “Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?” (Luca 11,11-12). Se non abbiamo ascoltato o ben interpretato le attese di quanti sono alla ricerca di Dio, forse ciò è avvenuto per la nostra eccessiva sicurezza o per la fretta di comunicare quanto ci sta a cuore.
A tanti uomini e donne che sono alla ricerca di una speranza per il loro cammino vorremmo raccontare ora l’esperienza che abbiamo fatto e facciamo di Gesù, l’unico “nome” che a noi dà speranza e vita. Le parole che proponiamo sono il frutto – oltre che del nostro incontro con lui – della storia di tante persone che hanno incontrato Dio in Gesù Cristo prima di noi. Sono persone note e ignote, che costituiscono la lunga catena dei testimoni di Gesù. Per tutti i suoi testimoni Gesù è una persona che ha vissuto, nella carne della sua umanità, le incertezze e le inquietudini che scopriamo in noi, prendendosi cura con coraggio della gente che ha incontrato.
Non abbiamo la pretesa di comunicare tutto quello che si può dire della fede cristiana. Per intraprendere un possibile percorso di fede la comunità ecclesiale possiede testi autorevoli, ben elaborati e sperimentati. Sarebbe inutile ripetere qui quello che si può trovare in essi.
Desideriamo invece suscitare interesse, o almeno curiosità, in ogni persona che è alla ricerca di Dio, perché possa ripensare la figura e il messaggio di Gesù e approfondirli nell’ascolto delle testimonianze che ne parlano.
 
6. GES√ô
La fede cristiana non è una delle tante visioni del mondo o interpretazioni della storia, personale e collettiva. Per un cristiano la fede è incontro con Gesù di Nazaret, condannato alla morte di croce dagli uomini, ma che Dio ha risuscitato dai morti, ribaltando la sentenza di condanna.
L’incontro con Gesù, che i primi discepoli riconoscono e proclamano Messia e Signore, fa nascere e alimenta la fede in lui. La testimonianza di tutti gli altri credenti in Gesù ci sostiene nella fatica di accettare il rischio di una decisione che attraversa l’esistenza. Nella persona e nella vicenda di Gesù Cristo il Dio lontano e invisibile si fa vicino a ogni essere umano, in un insperato e gratuito gesto d’amore. Contemplando il volto di Gesù e ascoltando le sue parole scopriamo chi siamo, intravediamo qual è la fonte ultima della nostra esistenza e verso quale meta tende il nostro cammino quotidiano.
Con forza, ma anche con trepidazione, ricordiamo il nostro convincimento: le dottrine si spiegano, le persone si incontrano; le teorie si discutono, le persone si riconoscono e si scelgono. Anche noi ci poniamo la domanda: possiamo incontrare oggi Gesù di Nazaret, come è avvenuto duemila anni fa per le donne e gli uomini nei villaggi della Galilea o a Gerusalemme? Possiamo pensare seriamente che nella sua esistenza terrena Gesù abbia percorso i sentieri della nostra vita quotidiana? È possibile stabilire un rapporto vitale con Gesù, che è vissuto in una cultura e in una trama di relazioni tanto diverse dalle nostre?
 
L’incontro con Gesù
Nello spazio e nel tempo, Gesù di Nazaret è lontano da noi. Eppure noi cristiani siamo convinti di poterlo riconoscere nostro contemporaneo, nel nostro vissuto e nelle nostre inquietudini, tanto da giustificare l’invito di affidarci a lui, sapendo che merita questa fiducia.
Lo possiamo incontrare attraverso i suoi testimoni. La distanza tra Gesù e noi è colmata anzitutto dal racconto di quanti lo hanno incontrato prima di noi. È un racconto che ci raggiunge attraverso il tempo. Nel corso di venti secoli la memoria di quello che Gesù ha fatto e detto ci è stata consegnata attraverso la catena ininterrotta dei credenti, che risale fino ai testimoni oculari.
Il racconto dei primi testimoni di Gesù sta all’origine dei quattro Vangeli e degli altri testi del Nuovo Testamento. Si tratta della storia appassionata dei primi passi di quanti hanno riconosciuto in Gesù il Signore della loro esistenza. Attraverso la testimonianza di tanti che hanno pagato con il sangue la decisione di seguire Cristo, possiamo conoscere la sua vita e il suo messaggio. Possiamo interrogarli e ascoltarli, per verificare la loro esperienza e orientare la nostra esistenza.
Chi è Gesù? Su che cosa si fonda la sua pretesa di mettere in relazione ogni essere umano con Dio e di garantire la vita piena e definitiva persino contro il dolore, l’ingiustizia e la morte? I documenti più ampi e attendibili che parlano di lui, della sua opera e del suo messaggio, sono gli scritti della prima e seconda generazione cristiana.
Ai quattro Vangeli e agli Atti degli Apostoli, che hanno carattere narrativo, si aggiunge la testimonianza di san Paolo e di altri apostoli e dei loro discepoli, che utilizzano il genere epistolare per tenere viva la comunicazione tra le comunità cristiane. In questi documenti le parole si intrecciano con i fatti, nella trama della vita delle persone e delle comunità.
 
La novità di Gesù
La raccolta di scritti che formano il Nuovo Testamento porta all’inizio i quattro Vangeli, in cui si narra la vicenda di Gesù, che giunge al suo culmine negli eventi della condanna a morte e nella risurrezione. L’attività e l’insegnamento di Gesù sarebbero stati confinati nel ricordo di una piccola cerchia di parenti e amici, se un evento non avesse spezzato la trama normale di una biografia umana, fatta di vita, morte e sepoltura. E’ proprio secondo questa trama che si racconta, ad esempio, la storia di Giovanni soprannominato il Battista, messo a morte da Erode Antipa, uno dei figli di Erode il Grande (37-4 a.C.). La novità di Gesù, prima di essere un messaggio o una serie di azioni che suscitano curiosità e stupore, è il superamento della morte. Questo evento negli scritti cristiani è chiamato con vari termini: risurrezione, glorificazione, esaltazione.
Ovviamente non si spiegherebbe la condanna di Gesù da parte della suprema autorità religiosa e politica - il sommo sacerdote Caifa e il governatore romano Ponzio Pilato - senza la sua attività e il suo insegnamento dirompenti. Essi suscitano prima il sospetto, poi le accuse a suo carico, fino alla pena capitale. È pertanto legittimo chiedersi in che cosa consista la novità dell’azione di Gesù, l’originalità del suo insegnamento, fino al punto da provocarne la condanna alla morte di croce.
Gesù inizia la sua attività pubblica in Galilea, dopo aver lasciato il villaggio di Nazaret, dove ha trascorso gran parte della sua vita. Dai suoi compaesani è conosciuto come l’artigiano e il “figlio di Maria”. Quando, dopo la prima attività pubblica, rientra nel suo paese, la gente resta meravigliata della saggezza delle sue parole e dei gesti straordinari che si raccontano di lui. Essi infatti, conoscendone la famiglia e la formazione, non riescono a spiegarsi il suo successo come maestro e guaritore itinerante.
Gesù non ha frequentato corsi regolari presso qualche maestro di Sefforis o di Tiberiade, le due cittadine più importanti della Galilea. Quando parla in pubblico negli incontri della sinagoga non fa riferimento a nessun maestro autorevole o conosciuto, come gli altri predicatori. D’altra parte, neppure commenta i testi della Bibbia, come avveniva nelle scuole giudaiche. Gesù va a incontrare Giovanni il Battista, che molti consideravano un profeta riformatore, in quanto proponeva come segno di cambiamento in attesa del Messia l’immersione nel fiume Giordano. Nei villaggi della Galilea che percorre in lungo e in largo, proclama che il “regno di Dio” è arrivato e invita tutti ad accoglierlo cambiando modo di pensare e di vivere.
A conferma di questo annuncio, che segna una svolta nella storia dell’attesa biblica, Gesù accoglie la gente semplice dei villaggi, guarisce le persone malate e accetta di mangiare anche con quanti sono inadempienti o trasgressori delle norme tradizionali. Sullo sfondo del suo annuncio del regno di Dio, che irrompe nella storia umana con i suoi gesti e le sue prese di posizione, Gesù rilegge la tradizione biblica dell’alleanza concentrando il contenuto delle “dieci parole” - il “Decalogo” - nell’amore che abbraccia Dio e il prossimo. Dio, creatore del mondo e Signore della storia, per Gesù ha il volto di un Padre che si prende cura dei piccoli e benefica tutti i suoi figli, buoni e cattivi. Gesù dilata la categoria del prossimo fino ad abbracciare il nemico personale e sociale.
Per giustificare le sue scelte e il suo stile di vita, Gesù fa riferimento all’agire libero e gratuito del Padre. Egli parla di Dio e del suo modo di agire per mezzo delle “parabole”, brevi racconti che utilizzano in modo originale le immagini bibliche e le metafore popolari della semina e della mietitura, del vino e dei banchetti, del pastore e del gregge. La gente dei villaggi della Galilea accoglie con lieta sorpresa il modo di fare e l’insegnamento di Gesù.
 
La condanna a morte di Ges√π
I capi, responsabili delle comunità che gravitano attorno alle sinagoghe, vedono con sospetto l’attività terapeutica di Gesù e il suo comportamento poco rispettoso del sabato e delle norme di purità rituale. Essi sono preoccupati del favore della gente. Gli abitanti dei villaggi della Galilea orientale, impressionati dai gesti di guarigione compiuti da Gesù, lo ascoltano volentieri anche quando mette sotto accusa il formalismo religioso degli osservanti. Tra i magistrati, che hanno i loro rappresentanti nel consiglio supremo di Gerusalemme - il Sinedrio - matura la convinzione che l’attività di Gesù sia pericolosa perché tocca l’identità religiosa del popolo di Israele e mette a rischio il difficile equilibrio con il sistema di potere controllato da Roma.
Da qui la decisione di approfittare di un viaggio di Gesù a Gerusalemme in occasione della festa di Pasqua per farlo arrestare e consegnarlo al rappresentante dell’Impero, affinché gli sia comminata una condanna esemplare che scoraggi i suoi sostenitori e i simpatizzanti.
Gesù si rende conto del complotto che lo minaccia e che trova qualche connivenza anche tra i suoi discepoli. In occasione del pellegrinaggio di Pasqua a Gerusalemme, nel contesto della cena con il gruppo dei discepoli, egli dà un nuovo significato alle parole e ai gesti della mensa.
Il gesto di spezzare e condividere il pane durante il pasto è il dono supremo della sua persona che va incontro alla morte. Allo stesso modo la coppa di vino, che si beve dopo il pasto, è il suo sangue versato per fondare la comunità dell’alleanza definitiva con Dio attesa dai profeti.
Alla fine Gesù, davanti ai suoi discepoli, prende l’impegno di non bere più il vino, segno di gioia e libertà, fino a quando non potrà bere il vino nuovo nel regno di Dio. Con queste parole di speranza, che chiudono la sua ultima cena nel clima della Pasqua ebraica di liberazione, Gesù si ricollega all’annuncio fatto nei villaggi della Galilea. Con la sua morte egli vuole dare la garanzia della fedeltà di Dio che realizza la sua sovranità a favore di tutti gli esseri umani. La novità e l’originalità dei gesti e delle parole di Gesù alla fine convergono nel dono che egli fa della sua vita per essere fedele a Dio come “il Figlio”, restando solidale con tutti i suoi fratelli.
Ancora oggi il suo messaggio e il suo comportamento correggono le nostre immagini distorte di Dio, sovvertono le nostre manie superstiziose, riempiono i nostri legami di accoglienza e di amore.
Conferenza Episcopale Italiana
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